- 20-03-2025

La Corte nella sent. n. 31 del 2025 ricorrendo ad una pronuncia sostitutiva ha dichiarato illegittima la disposizione "in materia di reddito di cittadinanza e pensioni” (contenuta nella legge 28 marzo 2019, n. 26), nella parte in cui stabiliva che il beneficiario del reddito di cittadinanza dovesse essere residente in Italia «per almeno 10 anni», anziché «per almeno 5 anni».

Essa ha chiarito la "non implausibilità” della previsione di un requisito di radicamento territoriale, affermando che strumenti come il reddito di cittadinanza con le relative erogazioni economiche non possono essere considerate dei meri sussidi assistenziali finalizzati unicamente a contrastare la povertà, ma rientrano in una più ampia strategia di inclusione attiva, volta a favorire l’uscita dell’individuo da una condizione di disagio economico. A diversa conclusione è invece approdata con riguardo al requisito temporale previsto dal legislatore, reputando la durata decennale del requisito di residenza "una barriera” ingiustificata, volta unicamente a limitare l’accesso alla prestazione, con l’esito di favorire i cittadini italiani già residenti a scapito sia di quelli di altri Stati membri dell’Unione Europea sia di cittadini di Paesi terzi; inoltre, ha considerato tale limite "non ragionevolmente correlato alla funzionalità precipua del reddito di cittadinanza.

Di qui la violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità sanciti dall’art. 3 della Costituzione.

Nella prospettiva, poi, "di allontanarsi il meno possibile" dal bilanciamento che, "nella sua discrezionalità, è stato operato dal legislatore”, lo stesso giudice costituzionale ha giudicato ragionevole ed in armonia con il diritto eurounitario la previsione di un termine di cinque anni, già presente, del resto, nell’ordinamento e idoneo a costituire un riferimento oggettivo di ricomposizione di una correlazione equilibrata tra l’accesso al beneficio e il criterio di stabilità territoriale.