ORDINANZA N. 50
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO;
Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promosso dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Udine, sezione terza, nel procedimento vertente tra L. D.C. e Agenzia delle entrate โ Direzione provinciale di Udine, con ordinanza del 2 novembre 2023, iscritta al n. 53 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visti l’atto di costituzione di L. D.C. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 marzo 2025 il Giudice relatore Luca Antonini;
udito l’avvocato dello Stato Alessandro Maddalo per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio dell’11 marzo 2025.
Ritenuto che, con ordinanza del 2 novembre 2023, iscritta al n. 53 del registro ordinanze 2024, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Udine, sezione terza (di seguito: CGT di Udine), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 53, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella parte in cui «attribuisce i redditi della società in accomandita semplice ai soci accomandanti "indipendentemente dalla percezione”»;
che il rimettente si deve pronunciare sul ricorso proposto dalla socia accomandante di una società in accomandita semplice avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per l’anno 2016 ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF);
che, in particolare, la ricorrente aveva sostenuto di non avere percepito alcun reddito dalla società, avendo interrotto da molti anni ogni rapporto con il marito, socio accomandatario, e di essere rimasta «del tutto estranea alla sua attività economica», mentre l’Agenzia delle entrate, nel resistere al ricorso, aveva opposto che, secondo la disposizione censurata, il reddito delle società di persone viene imputato a ciascun socio, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, «"indipendentemente dalla percezione”»;
che, secondo il rimettente, la rilevanza delle questioni deriverebbe dal fatto che «nel caso di specie non è in discussione che la ricorrente non ha percepito il reddito accertato in capo alla società e l’Agenzia delle Entrate ha eccepito l’ininfluenza di tale fatto»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente evidenzia che la scelta del legislatore di imputare anche al socio accomandante il reddito prodotto dalla società «"indipendentemente dalla percezione”» non trovi giustificazione alla luce dei principi di uguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), di capacità contributiva (art. 53, primo comma, Cost.), nonché del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.);
che, in particolare, quanto alla violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., pur dopo la sentenza di questa Corte n. 201 del 2020, rimarrebbero da esaminare profili derivanti da una specifica e differenziata valutazione del particolare regime giuridico che governa la posizione del socio accomandante nell’ambito della società in accomandita semplice;
che, di conseguenza, sarebbe ravvisabile, secondo il giudice a quo, la violazione del principio di uguaglianza sia in una prospettiva interna, id est nel confronto tra la situazione giuridica sostanziale del socio accomandante con quella degli altri soci delle società di persone; sia esterna, cioè nel confronto della medesima con quella del socio di una società a responsabilità limitata;
che, con riferimento al primo profilo, il rimettente evidenzia, da un lato, che diversi sono i poteri di controllo dei soci della società semplice e in nome collettivo rispetto a quelli delle società in accomandita semplice, perché i primi, ai sensi dell’art. 2261 del codice civile, hanno diritto di avere notizia in qualsiasi momento dello svolgimento degli affari sociali, mentre i secondi, in forza dell’art. 2320 cod. civ, «hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società»; dall’altro, che solo al socio accomandante è vietato ingerirsi nell’amministrazione della società;
che, con riferimento al secondo profilo, il giudice a quo evidenzia che al socio, anche qualora sia amministratore di una società a responsabilità limitata, e persino quando questa sia a ristretta base sociale, non viene imposto per trasparenza il reddito della società (a meno che non abbia esercitato l’opzione di cui all’art. 116 TUIR); tuttavia, i suoi poteri di controllo sarebbero più invasivi di quelli attribuiti ai soci accomandanti della società in accomandita semplice;
che, inoltre, la giurisprudenza di legittimità «avalla una presunzione semplice (praesumptio hominis) di distribuzione ai soci, in proporzione alle quote di ciascuno, del reddito prodotto dalla società di capitali a ristretta base sociale, con onere della prova contraria a carico del socio»;
che sotto tale profilo, attesa la analoga posizione del socio accomandante di una società in accomandita semplice con quella del socio di una società a responsabilità limitata a ristretta base sociale, «il limite della "non arbitrarietà” delle scelte del legislatore fiscale ben potrebbe essere rispettato estendendo […] anche al socio accomandante della società in accomandita semplice» la possibilità di fornire la prova contraria di non avere percepito alcun utile (si cita, da ultimo, Corte di cassazione, sezione tributaria civile, ordinanza 4 aprile 2022, n. 10679);
che, quanto alla violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53, primo comma, Cost., il regime di imputazione per trasparenza del reddito al socio accomandante non potrebbe trovare giustificazione in esigenze di cautela fiscale, come invece affermato dalla sentenza n. 201 del 2020 di questa Corte;
che, infatti, secondo il rimettente, «la minore formalizzazione contabile e procedimentale delle società di persone potrebbe essere una difficoltà nell’accertamento del reddito d’impresa della società, non anche nell’accertamento della distribuzione ai soci degli utili, una volta accertato il reddito prodotto dalla società»;
che, infine, quanto alla violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24, secondo comma, Cost., la stessa sarebbe riscontrabile «non tanto sul piano formale», ma su quello sostanziale, «non essendo previsto il coinvolgimento del socio accomandante nel contraddittorio procedimentale che precede l’emissione dell’avviso di accertamento e non potendo egli, per contestare l’accertamento, accedere direttamente alle carte sociali, dovendosi affidare alla collaborazione – non necessariamente attiva – dei soci accomandatari»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate;
che, secondo la difesa statale, la sentenza n. 201 del 2020 di questa Corte avrebbe già fatto riferimento anche ai soci accomandanti, giustificando l’attribuzione per trasparenza a tutti i soci delle società di persone del reddito prodotto dalla società, in considerazione del potere di controllo loro conferito che, secondo la richiamata pronuncia, «da un lato, li pone giuridicamente in grado di avere piena conoscenza dell’indicato incremento patrimoniale e, dall’altro, rende irrilevante, a questi fini, la distinzione tra soci amministratori e non amministratori»;
che inoltre, sebbene l’art. 116 TUIR consenta ai soci delle società a ristretta base proprietaria di esercitare l’opzione per la trasparenza fiscale, tuttavia per le società di persone tale regime è disposto per legge, essendo previsto a salvaguardia degli interessi erariali, mentre per le società di capitali costituisce il frutto di una scelta del socio finalizzata a evitare la doppia imposizione di utili in conformità al sistema di tassazione dei dividendi;
che, con riferimento alla questione relativa alla violazione della capacità contributiva di cui all’art. 53, primo comma, Cost., la difesa statale richiama il passaggio della citata sentenza n. 201 del 2020 con il quale si è precisato che la scelta legislativa di attribuire per trasparenza ai soci di una società di persone il reddito prodotto dalla società «trova giustificazione in relazione a diversi profili riconducibili all’interesse fiscale dello Stato alla percezione dei tributi, anch’esso tutelato, assieme all’interesse del contribuente a un’imposizione correlata alla propria capacità contributiva»;
che infine, per quanto riguarda la questione relativa alla violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24, secondo comma, Cost., l’Avvocatura evidenzia che l’asserita mancata conoscenza dell’attività sociale, per un verso, andrebbe imputata allo stesso socio accomandante, attesi i poteri di controllo allo stesso riconosciuti dal legislatore e, per altro verso, costituirebbe una vicenda meramente interna alla società e relativa ai rapporti tra i soci, che non incide sul momento genetico della produzione del reddito (è citata l’ordinanza di questa Corte n. 53 del 2001);
che nel giudizio ha depositato l’atto di costituzione la parte privata che ha espresso argomentazioni adesive alla richiesta del rimettente di dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
Considerato che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, la CGT di Udine ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 53, primo comma, e 24, secondo comma, Cost. questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, nella parte in cui «attribuisce i redditi della società in accomandita semplice ai soci accomandanti "indipendentemente dalla percezione”»;
che la questione relativa alla violazione dell’art. 3, primo comma, Cost. per contrasto con il principio di uguaglianza è manifestamente infondata, poiché, diversamente da quanto sostenuto dal rimettente, la sentenza di questa Corte n. 201 del 2020, nello scrutinare il meccanismo di imputazione del reddito in base al principio di trasparenza, ha già tenuto presente la posizione del socio accomandante di una società in accomandita semplice;
che, infatti, nella citata sentenza si è precisato che «[l]’imputazione reddituale "per trasparenza” delle società di persone, anche avuto riguardo al caso di soci non amministratori (e, in particolare, anche nel caso dell’accomandante), si riconnette quindi alla disciplina civilistica che attribuisce ad essi puntuali poteri di controllo» e che «il socio (anche accomandante) ha il potere e l’onere di controllare l’attività sociale (artt. 2261 e 2320 cod. civ.)»;
che, pertanto, non sussiste la paventata discriminazione interna, dal momento che i soci delle società di persone hanno «un onere e un potere di controllo (artt. 2261 e 2320 del codice civile) che, da un lato, li pone giuridicamente in grado di avere piena conoscenza dell’indicato incremento patrimoniale e, dall’altro, rende irrilevante, a questi fini, la distinzione tra soci amministratori e non amministratori»;
che nemmeno sussiste la evocata discriminazione esterna, posta la diversità di struttura tra le società di persone (e, in particolare, le società in accomandita semplice in cui è previsto il socio accomandante) e le società di capitali;
che, inoltre, è inconferente il riferimento alla disciplina di cui all’art. 116 TUIR, che consente di applicare, a determinate condizioni, l’imputazione per trasparenza anche alle società di capitali e, in particolare, alle società a responsabilità limitata a ristretta base proprietaria;
che, infatti, mentre per le società di persone l’applicazione del regime di trasparenza fiscale è a monte stabilito dal legislatore e non costituisce una «"presunzione” di distribuzione degli utili», bensì una «tipizzazione legale» (sentenza n. 201 del 2020), quella di cui all’art. 116 TUIR è il frutto di una opzione di cui può avvalersi, a propria discrezione, la società a responsabilità limitata a ristretta base proprietaria;
che, pertanto, non correttamente il giudice a quo mette in comparazione la tipizzazione legale dell’attribuzione del reddito per trasparenza ai soci delle società di persone e l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di presunzione di distribuzione degli utili nelle società a ristretta base partecipativa;
che la questione relativa alla violazione dell’art. 53, primo comma, Cost., per contrasto con il principio di capacità contributiva, è manifestamente infondata;
che, infatti, la sentenza n. 201 del 2020 ha già posto in luce che «nell’attuale sistema di imposizione sui redditi deve ritenersi che non arbitrariamente il legislatore tributario ha individuato come indice di capacità contributiva la relazione tra il presupposto e il soggetto passivo attraverso la diretta imputazione al socio ("per trasparenza”) del reddito prodotto in forma associata, indipendentemente dalla percezione», perché «anche a prescindere dall’approvazione del rendiconto e dalla previsione statutaria di eventuali riserve di utili (o dalla decisione unanime dei soci in tal senso), il socio già si trova in una relazione con il reddito societario prodotto che appare idonea a integrare la peculiare nozione di "possesso” indicato quale presupposto dell’IRPEF dall’art. 1 del TUIR e che costituisce l’indice di capacità contributiva assunto dal legislatore»;
che, inoltre, la medesima sentenza n. 201 del 2020 ha evidenziato che è proprio «il […] minore livello di formalizzazione [delle società di persone] e quindi l’assenza dei più rigorosi obblighi di natura contabile e procedimentale previsti per le società di capitali, anche quanto all’individuazione degli utili non distribuiti» che ha determinato la scelta del legislatore di applicare il principio di trasparenza per le società di persone, sussistendo «esigenze di cautela fiscale in presenza di una possibilità di elusione d’imposta nel contesto delle società considerate dall’art. 5 del TUIR»;
che, da ultimo, anche la questione relativa alla violazione dell’art. 24, secondo comma, Cost. per l’asserito contrasto con il diritto di difesa, a causa del mancato coinvolgimento del socio accomandante nel contraddittorio endoprocedimentale, è manifestamente infondata;
che, infatti, l’attività accertativa e quanto ne consegue in termini di contraddittorio, si svolgono nei confronti della società, permanendo lo schermo societario;
che, peraltro, ai fini sostanziali, il meccanismo d’imputazione per trasparenza e la tassazione del socio indipendentemente dalla percezione del reddito «hanno portato la giurisprudenza di legittimità ad affermare il litisconsorzio necessario tra società e soci al fine di consentire, con pienezza di contraddittorio, la verifica in concreto del presupposto impositivo, stante l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e dei soci delle stesse, cosicché il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci, salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali» (sentenza n. 201 del 2020).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 53, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Udine, sezione terza, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 marzo 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2025