SENTENZA N. 187
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Augusto Antonio BARBERA
Giudici: Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 35-ter, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale ordinario di Salerno, prima sezione civile, nel procedimento vertente tra V. P. e Ministero della giustizia, con ordinanza del 2 febbraio 2024, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
deliberato nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 2 febbraio 2024 (reg. ord. n. 33 del 2024) il Tribunale ordinario di Salerno, prima sezione civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 35-ter, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) nella parte in cui prevede che «il magistrato di sorveglianza liquida altresì al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a € 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio».
2.– L’illegittimità costituzionale è dedotta in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo poiché la quantificazione del risarcimento del danno per inumana detenzione è stabilita in misura fissa ed eccessivamente bassa, tenuto conto del fatto che si tratta di danno alla persona e di accertata violazione dei diritti dell’uomo protetti dalla CEDU.
3.– A sostegno delle proprie argomentazioni il rimettente richiama il conforme parere del Consiglio superiore della magistratura reso in data 30 luglio 2014, che ha evidenziato che il valore di cui si discute, rigidamente quantificato in euro 8 al giorno, è molto più basso del primo punto di invalidità previsto per il danno da lesione micro-permanente, aggiornato al 5 luglio 2014 in euro 795,91.
Inoltre, rappresenta che tale valore è molto inferiore al tasso di conversione delle pene pecuniarie in pene detentive di cui all’art. 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), che è pari a euro 250,00, nonché alla liquidazione operata dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo per il “caso Torreggiani” (Corte EDU, sezione seconda, sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri contro Italia), determinata in un valore superiore a euro 20 al giorno.
Pertanto, conclude per l’irragionevolezza della previsione normativa censurata.
4.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito la inammissibilità della questione per omessa descrizione della fattispecie concreta e la conseguente impossibilità di valutarne la rilevanza e la non manifesta infondatezza.
L’Avvocatura generale ha premesso che la norma censurata è stata introdotta al fine di ottemperare a quanto disposto dalla sentenza della Corte EDU, nel caso “Torreggiani e altri contro Italia”, nella quale era stato stabilito che lo Stato italiano dovesse predisporre un insieme di rimedi idonei a offrire una riparazione adeguata del pregiudizio derivante dal sovraffollamento carcerario.
L’interveniente ha illustrato che a tal fine si sono previsti due distinti rimedi: la riparazione in forma specifica, mediante riduzione della pena detentiva ancora da eseguire, e quella in forma equivalente, mediante corresponsione di una somma di denaro.
In proposito ha richiamato l’orientamento della Corte di cassazione, che ha qualificato il rimedio previsto dalla norma censurata come indennitario e, proprio in relazione al confronto tra il valore della riparazione per ingiusta detenzione e quello previsto per il ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, ha chiarito che il legislatore per contenere i costi, semplificare il meccanismo di calcolo e ridurre le variabili applicative, ha scelto «la via dell’indennizzo, cioè di un compenso di entità contenuta e di meccanica e uniforme quantificazione» (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 8 maggio 2018, n. 11018) in una logica di forfettizzazione che non tiene conto dei diversi gradi di intensità che può assumere la violazione dell’art. 3 CEDU.
Infine, ha sottolineato come tale rimedio sia stato ritenuto non irragionevole e non privo di effettività dalla stessa Corte EDU, sezione seconda, con la sentenza 16 settembre 2014, Stella contro Italia, e che la procedura nei confronti dell’Italia in merito al “caso Torreggiani”, che ha originato la norma censurata, è ormai conclusa; conseguentemente l’Avvocatura ha chiesto che la questione prospettata sia dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Salerno, prima sezione civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 35-ter, comma 2, della legge n. 354 del 1975 nella parte in cui determina, in maniera rigida, nella misura di euro 8 al giorno, il risarcimento del danno spettante al detenuto che abbia subito un trattamento carcerario inumano, per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3 CEDU.
2.– L’art. 3 CEDU stabilisce che nessuno può essere sottoposto a tortura né a trattamenti inumani o degradanti e il suo rispetto si è posto, per l’Italia, in relazione al tema del sovraffollamento carcerario, più volte sottoposto all’attenzione della Corte EDU finché nel 2013, con la sentenza Torreggiani, si sono date precise indicazioni per interventi idonei a riparare l’accertata lesione.
In particolare, con detta sentenza si è stabilito che l’Italia dovesse adottare misure organizzative del sistema penitenziario adeguate al rispetto della dignità dei detenuti e, quali misure idonee a far cessare subito le violazioni dell’art. 3 CEDU, si sono indicate: la maggior applicazione di misure punitive non privative della libertà personale e la riduzione del ricorso alla custodia cautelare, nonché l’individuazione di rimedi preventivi e compensativi, che devono coesistere in modo complementare e che devono determinare, l’uno, la rapida cessazione della violazione del diritto a non subire trattamenti inumani o degradanti, e, l’altro, la riparazione della suddetta violazione.
A seguito di tale pronuncia è stato adottato il decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92 (Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all’ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all’ordinamento penitenziario, anche minorile), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 117, che ha introdotto la norma oggi censurata, prevedendo – quale rimedio compensativo alle violazioni dell’art. 3 CEDU – uno sconto di pena di un giorno per ogni dieci di pena già eseguita e – quale rimedio riparatorio – il risarcimento del danno nella misura di euro 8 per ciascuna giornata di inumana detenzione.
Successivamente all’adozione del d.l. n. 92 del 2014, come convertito, la Corte EDU si è nuovamente pronunciata sulla situazione dei detenuti in Italia e nel “caso Stella” del 2014 ha preso atto dell’introduzione del meccanismo di riduzione di pena, che è stato definito «una riparazione soddisfacente per violazioni della Convenzione in materia penale», e ha riconosciuto l’importanza di aver predisposto un ricorso risarcitorio per porre rimedio ad una violazione della CEDU (Corte EDU, sentenza 16 settembre 2014, Stella contro Italia).
3.– Ciò premesso, nella specie la questione è però inammissibile.
4.– Per una congrua analisi della fattispecie lo scrutinio della Corte necessita di una più compiuta disamina da parte del giudice rimettente.
Infatti, il giudice a quo, nel denunciare il contrasto della norma censurata con la Costituzione, omette qualsivoglia riferimento alla fattispecie sottoposta al suo esame.
Egli si limita ad affermare di aver letto gli atti e di aver vista la documentazione acquisita, ma null’altro aggiunge sulla fattispecie concreta del giudizio, non dando conto del fatto dell’applicabilità della norma nel processo principale.
Mancando una pur minima descrizione della fattispecie e non essendo perciò possibile la valutazione sulla rilevanza, la questione deve essere dichiarata inammissibile (ex multis, sentenza n. 190 del 2023).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35-ter, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale ordinario di Salerno, prima sezione civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2024
Il Direttore della Cancelleria