Ordinanza n. 106 del 2024

ORDINANZA N. 106

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 605, sesto comma, del codice penale, introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), e dell’art. 1, comma 15, della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma, nel procedimento penale a carico di M. M. e altri, con ordinanza del 4 luglio 2023, iscritta al n. 138 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 maggio 2024 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 21 maggio 2024.


Ritenuto che, con ordinanza del 4 luglio 2023, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 605, sesto comma, del codice penale, introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), e dell’art. 1, comma 15, della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), in riferimento agli artt. 3, 13, 97 e 112 della Costituzione;

che il rimettente auspica una pronuncia di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate a) «nei termini di cui in motivazione», ovvero b) «nella parte in cui non escludono dalla procedibilità a querela il delitto di sequestro perpetrato ai danni dei pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni e/o nel compimento di un atto dell’ufficio», c) «nella parte in cui non prevedono che si procede d’ufficio quando il fatto di cui all’art. 605 c.p., comma 1, è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio», d) «nella parte in cui non preved[ono] che si proceda d’ufficio quando il fatto di cui all’art. 605 c.p., comma 1, sia di lunga durata», e) «nella parte in cui non preved[ono] che si proceda d’ufficio quando il fatto di cui all’art. 605 c.p., comma 1, sia commesso da più persone riunite ai sensi dell’art. 110 c.p.»;

che il rimettente è giudice dell’udienza preliminare nel processo a carico di alcuni detenuti imputati, tra l’altro, del delitto di sequestro di persona di cui all’art. 605, primo comma, cod. pen. a danno di due agenti di custodia penitenziari;

che, nelle more del procedimento, è intervenuto un mutamento delle condizioni di procedibilità per tale delitto, che è divenuto procedibile a querela, in forza del nuovo sesto comma dell’art. 605 cod. pen. – introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 150 del 2022 –, a norma del quale «[n]ell’ipotesi prevista dal primo comma, il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità»;

che il mutamento delle condizioni di procedibilità del delitto di sequestro di persona è frutto dell’attuazione, da parte del legislatore delegato, del criterio di delega contenuto nell’art. 1, comma 15, lettera b), della legge n. 134 del 2021, che prevede «l’estensione del regime di procedibilità a querela di parte a ulteriori specifici reati contro la persona o contro il patrimonio nell’ambito di quelli puniti con pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni […] facendo salva la procedibilità d’ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità»;

che, a seguito dell’intervento legislativo ora descritto, l’udienza preliminare era stata rinviata per consentire la presentazione dell’eventuale querela di parte, come previsto dall’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022, ma il termine ivi indicato era inutilmente spirato;

che, in punto di rilevanza, il rimettente espone di dover fare applicazione dell’art. 605, sesto comma, cod. pen., come risultante dall’attuazione del criterio di delega di cui all’art. 1, comma 15, della legge n. 134 del 2021, al fine di pronunciare sentenza di non luogo a procedere;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo ravvisa un contrasto fra le disposizioni censurate e gli artt. 3, 13, 97 e 112 Cost.;

che, secondo l’ordinanza di rimessione, la modifica del regime di procedibilità del sequestro di persona nei casi previsti dall’art. 605, sesto comma, cod. pen. si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché la procedibilità a querela sarebbe irragionevole se comparata a quella d’ufficio prevista per «le norme incriminatrici regolanti i reati-base del sequestro di persona e le norme incriminatrici di altri delitti di sequestro», nonché ove comparata con «quelle norme incriminatrici che per reati normalmente procedibili a querela sanciscono la procedibilità d’ufficio allorquando siano connessi con reati procedibili d’ufficio»;

che, nella prospettazione del rimettente, il legislatore avrebbe violato anche gli artt. 13, 97 e 112 Cost., poiché la procedibilità a querela nei casi previsti dal sesto comma dell’art. 605 cod. pen., rispettivamente: a) darebbe vita a «un meccanismo privatistico con il quale la libertà personale, la maggiore delle libertà costituzionali, sarebbe trattata alla stregua di una merce di scambio di altri interessi e valori di minore rilevanza»; b) assumerebbe contorni ancora più irragionevoli in casi in cui vittime del sequestro fossero pubblici ufficiali, come nel caso oggetto del procedimento a quo; c) derogherebbe all’obbligatorietà dell’azione penale senza la finalità di tutelare maggiormente la vittima o, comunque, interessi costituzionalmente rilevanti aventi pari rango rispetto a quello della libertà personale (tali non potendo essere considerate le esigenze di deflazione del contenzioso perseguite dalla riforma);

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità e la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate;

che le questioni sarebbero, anzitutto, inammissibili, stante il divieto di pronunce di illegittimità costituzionale in malam partem in materia penale;

che, nel merito, le questioni sarebbero manifestamente infondate, poiché il legislatore si sarebbe mantenuto nell’ambito dell’ampia discrezionalità a lui riservata nelle scelte relative al regime di procedibilità dei singoli reati (è citata l’ordinanza di questa Corte n. 178 del 2003).

Considerato che il giudice a quo censura la scelta del d.lgs. n. 150 del 2022 di prevedere la procedibilità a querela del delitto di sequestro di persona di cui all’art. 605, primo comma, cod. pen., in attuazione del criterio di delega contenuto nell’art. 1, comma 15, della legge n. 134 del 2021;

che tuttavia, sulla base della formulazione letterale del criterio di delega contenuto nella lettera b) del predetto comma («prevedere l’estensione del regime di procedibilità a querela di parte a ulteriori specifici reati contro la persona o contro il patrimonio nell’ambito di quelli puniti con pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni; prevedere che ai fini della determinazione della pena detentiva non si tenga conto delle circostanze, facendo salva la procedibilità d’ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità»), il legislatore delegato aveva ampia discrezionalità nel selezionare i reati contro la persona, puniti con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, cui estendere la procedibilità a querela;

che il vizio lamentato dal rimettente concerne, dunque, esclusivamente le scelte del legislatore delegato: ciò che comporta la manifesta inammissibilità per aberratio ictus (da ultimo, sentenze n. 48 del 2023 e n. 22 del 2022, nonché ordinanza n. 53 del 2022) delle questioni formulate con riferimento alla legge delega;

che, quanto alle questioni concernenti l’art. 2, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 150 del 2022, cui si deve l’introduzione del nuovo sesto comma dell’art. 605 cod. pen., il fine che il rimettente persegue è quello di ripristinare, a seguito dell’auspicata dichiarazione di illegittimità costituzionale, il regime di procedibilità d’ufficio per tutti o, almeno, per una parte dei fatti previsti dall’art. 605, primo comma, cod. pen.;

che l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura generale dello Stato è fondata;

che, infatti, l’eventuale accoglimento delle questioni prospettate inciderebbe in senso peggiorativo sulla risposta punitiva nei confronti del condannato, ampliando il novero delle ipotesi di sequestro di persona perseguibili e punibili;

che la costante giurisprudenza di questa Corte afferma che «l’adozione di pronunce con effetti in malam partem in materia penale risulta, in via generale, preclusa dal principio della riserva di legge sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost., il quale, rimettendo al “soggetto-Parlamento” (sentenza n. 5 del 2014), che incarna la rappresentanza politica della Nazione (sentenza n. 394 del 2006), le scelte di politica criminale (con i relativi delicati bilanciamenti di diritti e interessi contrapposti), impedisce alla Corte, sia di creare nuove fattispecie o di estendere quelle esistenti a casi non previsti, sia di incidere in peius sulla risposta punitiva o su aspetti inerenti, comunque sia, alla punibilità (ex plurimis, sentenze n. 17 del 2021, n. 37 del 2019, n. 46 del 2014, n. 324 del 2008, n. 394 del 2006 e n. 161 del 2004; ordinanze n. 219 del 2020, n. 65 del 2008 e n. 164 del 2007)» (sentenza 84 del 2024, punto 2.2.1. del Considerato in diritto nonché sentenza n. 8 del 2022, punto 4 del Considerato in diritto);

che tale divieto si estende, in linea di principio, anche alle disposizioni che prevedono la procedibilità a querela di determinati delitti, disposizioni delle quali la giurisprudenza di legittimità predica la «natura mista, sostanziale e processuale», dal momento che la querela costituisce «nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità» (ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 20 giugno-18 settembre 2023, n. 38141; nello stesso senso, sezione seconda penale, sentenza 25 gennaio-23 marzo 2023, n. 12179);

che, proprio sulla base di tale natura mista, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno considerato la querela «come istituto da assimilare a quelli che entrano a comporre il quadro per la determinazione dell’an e del quomodo di applicazione del precetto», con conseguente applicazione alle disposizioni relative dei principi sulla successione delle leggi penali nel tempo di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen. (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 21 giugno-7 settembre 2018, n. 40150);

che, contrariamente a quanto argomentato dal rimettente, neppure può ritenersi che la disposizione censurata costituisca una norma penale di favore, soggetta al sindacato di questa Corte ancorché gli effetti della dichiarazione della sua illegittimità costituzionale ridondino in malam partem per l’imputato nel procedimento a quo (da ultima, in materia di norme penali di favore, sentenza n. 155 del 2019, punto 5 del Considerato in diritto);

che, infatti, questa Corte identifica le norme penali di favore in quelle disposizioni che «“sottraggono” una certa classe di soggetti o di condotte all’ambito di applicazione di altra norma, maggiormente comprensiva», configurando per tali soggetti o condotte un «trattamento privilegiato» (sentenza n. 394 del 2006, punto 6.1. del Considerato in diritto), mentre la disposizione censurata si limita a compiere una delle due fondamentali scelte che si spalancano al legislatore in ordine al regime di procedibilità di ciascun delitto;

che nemmeno potrebbe sostenersi che, nel vigente sistema penale, la procedibilità d’ufficio per i delitti costituisca la regola e la procedibilità a querela l’eccezione, sicché l’eliminazione dell’eccezione comporterebbe l’automatica riespansione della regola;

che, infatti, il legislatore mostra oggi un favor crescente per il regime di procedibilità a querela per i delitti che offendono diritti individuali, laddove il fatto non sia di particolare gravità e la vittima non versi in condizioni di vulnerabilità, che potrebbero viziarne la capacità di decidere liberamente se presentare querela o rimettere la querela già presentata: e ciò sia in funzione di obiettivi di deflazione processuale, direttamente connesse al principio – di rango costituzionale e convenzionale – della ragionevole durata del processo, sia nell’ottica di favorire soluzioni conciliative e riparatorie, in grado di soddisfare il giusto bisogno di tutela della vittima senza dover necessariamente pervenire all’esito della condanna e dell’inflizione della pena;

che, conseguentemente, il meccanismo per il quale la procedibilità a querela è oggetto di una previsione espressa, mentre non lo è il regime della procedibilità d’ufficio, costituisce soluzione di mera tecnica legislativa, che non sottende più la considerazione della procedibilità d’ufficio come regola o addirittura principio generale del sistema penale – come avveniva invece in passato, in forza dell’ormai superata concezione secondo cui ogni reato offende anzitutto gli interessi dell’intera collettività, rimanendo al margine la considerazione degli interessi della persona offesa nel singolo caso;

che, infine, non coglie nel segno l’argomento del rimettente secondo cui il sesto comma dell’art. 605 cod. pen. costituirebbe legge penale di favore rispetto alla pretesa lex generalis di cui all’art. 50, comma 2, cod. proc. pen. («[q]uando non è necessaria la querela, la richiesta, l’istanza o l’autorizzazione a procedere, l’azione penale è esercitata di ufficio»), giacché tale disposizione processuale – lungi dal presentarsi essa stessa come regola generale sulla procedibilità, suscettibile di riespandersi al venir meno della lex specialis – in realtà si limita a rinviare alle scelte, compiute aliunde e caso per caso dal legislatore, sul regime di procedibilità dei singoli reati;

che, per tale assorbente ragione, anche le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 605, sesto comma, cod. pen., come introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 150 del 2022, debbono essere ritenute manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 11, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 605, sesto comma, del codice penale, introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), e dell’art. 1, comma 15, della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13, 97 e 112 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2024