- 29-07-2023

La sent. n. 170 del 2023 dichiara, in primo luogo, che non spettava alla Procura della Repubblica di Firenze acquisire agli atti del procedimento penale iscritto al n. 3745 del registro generale delle notizie di reato del 2019, sulla base di decreti di perquisizione e sequestro emessi il 20 novembre 2019, la corrispondenza riguardante il senatore Matteo Renzi, costituita da messaggi di testo scambiati tramite l’applicazione WhatsApp tra il senatore Renzi medesimo e V. U. M. nei giorni 3 e 4 giugno 2018, e tra il senatore Renzi e M. C. nel periodo 12 agosto 2018-15 ottobre 2019, nonché da posta elettronica intercorsa fra quest’ultimo e il senatore Renzi, nel numero di quattro missive, tra il 1° e il 10 agosto 2018.

A tale esito, la Corte perviene, dopo avere escluso innanzi tutto il ricorrere nella fattispecie dell’ipotesi dell’intercettazione, ed appurato trattarsi invece di corrispondenza idonea a ricadere sotto le guarentigie dell’art. 68, terzo comma, Cost.: infatti anche la posta elettronica ed i messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp  rientrano, secondo la Corte, a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi. D’altro canto, la nozione di «corrispondenza» utilizzata anche nell’art. 68, terzo comma, Cost. pur senza ulteriore specificazione appare comunque sufficientemente ampia da ricomprendere le forme di scambio di pensiero a distanza costituenti altrettante “versioni contemporanee” della corrispondenza epistolare e telegrafica. Talchè sostenere il contrario, in un momento storico nel quale la corrispondenza cartacea, trasmessa tramite il servizio postale e telegrafico, è ormai relegata, nel complesso, a un ruolo di secondo piano, significherebbe  deprimere radicalmente la valenza della prerogativa parlamentare.

In seconda battuta, la Corte accerta il permanere della natura di corrispondenza dei messaggi di posta elettronica e WhatsApp conservati nella memoria dei dispositivi elettronici del destinatario stesso o del mittente anche dopo la loro ricezione e lettura da parte del destinatario. Del resto, se, in base alla stessa giurisprudenza costituzionale, l’acquisizione dei dati esteriori di comunicazioni già avvenute (quali quelli memorizzati in un tabulato) gode delle tutele accordate dagli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost., sarebbe impensabile che non ne fruisca, invece, il sequestro di messaggi elettronici, anche se già recapitati al destinatario: operazione che consente di venire a conoscenza non soltanto dei dati identificativi estrinseci delle comunicazioni, ma anche del loro contenuto, possedendo, dunque, una attitudine intrusiva tendenzialmente maggiore.

Circa invece l’acquisizione dell’estratto di conto corrente bancario, la Corte esclude che possa configurare un sequestro di corrispondenza, considerato che nella specie l’estratto del conto corrente bancario del senatore Renzi è entrato negli atti di indagine tramite un decreto, emesso l’11 gennaio 2021, di acquisizione di segnalazioni di operazioni bancarie sospette effettuate in base alla normativa antiriciclaggio di cui al d.lgs. n. 231 del 2007: segnalazioni tra i cui allegati figurava l’estratto conto in questione  ricavato dalla segnalante Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia tramite interrogazione delle banche dati in suo possesso. Con riferimento all’atto investigativo in questione, il ricorso viene quindi ritenuto non fondato, poiché esso resta al di fuori del perimetro applicativo della prerogativa parlamentare invocata.

La Corte non si esime, peraltro, dal precisare in quale modo, nella fattispecie considerata, il regime dell’autorizzazione al sequestro di corrispondenza, previsto dall’art. 68, terzo comma, Cost. e dall’art. 4 della legge n. 140 del 2003, sia destinato ad operare. Nella specie si tratta di “contenitori” di dati informatici appartenenti a terzi – telefoni cellulari, ma potrebbe trattarsi, allo stesso modo, di computer o di altri dispositivi – nella cui memoria sono conservati, tra l’altro, messaggi inviati in via telematica a un parlamentare, o da lui provenienti: in una simile evenienza, gli organi inquirenti debbono ritenersi abilitati a disporre – in confronto al terzo non parlamentare – il sequestro del “contenitore” (nella specie, del dispositivo di telefonia mobile). Nel momento, però, in cui riscontrano la presenza in esso di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa copia) e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, a norma dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, al fine di poterli coinvolgere nel sequestro. E ciò a prescindere da ogni valutazione circa la natura “mirata” o “occasionale” dell’acquisizione dei messaggi del parlamentare, operata tramite l’apprensione dei dispositivi appartenenti a terzi.