Nell’articolata sent. n. 132 del 2024, la Corte respinge le censure d’illegittimità costituzionale formulate, in riferimento agli artt. 3, 28, 81, 97 e 103 Cost., nei confronti dell’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come conv., che ha previsto, per le condotte commissive, una temporanea limitazione della responsabilità amministrativa alle sole ipotesi dolose.
A tal fine, la Corte ricostruisce preliminarmente in maniera analitica il regime della responsabilità amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, richiamandone il carattere composito in ragione del concorrere delle funzioni di prevenzione, risarcitoria e sanzionatoria.
Rileva quindi come la disposizione censurata abbia introdotto una disciplina provvisoria (prorogata con successivi decreti-legge fino al 31 dicembre 2024), che, quanto alle condotte attive, limita la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti alle sole ipotesi dolose, modificando, così, in via temporanea, la disciplina dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa ancorata per l’ordinario al dolo e alla colpa grave.
Tuttavia, sottolinea la Corte, il punto di equilibrio nella scelta della ripartizione del rischio dell’attività tra l’apparato e l’agente pubblico, può non essere fissato dal legislatore una volta per tutte, ma modulato in funzione del contesto istituzionale, giuridico e storico in cui opera l’agente pubblico, e del bilanciamento che il legislatore medesimo – nel rispetto del limite della ragionevolezza – intende effettuare, in tale contesto, tra le due menzionate esigenze.
In questo senso, coerentemente con la valorizzazione del principio del risultato e di quello della fiducia, e a riprova della stretta correlazione che esiste tra modello di amministrazione pubblica e regime della responsabilità amministrativa, il codice dei contratti ha ridotto la quota di rischio a carico del dipendente pubblico. Il consolidamento dell’amministrazione di risultato e i profondi mutamenti del contesto in cui essa opera giustificano, dunque, la ricerca legislativa di nuovi punti di equilibrio che riducano la quantità di rischio dell’attività che grava sull’agente pubblico, in modo che il regime della responsabilità, nel suo complesso, non funga da disincentivo all’azione
Tuttavia, secondo la Corte, non troverebbe giustificazione un regime ordinario che limitasse la responsabilità amministrativa alla sola ipotesi del dolo in quanto non si realizzerebbe una ragionevole ripartizione del rischio, che invece sarebbe addossato in modo assolutamente prevalente alla collettività, la quale dovrebbe sopportare integralmente il danno arrecato dall’agente pubblico. I comportamenti macroscopicamente negligenti non sarebbero scoraggiati e, pertanto, la funzione deterrente della responsabilità amministrativa, strumentale al buon andamento dell’amministrazione, ne sarebbe irrimediabilmente indebolita.
Diverso, però, è il caso in cui la disciplina che circoscriva alle sole ipotesi di dolo l’elemento soggettivo della responsabilità riguardi esclusivamente un numero limitato di agenti pubblici o determinate attività amministrative, allorché esse presentino, per le loro caratteristiche intrinseche, un grado di rischio di danno talmente elevato da scoraggiare sistematicamente l’azione e dare luogo alla “amministrazione difensiva”. Questo è appunto il caso della disposizione oggetto di censura, che origina in un contesto del tutto peculiare e che pone una disciplina provvisoria, la cui efficacia cesserà il 31 dicembre 2024. La disposizione censurata trova, infatti, idonea giustificazione in relazione al peculiarissimo contesto economico e sociale in cui l’emergenza pandemica da COVID-19 aveva determinato la prolungata chiusura delle attività produttive, con danni enormi per l’economia nazionale e conseguente perdita di numerosi punti del prodotto interno lordo (PIL), e che aveva ovvie ricadute negative sulla stessa coesione sociale e la tutela dei diritti.
Per quanto riguarda, poi, la lamentata violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione, sotto il profilo del difetto di proporzionalità e congruità dello spettro applicativo della disposizione, che ricomprenderebbe condotte non inerenti alla gestione dell’attività pandemica e al rilancio dell’economia, anche la corrispondente questione è dichiarata fondata. Nel valutare la proporzionalità dell’intervento legislativo, deve in primo luogo osservarsi che esso origina da un contesto eccezionale, ha natura temporanea ed ha comunque un oggetto delimitato, riguardando solo le condotte commissive e non quelle “inerti” ed “omissive”. Inoltre, la “burocrazia difensiva” non si annida necessariamente nelle sole attività procedimentali o provvedimentali o nei grandi centri decisionali, ma è in grado di interessare trasversalmente l’intero operato della pubblica amministrazione. Con la misura in esame, poi, il legislatore ha inteso favorire la realizzazione di investimenti non solo privati ma anche pubblici, con la conseguenza che un atteggiamento difensivo rispetto a quest’ultimi, pur potendo in ipotesi (ma non sempre) non cagionare danni a terzi, ben potrebbe determinare un rallentamento di un’opera o di un servizio utili all’incremento della ricchezza collettiva.
Parimenti non fondate sono sia l’allegata violazione del principio di eguaglianza, sull’assunto che la disposizione in esame operi una «discriminazione irragionevole» tra coloro che hanno la gestione attiva e il compito «di predisporre i provvedimenti amministrativi» e coloro che hanno “solo” obblighi di controllo e vigilanza, i quali ultimi, a differenza dei primi, continuerebbero a rispondere anche per condotte commissive connotate da colpa grave. Infatti, anche l’esercizio della funzione di controllo, al pari di quella di amministrazione attiva, può esplicarsi sia in condotte naturalisticamente commissive che omissive: in entrambi i casi, l’esenzione da responsabilità prevista dalla disposizione censurata riguarda esclusivamente le prime, donde l’insussistenza della denunziata disparità di trattamento. Parimenti insussistente, poi, risulta la lamentata violazione del principio di eguaglianza, per avere la norma censurata apprestato un trattamento di favore ai dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, dal momento che i primi, i quali «già godono di un’esenzione per colpa lieve, nell’attualità sono ancora più avvantaggiati», «essendo responsabili nel periodo di vigenza della norma solo per condotte attive dolose o omissive gravemente colpose». Le categorie prese in considerazione dal rimettente, infatti, non sono omogenee, in quanto soggette a statuti diversi anche e soprattutto in punto di responsabilità: quella del dipendente privato è pienamente risarcitoria e integralmente disciplinata dal codice civile, mentre quella del pubblico dipendente ha la natura sopra ricordata, in più punti derogatoria delle regole generali.
Conclusivamente, la decisione svolge talune considerazioni circa la ricerca, a regime, di nuovi punti di equilibrio nella ripartizione del rischio dell’attività tra l’amministrazione e l’agente pubblico, con l’obiettivo di rendere la responsabilità ragione di stimolo e non disincentivo all’azione nel quadro di un consolidamento dell’amministrazione di risultato e alla luce dei mutamenti strutturali del contesto istituzionale, giuridico e sociale in cui essa opera.