SENTENZA N. 1
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO;
Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 2-bis e 3, comma 2-bis, della legge della Provincia autonoma di Trento 7 novembre 2005, n. 15, recante «Disposizioni in materia di politica provinciale della casa e modificazioni della legge provinciale 13 novembre 1992, n. 21 (Disciplina degli interventi provinciali in materia di edilizia abitativa)», come introdotti, rispettivamente, dai commi 6 e 2 dell’art. 38 della legge della Provincia autonoma di Trento 6 agosto 2019, n. 5 (Assestamento del bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2019-2021), promosso dalla Corte di cassazione, prima sezione civile, nel procedimento instaurato dalla Provincia autonoma di Trento contro D.B. T. e l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) aps, con ordinanza del 5 aprile 2024, iscritta al n. 105 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visti gli atti di costituzione di D.B. T. e dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) aps, nonché della Provincia autonoma di Trento;
udito nell’udienza pubblica del 26 novembre 2024 il Giudice relatore Giovanni Pitruzzella;
uditi gli avvocati Alberto Guariso e Giovanni Guarini per D.B. T. e ASGI e Sabrina Azzolini per la Provincia autonoma di Trento;
deliberato nella camera di consiglio del 26 novembre 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 5 aprile 2024, iscritta al numero 105 del registro ordinanze 2024, la Corte di cassazione, prima sezione civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo e quinto comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 2-bis, e 3, comma 2-bis, della legge della Provincia autonoma di Trento 7 novembre 2005, n. 15, recante «Disposizioni in materia di politica provinciale della casa e modificazioni della legge provinciale 13 novembre 1992, n. 21 (Disciplina degli interventi provinciali in materia di edilizia abitativa)», come introdotti, rispettivamente, dai commi 6 e 2 dell’art. 38 della legge della Provincia autonoma di Trento 6 agosto 2019, n. 5 (Assestamento del bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2019-2021).
Il rimettente censura il requisito della residenza decennale sul territorio italiano, previsto quale condizione tanto per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica quanto per l’erogazione del contributo integrativo del canone di locazione.
1.1.– In punto di rilevanza, il giudice a quo espone di dover decidere sul ricorso proposto dalla Provincia autonoma di Trento contro la sentenza d’appello, che ha accolto la domanda di un titolare di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, previa disapplicazione della normativa provinciale, in quanto confliggente con il principio di parità di trattamento, sancito dall’art. 11, paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.
La Corte rimettente assume che, nel caso di specie, la disapplicazione non sia praticabile e che solo la declaratoria di illegittimità costituzionale garantisca «un effetto demolitivo erga omnes» della normativa provinciale.
1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo argomenta che le disposizioni censurate contrasterebbero con l’art. 3 Cost., in quanto avrebbero previsto, per l’accesso all’alloggio e per l’erogazione del contributo integrativo del canone di locazione, condizioni irragionevoli, svincolate dalla valutazione dello stato di bisogno.
1.3.– Il requisito della residenza decennale, inoltre, discriminerebbe gli stranieri e confliggerebbe, pertanto, con l’art. 117, primo e quinto comma, Cost., in relazione all’art. 11, paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva 2003/109/CE, che salvaguarda la parità di trattamento dei soggiornanti di lungo periodo rispetto ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano, nei settori delle prestazioni sociali e dell’accesso all’alloggio.
2.– Si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento, che ha chiesto di dichiarare non fondate le questioni sollevate dalla Corte di cassazione.
Le disposizioni censurate, adottate nell’esercizio della potestà legislativa primaria della Provincia, si prefiggerebbero di coordinare l’accesso all’edilizia residenziale pubblica con la disciplina statale del reddito di cittadinanza, contraddistinto, per una sua componente, da una funzione similare a quella del contributo integrativo del canone di locazione.
La disciplina provinciale, lungi dal discriminare gli stranieri, attribuirebbe un rilievo non irragionevole, in un contesto di risorse limitate, al radicamento sul territorio, che la stessa direttiva 2003/109/CE mostra di valorizzare.
3.– Si sono costituiti in giudizio anche D.B. T. e l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) aps, chiedendo l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale.
Il requisito della residenza decennale, peraltro riferito al territorio della Nazione, sarebbe irragionevole, in quanto del tutto avulso dalla valutazione dello stato di bisogno.
Né tale requisito sarebbe giustificato dalle esigenze di coordinamento con la diversa disciplina, ora abrogata, del reddito di cittadinanza.
4.– In prossimità dell’udienza, D.B. T. e ASGI hanno depositato una memoria illustrativa, richiamando le pronunce più recenti di questa Corte in materia di edilizia residenziale pubblica e sviluppando i rilievi sull’irragionevolezza intrinseca del criterio censurato, anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sul reddito di cittadinanza (grande sezione, sentenza 29 luglio 2024, nelle cause riunite C-112/22 e C-223/22, CU).
5.– All’udienza pubblica, le parti hanno illustrato gli argomenti esposti negli scritti difensivi e hanno ribadito le conclusioni già rassegnate.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 105 del 2024), la Corte di cassazione, prima sezione civile, dubita della legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 2-bis, e 3, comma 2-bis, della legge prov. Trento n. 15 del 2005, introdotti, rispettivamente, dai commi 6 e 2 dell’art. 38 della legge prov. Trento n. 5 del 2019.
Le disposizioni sono censurate in riferimento agli artt. 3 e 117, primo e quinto comma, Cost., nella parte in cui richiedono, per l’assegnazione dell’alloggio a canone sostenibile e per il contributo integrativo del canone di locazione, la residenza in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo.
1.1.– Il giudice a quo denuncia, anzitutto, il contrasto con l’art. 3 Cost.
Il requisito della residenza decennale, introdotto dalla legge prov. Trento n. 5 del 2019 mediante il richiamo alla disciplina del reddito di cittadinanza (art. 2, comma 1, lettera a, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, recante «Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni», convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26), sarebbe, in linea generale, gravoso e irragionevole, in quanto dissonante con «la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica» e privo di ogni correlazione con lo stato di bisogno.
1.2.– Inoltre, le disposizioni censurate violerebbero l’art. 117, primo e quinto comma, Cost.
Esse, pur contemplando il medesimo regime per cittadini e stranieri, determinerebbero «una "discriminazione indiretta”» a danno dei secondi, costretti a spostarsi di frequente, e sarebbero lesive della parità di trattamento, che l’art. 11, paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva 2003/109/CE garantisce tra soggiornanti di lungo periodo e cittadini dello Stato membro in cui essi soggiornano, nei settori delle prestazioni sociali, dell’assistenza sociale e della protezione sociale e, rispettivamente, dell’accesso all’alloggio.
2.– Le censure del rimettente si appuntano sul presupposto della residenza protratta per un decennio nel territorio italiano, che il legislatore provinciale ha modellato sulla disciplina del reddito di cittadinanza, e si imperniano sull’argomento che tale requisito impedisca l’accoglimento delle domande, in base a una normativa che impone la residenza prolungata in termini inequivocabili, senza prestarsi a un’interpretazione adeguatrice.
Nessun ostacolo si frappone, sotto tale profilo, all’esame nel merito.
3.– Né tale esame è precluso dal fatto che l’art. 11, paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva 2003/109/CE possa essere dotato di efficacia diretta, come hanno ritenuto i giudici d’appello nella sentenza impugnata.
3.1.– Questa Corte ha affermato che «[i]l giudice, ove ravvisi l’incompatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione dotato di efficacia diretta (Corte di giustizia dell’Unione europea, terza sezione, sentenza 1° luglio 2010, in causa C-194/08, Gassmayr), può non applicare la normativa interna, all’occorrenza previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (art. 267 TFUE), ovvero sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, primo comma, e dell’art. 11 Cost.» (sentenza n. 181 del 2024, punto 6.1. del Considerato in diritto).
Questa Corte non potrà esimersi dal rispondere, con gli strumenti che le sono propri e che comprendono una vasta gamma di tecniche decisorie, alle censure che investono la violazione di una norma europea (contenuta nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nei trattati o anche di diritto derivato, come nel caso di specie), che presenti un nesso con interessi o princìpi di rilievo costituzionale, così da assicurare il "tono costituzionale” della questione sollevata (sentenza n. 181 del 2024, punto 6.3. del Considerato in diritto).
In un sistema improntato a un concorso di rimedi, destinato ad assicurare la piena effettività del diritto dell’Unione e, per definizione, ad escludere ogni preclusione, il sindacato accentrato di costituzionalità non si pone in antitesi con un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo, ma con esso coopera nella costruzione di tutele sempre più integrate (sentenza n. 15 del 2024, punto 7.3.3. del Considerato in diritto).
Sarà il giudice a individuare il rimedio più appropriato, ponderando le peculiarità della vicenda sottoposta al suo esame. L’interlocuzione «con questa Corte, chiamata a rendere una pronuncia erga omnes, si dimostra particolarmente proficua, qualora l’interpretazione della normativa vigente non sia scevra di incertezze o la pubblica amministrazione continui ad applicare la disciplina controversa o le questioni interpretative siano foriere di un impatto sistemico, destinato a dispiegare i suoi effetti ben oltre il caso concreto, oppure qualora occorra effettuare un bilanciamento tra princìpi di carattere costituzionale» (sentenza n. 181 del 2024, punto 6.5. del Considerato in diritto).
3.2.– Il rimettente, nel sollevare le questioni di legittimità costituzionale, ha vagliato le specificità della vicenda controversa, che si innesta su un giudizio antidiscriminatorio e concerne un atto, il decreto del Presidente della Provincia autonoma di Trento, adottato in esecuzione della normativa censurata.
Come già questa Corte ha precisato in una fattispecie non dissimile (sentenza n. 15 del 2024), una pronuncia destinata a produrre effetti erga omnes rimuove in radice la discriminazione, in quanto incide sulla stessa disciplina di legge che l’ha determinata.
3.3.– Innegabile, inoltre, è il "tono costituzionale” delle questioni sollevate.
Al principio di eguaglianza, che ha valore fondante nel disegno costituzionale, si raccorda la parità di trattamento tra soggiornanti di lungo periodo e cittadini nazionali, sancita dall’art. 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/109/CE per «le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale» (lettera d) e per «l’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico e all’erogazione degli stessi, nonché alla procedura per l’ottenimento di un alloggio» (lettera f).
3.4.– L’interlocuzione con questa Corte si dimostra poi particolarmente proficua, in ragione delle divergenze sull’efficacia diretta della normativa europea, che sono emerse nei diversi gradi di giudizio (sentenza n. 181 del 2024, punto 6.5. del Considerato in diritto).
3.5.– Infine, una pronuncia di incostituzionalità, nel caducare un requisito che ha valenza generale, consente di porre rimedio alle incongruenze di una disciplina che per tutti, cittadini e stranieri, prescrive il requisito della residenza decennale. Si scongiura così il rischio delle "discriminazioni a rovescio”, che una disapplicazione, circoscritta ai soggiornanti di lungo periodo tutelati dalla direttiva 2003/109/CE, non mancherebbe di generare a danno degli altri beneficiari delle provvidenze.
4.– Le questioni sono fondate, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 11, paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva 2003/109/CE.
5.– Il diritto all’abitazione si configura come tratto saliente della «socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione» (sentenza n. 217 del 1988, punto 4.2. del Considerato in diritto) e come «un diritto fondamentale di natura sociale» (sentenza n. 209 del 2009, punto 2.3. del Considerato in diritto; nello stesso senso, ex multis, anche sentenza n. 67 del 2024, punto 6 del Considerato in diritto), indissolubilmente connesso con la dignità della persona.
Il rango primario del diritto in esame, speculare agli inderogabili doveri di solidarietà sociale, impone una tutela effettiva, che si estrinseca, tra l’altro, nell’assegnazione degli alloggi alle famiglie meno abbienti e nei sussidi per il canone di locazione.
Le prestazioni in materia di edilizia residenziale pubblica si configurano come un «servizio pubblico» (sentenza n. 417 del 1994, punto 6 del Considerato in diritto), finalizzato a «impedire che taluno resti privo di abitazione» (sentenza n. 404 del 1988, punto 4 del Considerato in diritto). L’offerta di un alloggio «a soggetti economicamente deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi» (sentenza n. 176 del 2000, punto 4 del Considerato in diritto) assicura agli stessi un’esistenza dignitosa (sentenza n. 168 del 2014, punto 2 del Considerato in diritto) ed è funzionale alla piena realizzazione della persona umana e all’effettivo esercizio degli altri diritti costituzionali.
Tali considerazioni si attagliano anche al contributo integrativo del canone di locazione, corrisposto a coloro che, pur ammessi nella graduatoria, non si collochino in posizione utile per ottenere l’assegnazione di un alloggio.
Anche questo sussidio sovviene al bisogno abitativo e partecipa delle medesime caratteristiche e delle medesime finalità dell’edilizia residenziale pubblica.
6.– I criteri selettivi individuati dal legislatore devono essere sorretti da una causa normativa adeguata, correlata alle caratteristiche e alle finalità delle provvidenze in esame.
Questa Corte è chiamata a vagliare la sussistenza e l’adeguatezza di tale correlazione al metro dell’art. 3 Cost., in un sindacato che prende le mosse dalla ratio della disciplina, per poi verificare la coerenza del criterio selettivo con la ratio di volta in volta enucleata (di recente, in una prospettiva più generale, sentenza n. 42 del 2024, punto 5.1. del Considerato in diritto).
7.– Quanto al requisito della residenza protratta, questa Corte è costante nell’affermare che esso può costituire un presupposto distorsivo.
Allorché assurge a una portata generale e dirimente, la residenza di lunga durata smarrisce ogni legame con le situazioni di bisogno o di disagio riferibili alla persona in quanto tale (fra le molte, sentenze n. 7 del 2021, punto 3.3. del Considerato in diritto, e n. 107 del 2018, punto 3.1. del Considerato in diritto) e rischia di precludere l’accesso alle prestazioni pubbliche alle persone che abbiano esercitato la libertà di circolazione o abbiano dovuto mutare residenza (sentenza n. 145 del 2023, punto 5 del Considerato in diritto).
8.– Per le scelte legislative che condizionano alla residenza protratta l’erogazione di prestazioni e servizi destinati a soddisfare bisogni vitali, come quello abitativo, si impone, pertanto, «uno stretto scrutinio di costituzionalità» (sentenza n. 9 del 2021, punto 4.2.2. del Considerato in diritto).
9.– Il requisito delineato dalla legge, censurato nella sua valenza generale, non supera tale scrutinio, sotto molteplici profili.
9.1.– Innanzitutto, la limitazione oggi sottoposta al vaglio di questa Corte non rinviene alcuna giustificazione persuasiva nell’esigenza di coordinamento con la disciplina del reddito di cittadinanza. Tale prestazione persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale e differisce dalle misure assistenziali dirette a soddisfare un bisogno primario della persona (sentenze n. 54 del 2024 e n. 19 del 2022).
La diversità che intercorre tra le due provvidenze non giustifica la scelta del legislatore provinciale di trasporre all’una i criteri valevoli per l’altra e di armonizzare le discipline mediante un’equiparazione indebita delle condizioni di accesso.
9.2.– Inoltre, la residenza pregressa, riferita all’intero territorio nazionale, neppure rispecchia un significativo radicamento nel territorio dell’ente deputato al riconoscimento della prestazione e non corrobora alcuna «prognosi di stanzialità» (sentenza n. 44 del 2020, punto 3.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 67 del 2024, punto 7.1.3.1. del Considerato in diritto).
9.3.– Né la ragionevolezza del requisito è avvalorata dalla sua applicabilità indistinta a cittadini e stranieri.
9.4.– La disciplina restrittiva non solo non è suffragata da una valida ragione giustificatrice, ma si rivela manifestamente irragionevole, in quanto disconosce ogni rilievo allo stato di bisogno e assurge a parametro esclusivo e dirimente, nella rigidità della preclusione che racchiude (sentenza n. 77 del 2023, punto 3.1. del Considerato in diritto), determinando «una ingiustificata diversità di trattamento tra persone che si trovano nelle medesime condizioni di fragilità» (sentenza n. 147 del 2024, punto 3.2. del Considerato in diritto).
Si nega così «in radice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica» (sentenza n. 44 del 2020, punto 3.1. del Considerato in diritto) e, nell’aggiungere un ulteriore e irragionevole ostacolo al disagio economico e sociale, si tradisce il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (sentenza n. 67 del 2024, punto 9 del Considerato in diritto).
9.5.– L’intrinseca irragionevolezza del presupposto tipizzato dalla legge provinciale censurata si coglie anche da una diversa angolazione.
I criteri limitativi muovono dalla premessa, contraddetta dalla realtà empirica, che il bisogno abitativo sia più pressante solo perché più lunga è la permanenza sul territorio nazionale e si attenui e meriti minor tutela a fronte di una presenza discontinua.
Così congegnato, il criterio selettivo pregiudica proprio chi sia costretto a trasferirsi di frequente, per le precarie condizioni di vita, e perciò si trovi in uno stato di più grave disagio (sentenza n. 147 del 2024, punto 3.2. del Considerato in diritto).
9.6.– È fondata, a tale riguardo, anche la censura che prospetta una discriminazione indiretta a scapito dei soggiornanti di lungo periodo, i quali, pur potendo vantare la permanenza quinquennale, necessaria per conseguire il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, più difficilmente cumulano i dieci anni di residenza richiesti dalla disposizione censurata.
Su questa platea di beneficiari, alla quale appartiene anche la parte del giudizio principale, più accentuata, dunque, è l’incidenza lesiva del requisito della residenza protratta.
Ne discende la violazione della parità di trattamento che l’art. 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/109/CE prescrive, con pienezza ed effettività di garanzie, con riguardo alle provvidenze dei sussidi per il canone, riconducibili alle previsioni della lettera d), e dell’accesso all’alloggio (lettera f).
10.– Il requisito della residenza prolungata sul territorio nazionale, in ultima analisi, si dimostra irragionevole e sproporzionato per tutti coloro, cittadini o stranieri, cui si applica.
11.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale degli artt. 5, comma 2-bis, e 3, comma 2-bis, della legge prov. Trento n. 15 del 2005, come introdotti, rispettivamente, dai commi 6 e 2 dell’art. 38 della legge prov. Trento n. 5 del 2019, nella parte in cui richiedono, per l’assegnazione dell’alloggio a canone sostenibile e per il contributo integrativo del canone di locazione, la residenza in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo.
12.– Restano assorbite le censure incentrate sulla violazione dell’art. 117, quinto comma, Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 5, comma 2-bis, e 3, comma 2-bis, della legge della Provincia autonoma di Trento 7 novembre 2005, n. 15, recante «Disposizioni in materia di politica provinciale della casa e modificazioni della legge provinciale 13 novembre 1992, n. 21 (Disciplina degli interventi provinciali in materia di edilizia abitativa)», come introdotti, rispettivamente, dai commi 6 e 2 dell’art. 38 della legge della Provincia autonoma di Trento 6 agosto 2019, n. 5 (Assestamento del bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2019-2021), nella parte in cui richiedono, per l’assegnazione dell’alloggio a canone sostenibile e per il contributo integrativo del canone di locazione, la residenza in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 2024.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Giovanni PITRUZZELLA, Redattore
Valeria EMMA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 3 gennaio 2025