ORDINANZA N. 41
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO;
Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, del codice di procedura penale; degli artt. 47, commi 1 e 3-bis, e 47-ter e seguenti della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale ordinario di Bergamo, sezione seconda penale, in funzione di giudice dell’esecuzione, nel procedimento penale a carico di I. B. con ordinanza del 18 luglio 2024, iscritta al n. 190 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 marzo 2025 il Giudice relatore Stefano Petitti;
deliberato nella camera di consiglio del 10 marzo 2025.
Ritenuto che, con ordinanza del 18 luglio 2024, iscritta al n. 190 del registro ordinanze 2024, il Tribunale ordinario di Bergamo, sezione seconda penale, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 5 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero sospenda l’esecuzione della pena detentiva anche quando il superamento del residuo della pena sia superiore a quattro anni a causa del mancato rispetto da parte del Tribunale di sorveglianza del termine massimo di quarantacinque giorni stabilito dal successivo comma 6 nella decisione di una o più pregresse istanze di ammissione a misure alternative alla detenzione; degli artt. 47, commi 1 e 3-bis, e 47-ter e seguenti della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevedono la possibilità di ammissione alle misure alternative, rispettivamente dell’affidamento in prova ai servizi sociali e della detenzione domiciliare anche quando – ferma restando la valutazione degli altri presupposti – il superamento del residuo di pena di quattro anni, tre anni o due anni sia dovuto al mancato rispetto da parte del Tribunale di sorveglianza del termine massimo di quarantacinque giorni stabilito dal comma 6 del medesimo art. 656 nella decisione di una pregressa istanza di ammissione a misure alternative alla detenzione;
che il rimettente riferisce di dover decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena nei confronti di un condannato («ordine di esecuzione avente n. SIEP 936/2023 emesso in data 31/1/2024»), previa sollevazione delle indicate questioni di legittimità costituzionale;
che il giudice a quo, dopo aver elencato tutte le condanne definitive da eseguire, indica la misura della pena residua come risulta dal provvedimento di unificazione delle pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo, pari a anni quattro, mesi due di reclusione e mesi uno e giorni venti di arresto, e infine dà conto delle istanze di misure alternative alla detenzione presentate dal condannato;
che, prosegue il rimettente, ove il Tribunale di sorveglianza avesse deciso in ordine a dette istanze nel termine massimo di quarantacinque giorni stabilito dall’art. 656, comma 6, cod. proc. pen., il condannato avrebbe avuto la possibilità di proseguire nell’espiazione della pena in regime di misure alternative alla detenzione, ai sensi dell’art. 51-bis ordin. penit.;
che, ad avviso del giudice a quo, le disposizioni censurate sarebbero in contrasto con gli artt. 3, 27, terzo comma, 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 5 e 6 CEDU, tenuto conto: della finalità rieducativa perseguita dalle misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario; della giurisprudenza di questa Corte e dei correlati interventi legislativi in materia di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena in favore dei condannati, ai quali sia riconosciuta la possibilità di accedere alle misure alternative sin dall’inizio dell’esecuzione; dello stesso termine di quarantacinque giorni fissato dall’art. 656, comma 6, cod. proc. pen.; della disciplina dettata dall’art. 51-bis ordin. penit.;
che, secondo il Tribunale di Bergamo, il concreto rispetto del termine di quarantacinque giorni dettato dall’art. 656, comma 6, cod. proc. pen., anche in correlazione alla possibilità di prosecuzione dell’espiazione della pena ex art. 51-bis ordin. penit., risulta determinante per un rapido avvio del percorso rieducativo consentito dalla misura alternativa alla detenzione;
che, conclude il rimettente, le questioni sollevate sarebbero rilevanti, perché la declaratoria di illegittimità costituzionale avrebbe immediati riflessi favorevoli nel caso in esame, consentendo la sospensione dell’esecuzione della pena;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate;
che l’Avvocatura rileva che le questioni di legittimità costituzionale appaiono sollevate non già con riferimento all’impianto normativo, che non viene ritenuto, in astratto, violativo dei parametri costituzionali, «bensì con riferimento alle disfunzioni correlate alla circostanza che nella pratica applicativa non venga rispettato, e non sia stato rispettato nel giudizio a quo, il termine di quarantacinque giorni imposto al Tribunale di sorveglianza per decidere sulle istanze di misure alternative alla detenzione».
Considerato che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Bergamo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 5 e 6 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero sospenda l’esecuzione della pena detentiva anche quando il superamento del residuo della pena sia superiore a quattro anni a causa del mancato rispetto da parte del Tribunale di sorveglianza del termine massimo di quarantacinque giorni stabilito dal successivo comma 6 nella decisione di una o più pregresse istanze di ammissione a misure alternative alla detenzione; degli artt. 47, commi 1 e 3-bis, e 47-ter e seguenti ordin. penit., nella parte in cui non prevedono la possibilità di ammissione alle misure alternative, rispettivamente dell’affidamento in prova ai servizi sociali e della detenzione domiciliare anche quando – ferma restando la valutazione degli altri presupposti – il superamento del residuo di pena di quattro anni, tre anni o due anni sia dovuto al mancato rispetto da parte del Tribunale di sorveglianza del termine massimo di quarantacinque giorni stabilito dal comma 6 del medesimo art. 656 nella decisione di una pregressa istanza di ammissione a misure alternative alla detenzione;
che il rimettente precisa di dover decidere sulla richiesta, formulata dal pubblico ministero, di sospensione della esecuzione della pena nei confronti di un condannato a una pena superiore a quattro anni di reclusione – e, quindi, a una pena di entità superiore a quella per cui l’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. consente la sospensione della esecuzione della pena –, previa sollevazione delle suindicate questioni di legittimità costituzionale;
che, assume il giudice a quo, ove le questioni fossero accolte, dal cumulo delle pene da eseguire dovrebbero essere detratti i segmenti temporali successivi alla scadenza dei quarantacinque giorni, termine ultimo previsto dall’art. 656, comma 6, cod. proc. pen. per la decisione del Tribunale di sorveglianza sulla richiesta del condannato di sospensione dell’ordine di esecuzione;
che, in disparte ogni valutazione circa la correttezza del presupposto interpretativo dal quale muove il rimettente e circa la pertinenza delle questioni sollevate con riferimento alle disposizioni dell’ordinamento penitenziario, occorre rilevare che l’ordinanza di rimessione del Tribunale di Bergamo reca l’intestazione: «Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale di questione di legittimità costituzionale e rigetto dell’istanza di sospensione dell’ordine di esecuzione» e in dispositivo statuisce: «rigetta l’istanza di sospensione dell’ordine di esecuzione avente SIEP 936/2023»;
che con tale provvedimento, pertanto, può dirsi che il giudice a quo si sia pronunciato sulla domanda di sospensione dell’ordine di esecuzione fondata sull’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., proposta dal pubblico ministero, e abbia così esaurito la propria potestas iudicandi (tra le tante, sentenza n. 3 del 2023, punto 2 del Considerato in diritto);
che, per effetto della consumazione della potestas iudicandi in capo al rimettente, viene meno l’indefettibile presupposto della incidentalità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, con conseguente manifesta inammissibilità delle stesse (ex multis, sentenza n. 212 del 2023).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, del codice di procedura penale, e degli artt. 47, commi 1 e 3-bis, e 47-ter e seguenti della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 5 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale ordinario di Bergamo, sezione seconda penale, in funzione di giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Valeria EMMA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2025