Nella sent. n. 19 del 2025 rileva la richiesta, al giudice delle pensioni, dell’accertamento del diritto – negato in sede amministrativa – alla piena rivalutazione del trattamento pensionistico percepito (nei primi due casi, l’importo del trattamento superava di dieci volte il minimo, mentre nel terzo rientrava nella fascia compresa tra sei e otto volte tale soglia di riferimento). La Corte ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nella legge di bilancio per il 2023 e per il triennio 2023-2025, in linea con la propria giurisprudenza consolidata, evidenziando, in particolare, a supporto della propria decisione:
∙ la natura tecnica della perequazione automatica, finalizzata a garantire nel tempo l’adeguatezza delle pensioni rispetto all’inflazione, nel rispetto dei principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione, "che però non implicano un rigido parallelismo tra la garanzia di cui all’art. 38, secondo comma, Cost. e quella di cui all’art. 36, primo comma, Cost.”;
∙ il carattere non vincolante della perequazione per il legislatore, il quale mantiene discrezionalità nella determinazione del livello di tutela adeguato alle risorse disponibili, non essendovi un obbligo costituzionale di aggiornamento annuale per tutti i trattamenti pensionistici; e
∙ la "non irragionevolezza” della scelta legislativa, valutata nel contesto normativo e socio-economico di riferimento.