La sent. n. 153 dichiara l’illegittimità costituzionale "dell’art. 26, comma 3, della legge 18 febbraio 1989, n. 56 (Ordinamento della professione di psicologo), con conseguente riespansione della disciplina generale applicabile all’illecito disciplinare posto in essere dallo psicologo e restituzione al Consiglio dell’Ordine degli psicologi della possibilità di applicare – secondo il proprio discrezionale apprezzamento – una tra le sanzioni previste dall’art. 26, comma 1, della medesima legge, ivi compresa, naturalmente, la stessa radiazione, laddove ritenga che il delitto per cui è stata pronunciata condanna definitiva sia effettivamente indicativo della radicale inidoneità del professionista incolpato a continuare a svolgere le sue funzioni".
L’automatismo sanzionatorio contenuto nel disposto oggetto del sindacato non ha superato il vaglio di costituzionalità degli "indiscutibili” principi di proporzionalità della sanzione disciplinare – e, correlativamente, del principio di uguaglianza nonché delle garanzie del diritto di difesa – e di centralità e autonomia della valutazione discrezionale dell’organo disciplinare.
Quanto alla violazione:
1. del principio di proporzionalità ed eguaglianza, nonché del diritto di difesa: la previsione della radiazione automatica dello psicologo condannato a pena detentiva non inferiore a due anni per reato non colposo impediva, infatti, secondo la Corte, inammissibilmente, qualsiasi graduazione della sanzione in base alla gravità effettiva del comportamento; ed inoltre, determinava un trattamento ingiustificatamente più severo per gli psicologi rispetto ad altre categorie di lavoratori pubblici e professionisti;
2. del principio di autonomia dell’organo disciplinare: parimenti inammissibile è stata ritenuta l'impossibilità per l’organo disciplinare di valutare in modo discrezionale la proporzionalità della sanzione e l’idoneità del professionista a proseguire l’attività , risultandone la radiazione una conseguenza automatica della condanna penale e svuotando di significato le garanzie difensive dell’incolpato.