ORDINANZA N. 177
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente:
Augusto Antonio BARBERA;
Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Palermo, sezione terza penale, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di N. A., con ordinanza del 27 ottobre 2023, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2023, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 2 luglio 2024.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2024 il Giudice relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera di consiglio del 4 luglio 2024.
Ritenuto che, con ordinanza del 27 ottobre 2023, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Palermo, sezione terza penale, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dall’assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato, denunciando la violazione degli artt. 3, primo comma, e 24 della Costituzione;
che il giudice rimettente riferisce di essere investito del processo penale nei confronti di un medico in servizio presso una struttura ospedaliera, imputato del reato di cui agli artt. 589 e 589-sexies [recte: 590-sexies] del codice penale: secondo l’ipotesi accusatoria, egli avrebbe omesso, per negligenza, imprudenza e imperizia, di effettuare doverosi controlli e diagnosi nel periodo successivo all’esecuzione di un intervento chirurgico, con ciò causando la morte della paziente;
che il rimettente riferisce, altresì, che il difensore dell’imputato, rilevato che il proprio assistito è tutelato nella sua attività da una polizza assicurativa «che prevede copertura anche per ipotesi di colpa grave e che in ipotesi di condanna [egli] intende avvalersi degli effetti di manleva della indicata polizza», ha chiesto di essere autorizzato a citare in giudizio, in qualità di responsabile civile, la compagnia assicurativa;
che, ai sensi dell’art. 83 cod. proc. pen., l’imputato non può, in via generale, chiedere la citazione del responsabile civile nel processo penale (essendo tale facoltà attribuita unicamente alla parte civile e, nel caso previsto dall’art. 77, comma 4, cod. proc. pen., al pubblico ministero), il giudice a quo ha sollevato le suddette questioni, mirando a ottenere – in relazione all’assicurazione obbligatoria prevista dalla legge n. 24 del 2017 – una pronuncia analoga a quelle di cui alle sentenze n. 112 del 1998 e n. 159 del 2022 di questa Corte;
che, con tali sentenze, l’art. 83 cod. proc. pen. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che l’assicuratore possa essere citato, nel processo penale, a richiesta dell’imputato, nelle ipotesi di responsabilità civile derivante dall’assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) e dall’assicurazione obbligatoria prevista dall’art. 12, comma 8, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio);
che le questioni sarebbero rilevanti, in quanto dalla loro decisione dipenderebbe l’accoglimento, o no, della richiesta di citazione del responsabile civile avanzata dal difensore dell’imputato;
che le questioni sarebbero, inoltre, non manifestamente infondate: la norma censurata si porrebbe, infatti, in contrasto, sia con l’art. 3, primo comma, Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento dell’imputato assoggettato all’azione di risarcimento del danno nel processo penale rispetto al convenuto con la stessa azione in sede civile, al quale è riconosciuto il diritto di chiamare in garanzia il proprio assicuratore; sia con l’art. 24 Cost., perché l’imputato, nei cui confronti è proposta nel processo penale una domanda di risarcimento dei danni causati nell’esercizio dell’attività sanitaria, sarebbe privato del diritto di difendersi con i medesimi strumenti e garanzie di cui dispone il convenuto in sede civile con identica azione;
che, ad avviso del giudice rimettente, sussisterebbero, d’altronde, i presupposti che hanno condotto questa Corte ad accogliere questioni analoghe con le citate sentenze n. 112 del 1998 e n. 159 del 2022, consentendo di qualificare l’assicuratore, anche nell’ipotesi in esame, come responsabile civile nei sensi indicati dall’art. 185, secondo comma, cod. pen. (soggetto tenuto per legge a risarcire il danno causato dal reato, in solido con l’imputato);
che, infatti, similmente a quanto avviene nei casi dell’assicurazione per la responsabilità civile automobilistica e per l’esercizio dell’attività venatoria, l’art. 10 della legge n. 24 del 2017 prevederebbe per gli esercenti l’attività sanitaria un’ipotesi di assicurazione obbligatoria – in particolare, laddove, al comma 3, stabilisce che «[a]l fine di garantire efficacia alle azioni di cui all’articolo 9 e all’articolo 12, comma 3, ciascun esercente la professione sanitaria operante a qualunque titolo in strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private provvede alla stipula, con oneri a proprio carico, di un’adeguata polizza di assicurazione per colpa grave» – mentre l’art. 12 della stessa legge stabilirebbe il diritto del danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’impresa di assicurazione del medico;
che il medesimo art. 12, al comma 4, prevederebbe, inoltre, nel caso di esercizio dell’azione diretta, un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra il soggetto danneggiato, l’esercente la professione sanitaria e la compagnia di assicurazione, analogamente a quanto stabilito dalla normativa sull’assicurazione della responsabilità civile automobilistica;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che sia dichiarata l’inammissibilità delle questioni;
che un primo profilo d’inammissibilità sarebbe legato al difetto di rilevanza: non risulterebbe in alcun modo, dall’ordinanza di rimessione, che i congiunti della persona offesa dal reato si siano costituiti parte civile nel processo penale, sicché l’imputato non avrebbe alcun interesse alla chiamata in causa del proprio assicuratore;
che altra ragione d’inammissibilità risiederebbe nella carente illustrazione dei fatti processuali rilevanti e nell’incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento da parte del giudice a quo, in quanto l’ordinanza ometterebbe di specificare quali rischi siano coperti dalla polizza assicurativa stipulata dall’imputato e come detta polizza si connetta agli obblighi assicurativi stabiliti nella legge n. 24 del 2017;
che la difesa statale mette in evidenza come questa Corte, con la sentenza n. 182 del 2023, abbia già dichiarato l’inammissibilità di questioni analoghe a quelle in esame, proprio a causa dell’incompleta ricostruzione, da parte del giudice rimettente, della disciplina della responsabilità medica e degli obblighi assicurativi delle strutture sanitarie e degli operatori che ivi prestino attività professionale;
che, ad ogni modo, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, l’inadeguata ricostruzione della cornice normativa di riferimento comprometterebbe l’iter logico-argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente, sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza, determinando l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Considerato che il Tribunale di Palermo, sezione terza penale, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dall’assicurazione obbligatoria prevista dalla legge n. 24 del 2017, l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato;
che la mancata previsione di tale possibilità, ad avviso del giudice a quo, comporterebbe la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., determinando un’irragionevole disparità di trattamento dell’imputato assoggettato all’azione di risarcimento del danno nel processo penale rispetto al convenuto, con la stessa azione, in sede civile, al quale è riconosciuto il diritto di chiamare in garanzia il proprio assicuratore;
che la norma censurata violerebbe, altresì, l’art. 24 Cost., perché priverebbe l’imputato, nei cui confronti è proposta nel processo penale una domanda di risarcimento dei danni causati nell’esercizio dell’attività sanitaria, del diritto di difendersi con i medesimi strumenti e garanzie di cui dispone il convenuto in sede civile con identica azione;
che, secondo il rimettente, sussisterebbero i presupposti che hanno condotto questa Corte ad accogliere questioni analoghe con le sentenze n. 112 del 1998 e n. 159 del 2022, poiché, come nella disciplina delle assicurazioni per la responsabilità civile automobilistica e per l’esercizio dell’attività venatoria, l’art. 10 della legge n. 24 del 2017 prevederebbe per gli esercenti l’attività sanitaria un’assicurazione obbligatoria e l’art. 12 della medesima legge riconoscerebbe al danneggiato il diritto ad agire direttamente nei confronti dell’impresa di assicurazione;
che l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito il difetto di rilevanza delle questioni, poiché dall’ordinanza di rimessione non emergerebbe che i congiunti della persona offesa si siano costituiti parte civile nel processo penale: di talché, l’imputato non avrebbe interesse alla chiamata in causa del proprio assicuratore e le questioni sarebbero ininfluenti nel giudizio principale;
che l’eccezione non è fondata, risultando in realtà chiaro, dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione, che nel giudizio a quo vi è stata la costituzione della parte civile: tale circostanza appare, infatti, implicita, dato che il giudice rimettente riferisce che il difensore dell’imputato – rilevato che il proprio assistito ha stipulato una polizza assicurativa «che prevede copertura anche per ipotesi di colpa grave e che in ipotesi di condanna [egli] intende avvalersi degli effetti di manleva della indicata polizza» – ha chiesto di poter citare in giudizio, in qualità di responsabile civile, la compagnia assicurativa e che l’accoglimento, o no, di tale richiesta dipenderebbe dall’esito delle questioni sollevate;
che la difesa statale eccepisce, altresì, l’inammissibilità delle questioni per l’incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento da parte del giudice a quo;
che tale eccezione è fondata;
che, come rilevato dall’Avvocatura dello Stato, questa Corte ha già dichiarato inammissibili analoghe questioni, in ragione del fatto che il giudice rimettente, nel ritenere che la fattispecie dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile connessa all’esercizio delle professioni sanitarie fosse omologabile a quelle dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti e dall’esercizio dell’attività venatoria, non aveva tenuto conto «della complessa articolazione degli obblighi assicurativi delineati dalla legge n. 24 del 2017, omettendo di incasellare in essa la fattispecie concreta di cui si discute nel giudizio principale» (sentenza n. 182 del 2023);
che il medesimo rilievo è riferibile anche all’odierna ordinanza di rimessione;
che il Tribunale di Palermo mostra, infatti, di ritenere che l’imputato nel giudizio a quo – accusato di aver causato, per colpa, la morte di una paziente in qualità di «sanitario in servizio presso [un o]spedale» – sia obbligato dalla legge a stipulare una polizza assicurativa a copertura dei danni causati a terzi nell’esercizio dell’attività professionale, polizza in relazione alla quale sarebbe attribuito al danneggiato il diritto di agire direttamente nei confronti dell’impresa assicuratrice;
che il rimettente, quindi, non si è avveduto che – diversamente dal medico che operi quale libero professionista (art. 10, comma 2, della legge n. 24 del 2017) – il medico cosiddetto "strutturato” non è affatto obbligato ad assicurarsi per i danni eventualmente arrecati nell’esercizio della professione, essendo i relativi rischi coperti dall’assicurazione, o analoga misura, imposta alla struttura sanitaria per cui il medico opera (art. 10, comma 1, terzo periodo, in relazione all’art. 7, comma 3, della legge n. 24 del 2017);
che l’obbligo assicurativo posto a carico dei medici "strutturati” dall’art. 10, comma 3, della legge n. 24 del 2017, richiamato dal rimettente, ha invece un diverso oggetto: tali professionisti devono, infatti, stipulare una polizza di assicurazione per colpa grave che garantisca l’efficacia della successiva azione di rivalsa esperita dalla struttura sanitaria che abbia (già) soddisfatto le pretese risarcitorie dei terzi, secondo quanto previsto dall’art. 9 della medesima legge (sentenza n. 182 del 2023);
che l’art. 12 della legge n. 24 del 2017 consente, sì, al danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’assicuratore, ma ciò solo quando si tratti dell’impresa che assicura la struttura sanitaria o il medico libero professionista: non, invece, nei confronti dell’assicuratore del medico "strutturato”, per l’ovvia ragione che la polizza che quest’ultimo è obbligato a stipulare copre debiti del medico legati ad azioni, quali quelle di rivalsa, «che si collocano "a valle” dell’esperimento (vittorioso) dell’azione risarcitoria da parte del danneggiato» (ancora, sentenza n. 182 del 2023);
che, in questa cornice, «[i]n nessun caso […] i dubbi di violazione degli artt. 3 […] e 24 Cost. adombrati dal rimettente potrebbero coinvolgere l’assicurazione obbligatoria prevista a carico del medico "strutturato” dal comma 3 dell’art. 10 della legge n. 24 del 2017»: nemmeno se convenuto in sede civile potrebbe, infatti, chiamare in garanzia la sua assicurazione, perché i danni per il cui risarcimento si chiede la manleva non sono coperti dalla polizza che tiene indenne il medico in caso di rivalsa (così la già citata sentenza n. 182 del 2023);
che, conclusivamente, anche nel caso odierno, l’inadeguata ricostruzione del quadro normativo di riferimento compromette le valutazioni del rimettente, sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza, determinando, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’inammissibilità delle questioni sollevate (sentenza n. 182 del 2023 e precedenti ivi richiamati);
che le questioni, pertanto, vanno dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 11, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Palermo, sezione terza penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2024