Sentenza n. 150 del 2023

SENTENZA N. 150

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 103, commi 5 e 6, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, sezione prima, nel procedimento vertente tra O. A. e il Ministero dell’interno e altro, con ordinanza del 14 novembre 2022, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2023 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

deliberato nella camera di consiglio del 7 giugno 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 14 novembre 2022 (reg. ord. n. 149 del 2022), il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, sezione prima, ha sollevato, in via principale in riferimento all’art. 76 della Costituzione e all’art. 17, commi 2 e 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e in via subordinata in riferimento all’art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, commi 5 e 6, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di rigetto dell’istanza di emersione per difetto del requisito reddituale in capo al datore di lavoro, il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione.

2.– Il giudice rimettente espone di essere investito del ricorso proposto da un cittadino straniero irregolarmente soggiornante in Italia, per l’annullamento del provvedimento con cui la Prefettura di Ascoli Piceno – Sportello unico per l’immigrazione ha rigettato la domanda di emersione, presentata in suo favore ai sensi dell’art. 103, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, per mancanza del requisito reddituale prescritto dal comma 6 del medesimo art. 103 e dall’art. 9 del decreto del Ministro dell’interno del 27 maggio 2020 (Modalità di presentazione dell’istanza di emersione di rapporti di lavoro).

Il TAR Marche ha accolto la domanda cautelare con ordinanza n. 383 del 2021, in esecuzione della quale la Prefettura ha rilasciato al ricorrente un permesso di soggiorno per attesa occupazione valido fino alla pubblicazione della sentenza di merito; successivamente, all’udienza di discussione, ha trattenuto la causa in decisione, ritenendo necessario sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, commi 5 e 6, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito.

3.– Con riferimento alla rilevanza delle questioni, il giudice a quo osserva che la motivazione del diniego della domanda di emersione si fonda sull’assenza del reddito minimo normativamente richiesto al datore di lavoro.

Il comma 6 del citato art. 103 prevede, infatti, che, «con decreto del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ed il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali», di cui al precedente comma 5, siano «stabiliti i limiti di reddito del datore di lavoro richiesti per l’instaurazione del rapporto di lavoro». Il d.m. 27 maggio 2020, all’art. 9, comma 2, prescrive, ai fini dell’«emersione di un lavoratore addetto al lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare o all’assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o disabilità che ne limitino l’autosufficienza», un reddito imponibile del datore di lavoro non inferiore a «20.000,00 euro annui in caso di nucleo familiare composto da un solo soggetto percettore di reddito, ovvero [a] 27.000,00 euro annui in caso di nucleo familiare inteso come famiglia anagrafica composta da più soggetti conviventi».

Dall’accoglimento delle questioni sollevate, che investono appunto i commi 5 e 6 dell’art. 103 nella parte in cui impongono il suindicato limite reddituale, deriverebbero, pertanto, l’illegittimità e il conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

4.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, ad avviso del TAR rimettente, la norma censurata si porrebbe in contrasto, in via principale, con l’art. 76 Cost. e l’art. 17 della legge n. 400 del 1988, che esprimono «la necessità che, laddove l’organo titolare del potere legislativo decida di delegare tale potere, al legislatore delegato, sia esso primario che secondario, devono pur sempre essere imposti limiti all’esercizio della delega». Nella specie, il legislatore delegato non avrebbe indicato nessun criterio direttivo per l’individuazione del reddito minimo richiesto per accedere alla procedura di emersione, neanche in relazione alle disposizioni del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).

5.– In via subordinata, il giudice rimettente ritiene le questioni di legittimità costituzionale non manifestamente infondate in riferimento all’art. 3 Cost., in quanto l’art. 103, commi 5 e 6, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, non consentirebbe, con una disposizione analoga a quella prevista dall’art. 5, comma 11-bis, del decreto legislativo 16 luglio 2012, n. 109 (Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare), il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione, nell’ipotesi di difetto del requisito reddituale in capo al datore di lavoro, nonostante il lavoratore non sia in grado di verificarne la sussistenza al momento della conclusione del rapporto di lavoro.

Se la ratio della norma censurata è quella di evitare la presentazione, e l’accoglimento, di domande di emersione relative a rapporti di lavoro fittizi, una volta che la veridicità di detti rapporti sia accertata, sarebbe lesivo dell’art. 3 Cost. far gravare sul lavoratore le conseguenze dei «casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro».

Di conseguenza, il rimettente censura i menzionati commi 5 e 6 dell’art. 103, nella parte in cui non prevedono, «a differenza di quanto era accaduto per la c.d. emersione del 2012», che, «laddove il rigetto della domanda di emersione sia dovuto esclusivamente a fatti e condotte ascrivibili al datore di lavoro (quale è, con riferimento al caso di specie, il mancato possesso del requisito reddituale minimo di cui all’art. 9 del d.m. 27 maggio 2020), al lavoratore vada comunque rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione o un altro titolo corrispondente alla situazione lavorativa – anche sopravvenuta – che l’interessato riesca a comprovare».

In proposito, il giudice a quo richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’assenza del requisito reddituale «non rientrerebbe fra i fatti imputabili esclusivamente al datore di lavoro, ai sensi e per gli effetti del comma 11-bis [dell’art. 5] del D.lgs. n. 109/2012», ammettendone l’opinabilità e ritenendo che si tratti di «questione di merito» che, comunque, non si porrebbe nel giudizio a quo, non essendo prevista, nella normativa del 2020, un’analoga disposizione.

6.– Ad avviso del TAR Marche, la norma censurata creerebbe un’irragionevole disparità di trattamento anche rispetto all’art. 9, comma 5, del d.m. 27 maggio 2020, che non richiede la verifica dei requisiti reddituali qualora il datore di lavoro sia «affetto da patologie o disabilità che ne limitano l’autosufficienza», se la dichiarazione di emersione è effettuata «per un unico lavoratore addetto alla sua assistenza».

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 14 novembre 2022 (reg. ord. n. 149 del 2022), il TAR Marche, sezione prima, ha sollevato in via principale, in riferimento all’art. 76 Cost. e all’art. 17, commi 2 e 3, della legge n. 400 del 1988, e in via subordinata, in riferimento all’art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, commi 5 e 6, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di rigetto dell’istanza di emersione per difetto del requisito reddituale in capo al datore di lavoro, il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione.

1.1.– Il giudice rimettente riferisce di essere investito del ricorso proposto da un cittadino straniero irregolarmente soggiornante in Italia, per l’annullamento del provvedimento con cui la Prefettura di Ascoli Piceno – Sportello unico per l’immigrazione ha rigettato la domanda di emersione, presentata in suo favore ai sensi dell’art. 103, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, per mancanza del requisito reddituale prescritto dal comma 6 del menzionato art. 103 e dall’art. 9 del d.m. 27 maggio 2020.

1.2.– Ad avviso del TAR rimettente, la norma censurata si porrebbe in contrasto, in via principale, con l’art. 76 Cost. e l’art. 17 della legge n. 400 del 1988, in quanto il legislatore delegante non avrebbe indicato nessun criterio direttivo per l’individuazione in capo al datore di lavoro del reddito minimo richiesto per accedere alla procedura di emersione.

1.3.– In via subordinata, il giudice rimettente asserisce che l’art. 103, commi 5 e 6, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, violerebbe l’art. 3 Cost., determinando un’irragionevole disparità di trattamento sia rispetto all’art. 5, comma 11-bis, del d.lgs. n. 109 del 2012, che, «[n]ei casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro», consente il rilascio al lavoratore di un permesso di soggiorno per attesa occupazione; sia rispetto all’art. 9, comma 5, del d.m. 27 maggio 2020, che, nell’ipotesi di datore di lavoro «affetto da patologie o disabilità che ne limitano l’autosufficienza» e di dichiarazione di emersione effettuata «per un unico lavoratore addetto alla sua assistenza», non richiede alcun requisito reddituale.

2.– Le questioni devono essere dichiarate d’ufficio inammissibili.

3.– La questione sollevata in via principale, in riferimento all’art. 76 Cost., è inammissibile perché il giudice a quo ha evocato un parametro manifestamente inconferente. Nella specie, infatti, non viene in rilievo alcuna delega legislativa, avendo la norma censurata rinviato, per la sua attuazione, a un decreto ministeriale.

4.– La questione sollevata, sempre in via principale, in riferimento all’art. 17, commi 2 e 3, della legge n. 400 del 1988 è inammissibile perché il rimettente ha invocato una norma di legge ordinaria non già come norma interposta rispetto a un parametro costituzionale, bensì direttamente come parametro del giudizio di legittimità costituzionale.

5.– Anche la questione sollevata in via subordinata, in riferimento all’art. 3 Cost., è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

5.1.– Ad avviso del rimettente, i commi 5 e 6 del censurato art. 103 determinerebbero un’irragionevole disparità di trattamento rispetto all’art. 5, comma 11-bis, del d.lgs. n. 109 del 2012, il quale, nel disciplinare una precedente procedura di emersione, prevedeva che, nei casi in cui la relativa domanda fosse rigettata «per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro», al lavoratore venisse rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione.

In proposito, il TAR richiama i diversi orientamenti della giurisprudenza amministrativa sulla riconducibilità o meno dell’assenza del requisito reddituale ai «fatti imputabili esclusivamente al datore di lavoro, ai sensi e per gli effetti del comma 11-bis [dell’art. 5] del D.lgs. n. 109/2012», ammettendo l’opinabilità delle soluzioni interpretative proposte, senza però prendere posizione sulle stesse.

Tuttavia, la questione sollevata si basa sul presupposto che il tertium comparationis operi anche nel caso in cui il datore di lavoro sia privo del requisito reddituale; ma tale presupposto, come si è detto, è controverso e, anzi, contestato dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, sicché sarebbe stato onere del rimettente argomentare su questo profilo.

Non prendendo posizione sull’interpretazione del citato art. 5, comma 11-bis, l’ordinanza di rimessione presenta delle carenze in punto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, che determinano, secondo la giurisprudenza costituzionale, l’inammissibilità della questione sollevata (ex plurimis, sentenze n. 30 e n. 87 del 2021, n. 54 del 2020, n. 33 del 2019).

5.2.– Ad avviso del giudice a quo, inoltre, la norma censurata determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento rispetto all’art. 9, comma 5, del d.m. 27 maggio 2020, che, nell’ipotesi di datore di lavoro «affetto da patologie o disabilità che ne limitano l’autosufficienza» e di dichiarazione di emersione effettuata «per un unico lavoratore addetto alla sua assistenza», non richiede alcun requisito reddituale.

La questione è parimenti inammissibile perché la violazione del principio di uguaglianza è denunciata in riferimento ad una norma secondaria, contenuta in un decreto ministeriale, come tale inidonea ad essere assunta a tertium comparationis nel giudizio di legittimità costituzionale imperniato sull’art. 3 Cost.

6.– Per le ragioni sopra esposte, le questioni di legittimità costituzionale sollevate in via principale, in riferimento agli artt. 76 Cost. e 17, commi 2 e 3, della legge n. 400 del 1988, e in via subordinata, in riferimento all’art. 3 Cost., vanno dichiarate inammissibili.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, commi 5 e 6, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione e all’art. 17, commi 2 e 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, sezione prima, con l’ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Valeria EMMA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2023