Nella sent. n. 102 del 2025, in linea con la consolidata giurisprudenza costituzionale, la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (recante disposizioni sull’equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del codice di procedura civile), sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
Secondo la Corte, le censure muovono da un’erronea interpretazione della norma impugnata. Il diritto vivente ha infatti chiarito che, nelle procedure concorsuali particolarmente complesse, è tollerabile una durata fino a sette anni, in conformità agli standard elaborati dalla Corte EDU. Di conseguenza, è infondato ritenere che il superamento del termine di sei anni determini automaticamente una violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.
In termini più generali, la Corte afferma il principio per cui, quando il legislatore nazionale definisce il termine di durata ragionevole del processo sulla base della giurisprudenza della Corte EDU, non si configura una violazione del parametro convenzionale.
Quanto alla presunta lesione dell’art. 24 Cost., la Corte rileva che essa si fonda anch’essa su un presupposto errato. La responsabilità degli organi della procedura per eventuali ritardi nell’adempimento dei creditori o nella chiusura della procedura non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 6 CEDU. Tali condotte, se riconducibili a grave negligenza, possono essere fatte valere con strumenti giuridici diversi, ma il mero ritardo o l’insoddisfazione dei creditori non sono sufficienti a configurare una violazione del diritto di difesa.