SENTENZA N. 23
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Augusto Antonio BARBERA;
Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 4, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso dal Giudice di pace di Bari nel procedimento penale a carico di I.F.A. L., con ordinanza del 25 settembre 2019, iscritta al n. 32 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2023, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 9 gennaio 2024.
Udito nella camera di consiglio del 10 gennaio 2024 il Giudice relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera di consiglio del 10 gennaio 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 25 settembre 2019, depositata in cancelleria l’8 marzo 2023 e iscritta al n. 32 del registro ordinanze 2023, il Giudice di pace di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale, dell’art. 17, comma 4, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che, nel procedimento davanti al giudice di pace, l’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione sia trattata in udienza camerale, con la presenza del difensore della persona sottoposta alle indagini, o che quest’ultima ne sia quantomeno informata al fine di garantire il contraddittorio, anche in via cartolare.
2.– Il giudice a quo, premesso di essere investito del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato di cui all’art. 582 del codice penale, riferisce che, in sede di discussione finale, il difensore ha eccepito l’illegittimità costituzionale del citato art. 17, comma 4, del d.lgs. n. 274 del 2000, sotto il profilo indicato.
Il giudice rimettente reputa i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dal difensore non manifestamente infondati, rilevando che, nel procedimento davanti al giudice di pace, l’art. 17 del d.lgs. n. 274 del 2000 consente alla sola persona offesa dal reato di proporre opposizione alla richiesta di archiviazione per sollecitare ulteriori indagini o la formulazione della cosiddetta imputazione coatta, mentre all’indagato – non informato di tale iniziativa – non verrebbe garantita alcuna possibilità di interloquire, svolgendo difese e offrendo spunti per ulteriori indagini a sostegno della richiesta stessa.
Tale disciplina risulterebbe «asimmetrica» rispetto a quella operante nel procedimento per i reati di competenza del tribunale, riguardo al quale l’art. 409, comma 2, del codice di procedura penale stabilisce che «[s]e non accoglie la richiesta, il giudice entro tre mesi fissa la data dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso al pubblico ministero, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa dal reato». Nel procedimento ordinario, inoltre, il pubblico ministero, quando conclude le indagini preliminari e non intende chiedere l’archiviazione, deve notificare all’indagato l’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., garantendogli così il diritto al contraddittorio.
In sostanza, quindi, mentre nel procedimento per i reati reputati più gravi, devoluti al tribunale, il legislatore avrebbe rispettato integralmente i principi di parità delle parti nel contraddittorio e nella formazione della prova (art. 111 Cost.) e di inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 Cost.), nel procedimento per i reati di competenza del giudice di pace, considerati meno gravi, il legislatore avrebbe ritenuto «di affievolire il concreto rispetto di tali canoni costituzionali». In quest’ultimo procedimento, l’indagato viene infatti a conoscenza dell’eventuale opposizione alla richiesta di archiviazione solo nel caso in cui il giudice disponga l’imputazione coatta, con conseguente emissione dell’atto di citazione a giudizio da parte del pubblico ministero. L’indagato non verrebbe quindi messo in condizione di offrire, sin dalla fase delle indagini preliminari, possibili elementi a discarico atti a supportare l’archiviazione.
Ad avviso del rimettente, la scelta legislativa non potrebbe essere giustificata con gli obiettivi di speditezza e semplificazione che – come emerge dalla relazione governativa al d.lgs. n. 274 del 2000 – improntano la disciplina del procedimento dinnanzi al giudice di pace. La possibilità di modulare variamente la partecipazione dell’indagato alla fase delle indagini preliminari non potrebbe risolversi, comunque sia, in una compressione dei principi posti dai citati artt. 24 e 111 Cost., ai quali dovrebbe riconoscersi caratteri di inderogabilità e di «assoluta preminenza». Peraltro, la norma censurata non sarebbe neppure idonea a realizzare gli accennati obiettivi di speditezza e semplificazione, dato che essa impedisce al giudice di conoscere e apprezzare elementi che potrebbero, in ipotesi, evitare l’avvio di un inutile processo penale.
In tale ottica, la disparità di trattamento dell’indagato, secondo che si proceda per reati di competenza del tribunale o del giudice di pace, indotta dalla norma censurata, si rivelerebbe lesiva anche del principio di eguaglianza «formale e sostanziale» (art. 3 Cost.), in quanto non rispettosa del canone della ragionevolezza.
3.– Le questioni sarebbero per altro verso «rilevanti ai fini del decidere», in quanto, nel giudizio a quo, si era verificata proprio l’ipotesi dell’imputazione coatta a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione da parte della persona offesa: sicché «la partecipazione dell’imputato nella fase dell’indagine preliminare […] avrebbe potuto fornire ulteriori elementi consentendo al Giudice di Pace in funzione di G.I.P. di valutare compiutamente l’ipotesi di archiviazione, potendo così evitare un procedimento penale ove privo di elementi sufficienti per il prosieguo».
La rilevanza – secondo il rimettente – risulterebbe «altresì dalla non manifesta infondatezza» delle questioni.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 32 del 2023), il Giudice di pace di Bari ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 4, del d.lgs. n. 274 del 2000, nella parte in cui non prevede che, nel procedimento davanti al giudice di pace, l’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione sia trattata in udienza camerale, con la presenza del difensore della persona sottoposta alle indagini, o che quest’ultima ne sia quantomeno informata al fine di garantire il contraddittorio, anche in via cartolare.
Il giudice a quo rileva che, nel procedimento per reati di competenza del tribunale, l’art. 409, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce che, in caso di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, debba essere fissata una udienza in camera di consiglio, cui partecipa il difensore dell’indagato, all’esito della quale il giudice per le indagini preliminari decide se archiviare, o no, il procedimento. Ciò non è previsto, invece, dalla norma censurata, in relazione al procedimento che si svolge davanti al giudice di pace, con la conseguenza che, in esso, l’indagato non è messo in condizione di contrastare l’iniziativa della persona offesa, svolgendo difese e adducendo elementi a sostegno della richiesta di archiviazione.
Il rimettente ravvisa in ciò la violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3), di inviolabilità del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e di parità delle parti nel contraddittorio e nella formazione della prova (art. 111 Cost.). La rilevata “asimmetria” non potrebbe, infatti, essere giustificata con le esigenze di speditezza e semplificazione che caratterizzano il procedimento davanti al giudice di pace, le quali non consentirebbero la compressione dei principi costituzionali evocati. La norma censurata, peraltro, non sarebbe neppure idonea a realizzare i fini di speditezza avuti di mira dal legislatore, poiché impedirebbe al giudice di tener conto di elementi che potrebbero evitare l’avvio di un inutile processo.
2.– Le questioni sono inammissibili.
2.1.– Il rimettente – investito del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato di lesioni personali – fa discendere la rilevanza delle questioni dal mero fatto che, nel giudizio a quo, si era verificata proprio l’ipotesi della cosiddetta imputazione coatta, disposta dal giudice di pace svolgente funzioni di giudice per le indagini preliminari a seguito dell’opposizione alla richiesta di archiviazione da parte della persona offesa, senza che l’indagato fosse stato messo in condizione di formulare le proprie difese. Secondo il rimettente, la rilevanza risulterebbe altresì «dalla non manifesta infondatezza» delle questioni.
2.2.– Di là da quest’ultima affermazione – che indebitamente sovrappone due profili di scrutinio tra loro autonomi – va, riguardo alla prima, osservato che la norma oggetto delle questioni di legittimità attiene a una fase del procedimento (le indagini preliminari) anteriore e distinta rispetto a quella di cui il rimettente è investito. Si tratta di fase oramai conclusa, nella quale la norma stessa ha già trovato applicazione ad opera del giudice di pace investito delle funzioni di GIP.
Nell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo non indica in relazione a quale evenienza propria della fase dibattimentale egli debba, a propria volta, applicare la norma censurata e in quale modo la pronuncia additiva richiesta sia suscettibile di incidere sullo svolgimento di tale fase. Ciò impedisce a questa Corte di verificare per quale profilo la risoluzione del quesito possa avere concreta rilevanza in rapporto alla fase in cui si trova il giudizio a quo, anche nei soli termini, propri di tale verifica, di un controllo “esterno” sulla “non implausibilità” della motivazione al riguardo offerta dal giudice a quo.
3.– Alla luce di quanto precede, le questioni vanno pertanto dichiarate inammissibili per difetto di adeguata motivazione sulla rilevanza.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 4, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice di pace di Bari con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2024