Sentenza n. 90 del 2024

SENTENZA N. 90

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente:

Augusto Antonio BARBERA

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), promosso dal Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra M. Z. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 6 dicembre 2022, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 9 aprile 2024 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Mauro Sferrazza e Massimo Boccia Neri per l’INPS, nonché l’avvocato dello Stato Pietro Garofoli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 10 aprile 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 6 dicembre 2022 (r. o. n. 131 del 2023), il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in rifermento agli artt. 3, 4, primo comma, 36 e 41 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), nella parte in cui prevede, senza possibilità di valutare il caso concreto, l’obbligo di restituire l’intera anticipazione della Nuova assicurazione sociale per l’impiego (d’ora in avanti: NASpI) se il beneficiario stipuli un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta.

1.1.– In punto di fatto, il rimettente riferisce che, a seguito dell’interruzione del rapporto di lavoro in ragione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e del conseguente stato di disoccupazione involontaria, il lavoratore aveva domandato la liquidazione anticipata dell’indennità NASpI, a lui spettante fino al 28 maggio 2021, al fine di intraprendere l’attività imprenditoriale di esercizio commerciale (un bar). La domanda veniva accolta, in data 23 settembre 2019, e gli importi, che sarebbero spettati con cadenza mensile, gli venivano versati in una unica soluzione.

Il rimettente riferisce, altresì, che nel giudizio a quo il ricorrente ha prodotto la dichiarazione dei redditi per l’anno 2019 e per l’anno 2020, e che da quest’ultima era risultata la mancanza di redditi conseguente alla chiusura del bar stabilita dalla decretazione d’urgenza a causa della pandemia da COVID-19 esplosa nell’anno 2020. Per tale ragione il ricorrente aveva deciso di non proseguire l’attività di impresa e iniziato, in data 15 febbraio 2021, un nuovo rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. L’azienda era stata ceduta in data 30 aprile 2021, per un corrispettivo molto inferiore a quello pagato inizialmente per rilevarla (quasi un decimo del prezzo di acquisto).

Avendo il lavoratore costituito il rapporto di lavoro subordinato (il 15 febbraio 2021) prima che spirasse il termine coperto dalla NASpI (28 maggio 2021), l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con missiva del 5 ottobre 2021, gli chiedeva la restituzione dell’intero importo erogato a titolo di anticipata liquidazione della NASpI, pari a 19.796,90 euro.

Il lavoratore, pertanto, proponeva opposizione avverso tale richiesta chiedendo l’accertamento della non debenza dell’asserito indebito, oggetto della ripetizione pretesa dall’Istituto.

L’INPS si costituiva affermando che la propria pretesa era fondata sull’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015.

Su sollecitazione della parte ricorrente il rimettente ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale della disposizione indicata.

1.2.– In punto di rilevanza, nell’ordinanza si dà atto che – avendo il ricorrente ottenuto l’anticipazione dell’intero trattamento NASpI, nella sussistenza dei requisiti di legge, quali la cessazione involontaria del rapporto di lavoro e la relativa pregressa contribuzione – la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato durante il periodo al quale si riferisce la NASpI comporta l’obbligo restitutorio dell’intera somma percepita in ragione della testuale applicazione dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015.

Infatti, l’inizio del rapporto di lavoro si colloca al 15 febbraio 2021, ovvero nel periodo coperto dall’indennità di disoccupazione, la cui spettanza si sarebbe protratta fino al 28 maggio 2021.

Pertanto, in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale di tale disposizione, verrebbe meno il fondamento della pretesa restitutoria vantata dall’INPS. Da ciò, la rilevanza delle questioni sollevate.

In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente dà atto che questa Corte, con sentenza n. 194 del 2021, ha già scrutinato la disposizione censurata dichiarando non fondata la relativa questione, che, però, avrebbe riguardato un caso non assimilabile a quello in esame.

In particolare, nel caso già esaminato, il lavoratore aveva costituito un rapporto di lavoro subordinato, sia pure per la durata di pochi giorni, in costanza dello svolgimento dell’attività di impresa.

Pertanto, i principi affermati nella predetta sentenza non sarebbero applicabili al caso in esame, in quanto il ricorrente ha effettivamente intrapreso e poi svolto un’attività imprenditoriale (un esercizio commerciale di ristoro), sopportando anche notevoli costi per rilevare un’azienda, salvo dovervi poi rinunciare di fronte ad un evento assolutamente imprevedibile quale è stata l’emergenza pandemica.

Ad avviso del rimettente, la disposizione oggetto di censura si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, per un duplice aspetto; da un lato, nei casi di impossibilità sopravvenuta dello svolgimento dell’attività di impresa, la disposizione censurata evidenzierebbe una incoerenza tra l’integrale restituzione dell’indennità percepita e l’effettivo svolgimento dell’attività di impresa; ed analoga incoerenza sussisterebbe sotto il profilo della sproporzione degli effetti.

In particolare, il rimettente evidenzia che nella fattispecie il ricorrente ha acquistato l’attività commerciale da un terzo per un costo pari a quarantacinquemila euro, somma superiore all’importo anticipato dall’INPS; l’attività, poi, è stata esercitata per oltre un anno tra il 2019 e il 2021, ma la pandemia per COVID-19, manifestatasi all’inizio del 2020, ha inciso negativamente sulla redditività degli esercizi pubblici; ciò era dimostrato, nella specie, dalla mancanza di reddito per l’anno 2020 (essendo stato documentato che i ricavi sono stati pari a 4.414 euro, e dunque superati dai costi). La costituzione del rapporto di lavoro subordinato tre mesi prima della scadenza del periodo di NASpI si giustificava con l’esigenza del ricorrente di procurarsi un reddito per elementari esigenze di sussistenza.

Osserva il rimettente che l’integrale restituzione dell’indennità percepita non può trovare ragionevole giustificazione nella finalità antielusiva quando sia dimostrato, come nel caso di specie, che l’attività imprenditoriale è stata iniziata e proseguita anche con l’impiego di capitali rilevanti, per poi interrompersi a seguito di un evento imprevedibile, nella specie la pandemia legata alla diffusione del COVID-19, che ha obbligato i titolari di esercizi commerciali alla chiusura degli stessi per periodi non trascurabili.

Quanto all’assenza di proporzionalità della reazione legislativa, il rimettente evidenzia che nella sentenza n. 194 del 2021 questa Corte ha sì evidenziato come la scelta del legislatore «fosse stata esercitata in modo non manifestamente irragionevole», precisando altresì che «sarebbe possibile ipotizzare criteri alternativi, connotati, da una qualche flessibilità».

In definitiva – secondo il giudice a quo – la restituzione integrale dell’anticipata liquidazione della NASpI rappresenterebbe una conseguenza irragionevole nella sua rigidità, che non lascia né all’INPS né al giudice alcun margine di valutazione in relazione al caso concreto.

Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, il rimettente afferma che la disposizione censurata, nel prevedere l’integrale restituzione della somma anticipata sarebbe comunque irragionevole, in quanto l’importo anticipato è stato interamente utilizzato al fine di acquistare l’attività economica, con la conseguenza che la restituzione integrale risulterebbe eccessivamente gravosa, anche alla luce delle perdite già subite dal ricorrente, il quale ha venduto l’attività per un prezzo molto inferiore a quello di acquisto. Inoltre, la sproporzione emergerebbe anche dalla considerazione della brevità del periodo del rapporto di lavoro subordinato, ricadente in quello della NASpI (soli tre mesi dalla sua scadenza).

Sussisterebbe anche la violazione dell’art. 4, primo comma, Cost., che tutela il diritto al lavoro nelle sue declinazioni di lavoro dipendente (art. 36 Cost.) e di lavoro autonomo (art. 41 Cost.).

Al riguardo, il rimettente osserva che la disposizione censurata impedisce per i percettori dell’indennità anticipata, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato per tutto il periodo in cui viene corrisposta la NASpI, a pena della restituzione integrale dell’importo ricevuto. Si tratta, a suo giudizio, di una inammissibile deroga all’art. 4, primo comma, Cost. che riconosce in generale il diritto al lavoro.

Sussisterebbe, altresì, il contrasto con l’art. 36 Cost., in quanto per effetto della disposizione in esame, il soggetto percettore dell’indennità anticipata si troverebbe davanti alla scelta di rinunciare allo svolgimento di attività retribuita al fine di evitare di restituire l’importo ricevuto, privandosi del reddito necessario per la sua sussistenza.

Infine, vi sarebbe il contrasto con l’art. 41 Cost., in relazione al principio della libera imprenditorialità che va riconosciuta anche ai soggetti percettori della NASpI anticipata.

In conclusione, secondo il rimettente, l’incidenza della emergenza pandemica sulla concreta possibilità di proseguire l’attività imprenditoriale costituisce un argomento che richiede un nuovo intervento di questa Corte sulla disposizione censurata, nella parte in cui prevede l’obbligo di integrale restituzione dell’importo anticipato, senza criteri di flessibilità che permettano di adeguare la decisione al caso concreto.

2.– Con atto depositato il 30 ottobre 2023, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate.

2.1.– L’Avvocatura, in primo luogo, eccepisce l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, in quanto l’ordinanza di rimessione mirerebbe a introdurre un precetto vago, non connotato da precisione e tassatività, che imporrebbe all’INPS una valutazione estremamente discrezionale circa la dimostrazione, da parte del beneficiario della prestazione, tanto della reale iniziativa e prosecuzione dell’attività economica, quanto dei motivi che abbiano eventualmente condotto alla chiusura dell’esercizio.

In particolare, la difesa statale evidenzia che la decisione in ordine all’an e al quantum della restituzione dell’anticipazione erogata sarebbe subordinata al riscontro di fattori eccezionali, identificati dalle nozioni di impossibilità sopravvenuta e di evento imprevedibile, così come indicato nell’ordinanza di rimessione.

A tal riguardo, richiamando la citata sentenza n. 194 del 2021, la difesa statale afferma che il temporaneo vincolo in costanza di svolgimento dell’attività imprenditoriale, per la quale è stata corrisposta l’anticipazione, non impedirebbe al lavoratore di svolgere anche altre attività di lavoro autonomo.

Nel merito, l’Avvocatura afferma che, in riferimento alla violazione del parametro costituzionale di cui all’art. 3 Cost., la questione è già stata ritenuta non fondata nella richiamata sentenza n. 194 del 2021.

Nello specifico, deduce che l’eventuale necessitata cessazione dell’attività imprenditoriale rientra nell’ambito del normale rischio di impresa che grava su ogni imprenditore.

La difesa statale osserva poi che, proprio per far fronte all’emergenza pandemica, il legislatore ha previsto misure a sostegno di tutti i lavoratori danneggiati da tale evento eccezionale e in situazione di debolezza economica, come tali meritevoli di tutela (lavoratori autonomi, collaboratori coordinati e continuativi, artigiani, commercianti e professionisti).

Si tratta degli interventi di cui agli artt. 27, 28, 44 e 44-bis del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27; agli artt. 78 e 84 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77; e, inoltre, di cui agli artt. 9 e 13 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 13 ottobre 2020, n. 126, e di cui all’art. 15 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176.

Con specifico riferimento alle attività imprenditoriali, rilevano, poi, i contributi a fondo perduto previsti dall’art. 25 del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, e dall’art. 1 del d.l. n. 137 del 2020, come convertito.

Ad avviso della difesa statale, gli effetti negativi derivati dalla pandemia non possono configurarsi come eventi di forza maggiore idonei a liberare i soggetti dalle obbligazioni restitutorie sorte nell’ambito di rapporti giuridici ordinari.

Infine, l’Avvocatura evidenzia la non fondatezza anche delle censure riferite alla violazione dell’art. 4, primo comma, Cost., in quanto la norma non prevede alcun divieto di assumere un rapporto di lavoro subordinato, ma prevede solo l’obbligo di restituire l’incentivo erogato per intraprendere l’attività di lavoro autonomo.

La disposizione censurata sarebbe coerente anche con gli artt. 36 e 41 Cost., dal momento che la ratio ad essa sottesa è conforme alle politiche di contrasto della disoccupazione e di incremento dell’occupazione, come affermato nella sentenza n. 194 del 2021.

3.– Con atto depositato il 27 ottobre 2023, l’INPS si è costituito in giudizio deducendo, in via preliminare, l’inammissibilità delle questioni.

L’Istituto osserva che l’ordinanza di rimessione non contiene la formulazione di un petitum specifico e determinato, non indicando il verso della addizione richiesta.

Nel merito, la difesa dell’Istituto sostiene la non fondatezza delle questioni per le ragioni indicate nella sentenza n. 194 del 2021.

Non è decisivo che l’attività imprenditoriale sia stata effettivamente iniziata e svolta per circa un anno, in quanto, come stabilito nella richiamata sentenza, ciò che rileva è l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo in cui sarebbe stata erogata la prestazione periodica.

Secondo l’INPS, poi, non sarebbe pertinente l’osservazione secondo cui la pandemia abbia colpito in modo severo le attività imprenditoriali e, in particolare, i pubblici esercizi ed in specie i “bar”. In tutti i casi di intrapresa attività commerciale è consustanziale un accettato rischio imprenditoriale connesso al modificarsi delle condizioni fattuali ed economiche dell’attività.

Inoltre, l’Istituto ha richiamato i provvedimenti a sostegno del reddito per i lavoratori autonomi e imprenditori in periodo di pandemia da COVID-19.

Quanto all’ulteriore profilo di censura, ovvero alla mancanza di proporzionalità insita nell’obbligo della integrale restituzione, l’INPS richiama l’affermazione contenuta nella sentenza n. 194 del 2021, secondo cui tale obbligo non è una sanzione.

Né potrebbe assumere rilievo, trattandosi di un inconveniente di fatto, il dato dell’aver venduto l’attività ad un prezzo ridotto, tanto più a fronte del rimedio dell’azione generale di rescissione ex art. 1448 del codice civile, alla quale sarebbe stato possibile fare ricorso per recuperare l’evidente sproporzione tra il valore dell’attività commerciale e il prezzo pagato dal terzo compratore.

Priva di fondamento risulterebbe anche l’asserita violazione dell’art. 4, primo comma, Cost., in quanto la disposizione censurata non impedisce affatto la costituzione di un rapporto di lavoro, atteso che la restituzione dell’anticipata liquidazione della NASpI risponde ad un criterio di autoresponsabilità del suo percettore.

La finalità dell’incentivo alla autoimprenditorialità risponde allo scopo di indirizzare il lavoratore disoccupato verso attività autonome per ridurre la pressione sul mercato del lavoro subordinato.

Quanto alla pretesa violazione dell’art. 36 Cost., l’Istituto deduce che ogni indebito oggettivo previdenziale comporta, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., la necessaria restituzione integrale, in ipotesi secondo un piano di rateizzazione, così come previsto dalla normativa interna del medesimo Istituto.

Rimarrebbe esclusa anche la violazione dell’art. 41 Cost., in quanto la restituzione dell’incentivo risponde ad un criterio di autoresponsabilità del percettore. In ogni caso si verserebbe nel campo delle scelte discrezionali del legislatore.

3.1.– Con memoria depositata in data 16 marzo 2024, l’INPS ha ribadito le proprie argomentazioni in punto di manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 6 dicembre 2022 (r. o. n. 131 del 2023), il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in rifermento agli artt. 3, 4, primo comma, 36 e 41 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, nella parte in cui prevede, senza alcuna possibilità di valutare il caso concreto, l’obbligo di restituire l’intera anticipazione della NASpI se il beneficiario stipuli un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta.

2.– Il rimettente riferisce di essere investito di un giudizio di opposizione avverso la richiesta dell’INPS di restituzione integrale dell’anticipazione della NASpI, erogata al lavoratore ricorrente, quale incentivo all’autoimprenditorialità per intraprendere l’attività di esercizio commerciale di ristoro (un bar).

Dopo aver chiarito che nel caso in esame l’anticipazione dell’indennità era stata corrisposta in un’unica soluzione in relazione ad importi spettanti fino al 28 maggio 2021, il giudice a quo dà atto che il ricorrente ha dimostrato, allegando documentazione, di non aver conseguito alcun reddito a causa dell’interruzione dell’esercizio dell’attività commerciale, avvenuta in conformità alla decretazione d’urgenza adottata nel corso della pandemia esplosa nel marzo del 2020; per tale ragione il ricorrente aveva accettato, in data 15 febbraio 2021, un lavoro a tempo determinato.

Fondando la propria pretesa sull’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, l’INPS ha domandato la restituzione dell’intero importo erogato a titolo di NASpI, pari a 19.796,90 euro, per avere l’opponente intrapreso il rapporto di lavoro subordinato nel periodo coperto dall’indennità.

Ciò precisato, il rimettente sostiene che la disposizione indicata è affetta da illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede l’obbligo della restituzione integrale dell’anticipazione NASpI, nel caso in cui il beneficiario abbia stipulato un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta, senza consentire al giudice di adeguare la decisione sull’obbligo restitutorio al caso concreto nel quale l’attività imprenditoriale sia divenuta impossibile per cause sopravvenute, come accaduto nella specie, per effetto dell’emergenza pandemica.

Ad avviso del rimettente, sussisterebbe il contrasto con l’art. 3 Cost., in riferimento al principio di ragionevolezza e al principio di proporzionalità, in quanto l’integrale restituzione non troverebbe alcuna giustificazione rivelandosi eccessivamente gravosa, là dove l’interruzione dell’attività imprenditoriale, effettivamente avviata, sia dovuta ad impossibilità sopravvenuta.

Sarebbero violati anche gli artt. 4, 36 e 41 Cost., perché la previsione della restituzione dell’intero ammontare della NASpI si porrebbe in contrasto con il precetto costituzionale che riconosce il diritto al lavoro, nella duplice declinazione di lavoro dipendente e di lavoro autonomo.

Il rimettente sottolinea, infatti, che la disposizione censurata, da un lato, impedisce ai percettori dell’indennità anticipata la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato per tutto il periodo in cui sarebbe dovuta la NASpI, a meno di non subire la restituzione integrale dell’indennità, salvo intraprendere la strada del lavoro autonomo; scelta non esigibile a causa della situazione di crisi economica determinata dalla pandemia; dall’altro, finisce con l’incidere negativamente anche sulla libertà di svolgere una attività imprenditoriale, poiché i percettori della liquidazione anticipata della NASpI si troverebbero obbligati a proseguire in ogni caso un’attività imprenditoriale fino al termine del periodo coperto dalla misura.

3.– In primo luogo, quanto al profilo dell’ammissibilità delle questioni, occorre esaminare le eccezioni dell’INPS e del Presidente del Consiglio dei ministri, che muovono, sostanzialmente, da medesime considerazioni.

Sia la difesa statale che quella dell’Istituto assumono che l’ordinanza di rimessione difetti di un petitum specifico e determinato, poiché non indicherebbe il verso della addizione richiesta per la reductio ad legitimitatemprospettando, altresì, meri inconvenienti di fatto.

Più specificamente, l’Avvocatura dello Stato deduce l’inammissibilità delle questioni perché l’ordinanza mirerebbe ad introdurre un precetto vago, non connotato da precisione e tassatività, che imporrebbe all’INPS una valutazione altamente discrezionale sia ai fini della dimostrazione dell’effettivo inizio e prosecuzione dell’attività economica e dei motivi che abbiano determinato la mancata prosecuzione, sia quanto ai criteri oggettivi per la quantificazione delle perdite e dei guadagni connessi all’attività imprenditoriale e alla non volontarietà della cessazione dell’attività.

Secondo la difesa dell’INPS, poi, non sarebbe chiaro se il rimettente intenda richiedere l’integrale caducazione della norma o un intervento manipolativo, peraltro non consentito, versandosi in un settore cui spetta al legislatore la risoluzione di aspetti problematici di politiche del lavoro.

3.1.– Le eccezioni non sono fondate.

Al riguardo, va sottolineato che questa Corte, nella sentenza n. 194 del 2021, concernente una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la medesima disposizione oggi censurata (infra, punti 5 e 5.1.), ha disatteso una analoga eccezione di inammissibilità, affermando che «in generale, l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure (sentenza n. 175 del 2018), spettando a questa Corte, ove ritenuto sussistente il denunciato vizio di illegittimità costituzionale, individuare il dispositivo più idoneo a rimuovere tale vizio».

Nella medesima sentenza si è anche precisato che nei casi in cui il petitum sia di carattere additivo, «la questione è inammissibile solo se l’ordinanza di rimessione omette di indicare in maniera sufficientemente circostanziata il verso della addizione che sarebbe necessaria per la reductio ad legitimitatem (sentenza n. 175 del 2018)».

Spetta infatti a questa Corte, ove ritenga fondate le questioni, «di individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata, non essendo vincolata alla formulazione del petitum dell’ordinanza di rimessione nel rispetto dei parametri evocati, stante anche che “l’assenza di soluzioni costituzionalmente vincolate” non compromette l’ammissibilità delle questioni stesse (ex plurimis, sentenza n. 59 del 2021) quando sia rinvenibile nell’ordinamento una soluzione adeguata al parametro di riferimento» (sentenza n. 221 del 2023).

Le eccezioni dell’Avvocatura dello Stato e della difesa dell’INPS non sono dunque fondate, atteso che il giudice a quo indica, in modo sufficientemente compiuto, il contenuto della pronuncia additiva auspicata, laddove dubita della legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, nella parte in cui prevede l’obbligo della restituzione integrale dell’anticipazione NASpI senza possibilità di adeguare tale obbligo restitutorio nell’ipotesi in cui la prosecuzione dell’attività sia stata impedita dall’impossibilità sopravvenuta di svolgere l’attività imprenditoriale e il beneficiario abbia stipulato un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta.

4.– Prima di esaminare il merito delle censure, va innanzi tutto richiamata, in sintesi, la ricostruzione dell’evoluzione del quadro legislativo di riferimento, già operata da questa Corte nella sentenza n. 194 del 2021.

In particolare, ed ai fini che qui interessano, è stato evidenziato che la disposizione censurata, per favorire la ricollocazione del lavoratore, involontariamente inoccupato, al di fuori del mercato del lavoro subordinato, consente all’avente diritto al trattamento NASpI di ottenerne la corresponsione anticipata per poter avviare un’attività autonoma, di impresa o in forma cooperativa.

Più specificamente, l’art. 8 del d.lgs. n. 22 del 2015 stabilisce al comma 1 che «[i]l lavoratore avente diritto alla corresponsione della NASpI può richiedere la liquidazione anticipata, in unica soluzione, dell’importo complessivo del trattamento che gli spetta e che non gli è stato ancora erogato, a titolo di incentivo all’avvio di un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio».

Qualora, però, il lavoratore instauri un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI, la disposizione censurata stabilisce che egli è tenuto a restituire «per intero» l’anticipazione ottenuta, eccettuando la sola ipotesi in cui il rapporto di lavoro subordinato sia instaurato con la cooperativa della quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.

Nella citata sentenza n. 194 del 2021, questa Corte ha sottolineato come il presupposto dell’incentivo in esame – al pari di quelli che ne costituiscono i precedenti, ovvero la corresponsione anticipata dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), di cui all’art. 2, comma 19, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) e, in un contesto normativo diverso, l’indennità di mobilità erogata in via anticipata ex art. 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro) – consista nell’agevolare il lavoratore nell’intraprendere un’attività autonoma o avviare un’impresa al fine «di favorire il reimpiego del lavoratore “disoccupato” in un’attività diversa da quella di lavoro subordinato, allo scopo di ridurre la pressione sul relativo mercato».

Più di recente, poi, nella sentenza n. 38 del 2024 – che ha scrutinato, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 41, primo comma, Cost., l’art. 7, comma 5, della legge n. 223 del 1991, nella parte in cui «nell’interpretazione datane dal diritto vivente della Corte di cassazione», esclude la compatibilità della indennità di mobilità ricevuta ratealmente e periodicamente con lo svolgimento di un’attività lavorativa autonoma, imponendo al lavoratore autonomo la necessità della richiesta di corresponsione anticipata, pena la perdita del diritto – questa Corte ha evidenziato che anche tale modalità di erogazione costituisce «una sorta di finanziamento destinato a uno scopo, quello dell’investimento in un’attività autonoma o di impresa, per far fronte alle spese iniziali dell’attività che il lavoratore in mobilità svolgerà in proprio, così fuoriuscendo dal mercato del lavoro dipendente».

L’erogazione della NASpI, in via anticipata e in una unica soluzione, costituisce dunque, per la finalità che intende perseguire, una modalità di corresponsione del beneficio del tutto peculiare rispetto alla erogazione “ordinaria” della stessa indennità; se il lavoratore inoccupato non intende avvalersi di tale incentivo all’autoimprenditorialità, la NASpI segue la disciplina prevista, in particolare, dagli artt. 5 e 7 del d.lgs. n. 22 del 2015.

Al di fuori dell’opzione per l’erogazione anticipata, infatti, l’art. 5 del d. lgs. n. 22 del 2015 stabilisce che «[l]a NASpI è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione […]».

Quanto alle condizionalità dell’indennità, l’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 2015 prescrive, al comma 1, che «[l’]erogazione della NASpI è condizionata alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa nonché ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Servizi competenti ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni», prevedendosi, altresì, al comma 2, «ulteriori misure volte a condizionare la fruizione della NASpI alla ricerca attiva di un’occupazione e al reinserimento nel tessuto produttivo», nonché al comma 3, «le condizioni e le modalità per l’attuazione della presente disposizione nonché le misure conseguenti all’inottemperanza agli obblighi di partecipazione alle azioni di politica attiva di cui al comma 1», da adottare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali «entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».

5.– Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo della violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, è fondata.

5.1.– Deve innanzi tutto evidenziarsi che questa Corte, con la sentenza n. 194 del 2021, ha già valutato la disciplina oggetto dell’odierna censura con riferimento alla fattispecie generale: quella dell’insorgenza dell’obbligo di restituzione integrale dell’anticipazione della NASpI quando il lavoratore, pur continuando ad esercitare l’attività per la quale è stato corrisposto l’incentivo all’autoimprenditorialità ai sensi del comma 4 dell’art. 8 del d.lgs. n. 22 del 2015, abbia costituito, seppur per un periodo limitato, un rapporto di lavoro subordinato, percependo la relativa retribuzione. È l’ipotesi di un’attività di lavoro subordinato svolta contemporaneamente a quella imprenditoriale, per la quale sia stata erogata l’anticipazione della NASpI.

Questa Corte ha inoltre rimarcato che l’anticipazione dell’incentivo all’imprenditorialità ha la finalità di «favorire il reimpiego del lavoratore “disoccupato” in un’attività diversa da quella di lavoro subordinato, allo scopo di ridurre la pressione sul relativo mercato» ed ha aggiunto che «[s]i tratta, in sostanza, di forme tipiche di legislazione promozionale, volte ad incentivare l’iniziativa autonoma individuale, quale forma di occupazione “alternativa” rispetto al lavoro dipendente, “convertendo” in lavoratori autonomi o imprenditori i lavoratori in cerca di occupazione, con l’ulteriore possibile effetto indotto, per lo stesso mercato del lavoro, della eventuale insorgenza di nuove occasioni di lavoro nel medio-lungo periodo».

Si giustifica, quindi, la previsione della restituzione integrale dell’importo dell’incentivo avendo questa Corte ricondotto tale obbligo alla «specifica finalità di contrasto del possibile abuso da parte di chi chiede il beneficio senza poi intraprendere, in concreto, un’attività di lavoro autonomo o di impresa», in quanto «[l’]eventuale instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, proprio nel periodo in cui spetterebbe altrimenti la prestazione periodica, è un indice rivelatore della mancanza di effettività e di autenticità dell’attività di lavoro autonomo o di impresa, che giustifica la liquidazione anticipata della prestazione, altrimenti spettante con cadenza periodica».

Nel riconoscere che il contrasto dell’elusione è al fondo di tale disciplina, sempre la sentenza n. 194 del 2021 ha chiarito che «l’obbligo restitutorio è coerente con l’indicata finalità antielusiva della disposizione censurata, che è quella di evitare che il trattamento corrisposto in via anticipata non sia realmente utilizzato per intraprendere e poi proseguire un’attività di lavoro autonomo, di impresa o in forma cooperativa» e, ancora, che «la ratio dell’obbligo restitutorio, previsto dalla disposizione censurata, è costituita da una più specifica finalità di contrasto del possibile abuso da parte di chi chiede il beneficio senza poi intraprendere, in concreto, un’attività di lavoro autonomo o di impresa».

Posto, poi, che la restituzione integrale dell’anticipazione non ha natura “sanzionatoria”, questa Corte ha evidenziato che il rapporto di lavoro subordinato instaurato nel periodo di spettanza della NASpI assurge a «elemento fattuale indicativo della mancanza o insufficienza del presupposto stesso del beneficio – ossia dell’inizio, e poi prosecuzione, di un’impresa individuale (o in cooperativa) ovvero di un’attività di lavoro autonomo».

Pur riconducendo tale disciplina, di particolare rigore, alla discrezionalità del legislatore, esercitata in modo non manifestamente irragionevole, questa Corte, con la medesima sentenza, ha comunque evidenziato la possibilità di «ipotizzare criteri alternativi, connotati da una qualche flessibilità, non dissimili, ad esempio, da quello che prevede la compatibilità della prestazione di lavoro subordinato di modesta entità con la spettanza dell’erogazione periodica – non già anticipata – della NASpI (art. 9 del d.lgs. n. 22 del 2015)».

5.2.– I principi enunciati dalla sentenza n. 194 del 2021, successivamente confermati dalla sentenza n. 38 del 2024, vanno ulteriormente ribaditi anche con riferimento all’ipotesi di promozione di un’attività imprenditoriale che in concreto non consegua i risultati sperati dal lavoratore, percettore dell’anticipazione della NASpI. Quest’ultimo infatti – beneficiando dell’erogazione integrale, senza essere tenuto a rispettare le condizionalità di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 2015, quali la regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa, nonché ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai servizi competenti, e l’onere di ricerca attiva di un’occupazione per il reinserimento nel tessuto produttivo – accetta di sperimentare il percorso alternativo di promuovere un’attività imprenditoriale, assumendo anche il relativo rischio d’impresa che ne costituisce una componente intrinseca.

Il rischio di impresa è insito nella finalità stessa dell’incentivo all’autoimprenditorialità, stante che al lavoratore è lasciata la scelta di beneficiare dell’indennità della NASpI, in un’unica soluzione e nell’importo complessivo del trattamento che gli spetta, in luogo dell’erogazione periodica soggetta alle condizionalità di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 2015, all’inottemperanza delle quali conseguirebbe l’interruzione della percezione della prestazione.

Se il lavoratore opta per l’incentivo all’autoimprenditorialità, percependo subito e integralmente, senza le condizionalità dell’art. 7 citato, quanto altrimenti conseguirebbe periodicamente e sub condicione, è ben evidente che deve “mettere in conto” il possibile esito negativo dell’attività di impresa, essendo esso compreso in tale calcolo di convenienza.

5.3.– Diversa è, invece, la fattispecie, oggetto del giudizio principale, che concerne l’ipotesi particolare in cui il percettore dell’anticipazione dell’indennità, dopo aver intrapreso e svolto per un significativo periodo di tempo l’attività imprenditoriale, non possa proseguirla per cause sopravvenute e imprevedibili, a lui non imputabili, e costituisca un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo della NASpI. Anche per questa fattispecie particolare la disposizione censurata impone che il percettore dell’anticipazione dell’indennità, se instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI, sia tenuto a restituire «per intero» l’anticipazione ottenuta, benché l’attività imprenditoriale non sia proseguita a causa di una condizione di impossibilità sopravvenuta o di insuperabile oggettiva difficoltà.

In tale evenienza, però, emerge per un verso che, qualora l’attività imprenditoriale sia stata effettivamente iniziata e proseguita per un apprezzabile periodo di tempo, grazie all’utilizzo dell’incentivo all’autoimprenditorialità, la finalità antielusiva risulta esaurita, in quanto pienamente realizzata, e quindi non si verte in una situazione in cui possa esserci «mancanza di effettività e di autenticità dell’attività di lavoro autonomo o di impresa» (sentenza n. 194 del 2021).

Per altro verso, non può essere priva di rilevanza la circostanza che il percettore dell’anticipazione si sia trovato nella situazione di non poter proseguire l’attività imprenditoriale per causa a lui non imputabile.

A fronte di un accadimento imprevisto può insorgere l’impossibilità o la oggettiva insuperabile difficoltà della prosecuzione dell’attività di impresa, in concreto avviata e fino ad allora esercitata; ciò che fa diventare sproporzionata l’integralità dell’obbligo restitutorio, rendendo lo stesso inesigibile secondo i canoni di correttezza e buona fede, che in generale integrano il rapporto obbligatorio. Ed infatti, la clausola generale di cui all’art. 1175 cod. civ., che impone alle parti del rapporto obbligatorio di comportarsi secondo correttezza, «vincola il creditore a esercitare la sua pretesa in maniera da tenere in debita considerazione, in rapporto alle circostanze concrete, la sfera di interessi che fa riferimento al debitore» (sentenza n. 8 del 2023).

In questa particolare contingenza la previsione della restituzione integrale, per il caso in cui il lavoratore non abbia altra scelta che procurarsi un reddito mediante l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo coperto dalla indennità, stante l’impossibilità di proseguire l’attività autonoma, risulta affetta da un rigore eccessivo, che si traduce in intrinseca irragionevolezza e mancanza di proporzionalità, di tal che non si giustifica più l’integralità dell’obbligo restitutorio dell’anticipazione in luogo della sua parametrazione alla durata del rapporto stesso.

Il rigore della regola, che impone la restituzione integrale con riferimento alla fattispecie generale, non può andare disgiunto da una clausola di flessibilità che tenga conto delle ipotesi particolari. Nella specie, laddove per cause indipendenti dalla volontà del percettore l’attività imprenditoriale, per la quale l’anticipata liquidazione della NASpI risulti essere stata effettivamente utilizzata, non possa essere proseguita, la integralità della restituzione difetta di proporzionalità, dovendo la stessa essere invece riparametrata affinché l’obbligo restitutorio risulti commisurato al periodo di mancata prosecuzione dell’attività d’impresa.

Se, dunque, il rischio di impresa – come già rilevato – comporta la non irragionevolezza dell’obbligo della restituzione integrale quando l’attività imprenditoriale risulti improduttiva, in conseguenza di scelte legate alla conduzione dell’attività aziendale, che abbiano portato all’insuccesso della stessa, ciò non può predicarsi ove la prosecuzione dell’attività sia divenuta impossibile o di oggettiva insuperabile difficoltà, per un fatto sopravvenuto non imputabile al lavoratore, il quale infine rinunci a continuarla.

È quanto accade, in particolare, se l’impossibilità di proseguire l’attività d’impresa derivi da condizioni di forza maggiore, come nella specie per il factum principis rappresentato dalle misure di contrasto della pandemia da COVID-19 e dalle relative chiusure o restrizioni per gli esercizi pubblici, solo alleviate da sostegni e provvidenze, o derivi da altre circostanze similari, quali eventi naturali o fenomeni atmosferici estremi o finanche fatti dell’uomo (come in caso di devastazione dolosa ad opera della criminalità), ma tutti non imputabili al percettore dell’incentivo.

6.– In definitiva, senza la necessaria parametrazione dell’obbligo restitutorio nelle indicate evenienze particolari, la disposizione censurata vìola i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’art. 3 Cost.

7.– La questione di legittimità costituzionale è fondata anche in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 4, primo comma, Cost.

La disposizione censurata, nel prevedere l’obbligo restitutorio integrale dell’anticipazione quando la prosecuzione dell’attività di impresa sia divenuta impossibile o di oggettiva insuperabile difficoltà, per causa sopravvenuta non imputabile al lavoratore, finisce con il violare anche il diritto al lavoro, dal momento che ai percettori dell’indennità anticipata, che senza colpa abbiano rinunciato a proseguire l’attività imprenditoriale, è sostanzialmente preclusa la possibilità di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato per tutto il successivo periodo in cui sarebbe dovuta la NASpI.

Salvo occasioni di lavoro autonomo, il lavoratore, per non essere obbligato a restituire integralmente l’anticipazione, dovrebbe rimanere inattivo e attendere – senza lavorare, appunto – la scadenza del periodo per il quale è stata concessa l’anticipazione; ciò che potrebbe finanche privarlo dei mezzi di sussistenza.

È configurabile, pertanto, la violazione altresì dell’art. 4 Cost., il quale è declinato finanche come «dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

8.– Resta assorbito ogni ulteriore profilo di censura.

9.– Così accertata la violazione dei parametri costituzionali evocati dal rimettente, si tratta ora di stabilire un rimedio appropriato a tale violazione.

Il giudice a quo aspira a una pronuncia che sostituisca l’attuale obbligo restitutorio integrale con la previsione di criteri di flessibilità che permettano di adeguare la decisione al caso concreto, laddove il lavoratore, percettore dell’anticipazione della NASpI, non abbia potuto continuare l’attività imprenditoriale a cagione di una situazione di forza maggiore o di una sopravvenuta causa a lui non imputabile.

Ritiene questa Corte che i vizi denunciati possano essere rimediati proporzionando l’obbligo restitutorio alla durata del rapporto di lavoro subordinato instaurato nel periodo coperto dall’indennità della NASpI. Con riferimento a tale periodo la NASpI risulta, in parte qua, priva di causa e quindi indebita; alla estensione di tale periodo, pertanto, va commisurato l’obbligo restitutorio come soluzione adeguata ad assicurare il rispetto dei sopra richiamati parametri di legittimità costituzionale.

10.– Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, nella parte in cui non limita l’obbligo restitutorio dell’anticipazione della NASpI nella misura corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, quando il lavoratore non possa proseguire, per causa sopravvenuta a lui non imputabile, l’attività di impresa per la quale l’anticipazione gli è stata erogata.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), nella parte in cui non limita l’obbligo restitutorio dell’anticipazione della Nuova assicurazione sociale per l’impiego (NASpI) nella misura corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, quando il lavoratore non possa proseguire, per causa sopravvenuta a lui non imputabile, l’attività di impresa per la quale l’anticipazione gli è stata erogata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 aprile 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2024