Ordinanza n. 255 del 2021

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ORDINANZA N. 255

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione n. 406/XVIII del 13 ottobre 2021 del Collegio dei questori del Senato della Repubblica e di ogni altro atto presupposto, omesso o collegato, promosso da Gianluigi Paragone, in qualità di senatore, con ricorso depositato in cancelleria l’8 novembre 2021, iscritto al n. 7 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2021, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2021 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

deliberato nella camera di consiglio del 15 dicembre 2021.

Ritenuto che con ricorso depositato l’8 novembre 2021 (reg. confl. poteri n. 7 del 2021) il senatore Gianluigi Paragone ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica e del Governo della Repubblica, in riferimento alla delibera n. 406/XVIII del 13 ottobre 2021, adottata dal Collegio dei questori del Senato, di cui il ricorrente chiede altresì la sospensione in via cautelare;

che, secondo il ricorrente, la delibera in oggetto ha previsto il possesso della certificazione verde COVID-19 (cosiddetto green pass) quale condizione per partecipare ai lavori parlamentari in attuazione del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 (Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87, e modificato dal successivo decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165;

che, ad avviso del ricorrente, l’introduzione della normativa su detta certificazione non gli consente di svolgere liberamente l’attività di senatore, avente fonte negli artt. 1, 3, 54, 64 e 67 della Costituzione, dal momento che impedisce la partecipazione ai lavori parlamentari a coloro che non ne sono in possesso;

che il ricorrente afferma di essere rappresentante della Nazione senza vincolo di mandato e titolare pro quota del potere di determinare la politica nazionale (art. 67 Cost.);

che la suddetta disciplina certificazione verde, introdotta al Senato mediante la delibera n. 406/XVIII, violerebbe l’art. 64, primo comma, Cost.;

che, in particolare, imporre ai senatori l’utilizzo di tale certificazione verde per partecipare ai lavori parlamentari, analogamente a quanto previsto per i dipendenti pubblici (art. 9-quinquies, d.l. n. 52 del 2021, come convertito) o per il personale degli uffici giudiziari (art. 9-sexies, comma 8, d.l. n. 52 del 2021, come convertito), lederebbe, da un lato, l’autonomia dei singoli parlamentari, che operano in virtù di un mandato costituzionale non equiparabile al lavoro pubblico, e, dall’altro, quella dello stesso Parlamento;

che, sotto quest’ultimo profilo, la citata disciplina, adottata attraverso un provvedimento di organi interni, in luogo di una modifica del regolamento del Senato e quindi di una votazione a maggioranza assoluta dei componenti dell’Aula, integrerebbe una violazione della riserva regolamentare e del principio di autodichia;

che il regolamento del Senato è ritenuto «la sola ed unica espressione dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione a ciascuna Camera, attraverso la quale se ne definisce specificamente l’organizzazione e il funzionamento, il procedimento per la formazione delle leggi, le procedure di controllo, di indirizzo e di informazione»;

che, pertanto, esclusivamente una modifica regolamentare avrebbe potuto legittimare «l’obbligo del possesso della certificazione verde COVID 19 e non altri atti riconducibili ad articolazioni interne di un ramo del Parlamento»;

che l’istanza cautelare sarebbe giustificata da ragioni di urgenza;

che, alla luce di quanto esposto, il ricorrente chiede che questa Corte annulli, previa sospensiva, la delibera n. 406/XVIII del 13 ottobre 2021 adottata dal Collegio dei questori, dichiarando l’illegittimità della menomazione del mandato parlamentare subita dal ricorrente.

Considerato che il senatore Gianluigi Paragone ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica e del Governo della Repubblica, in relazione alla adozione, da parte del Collegio dei Questori, della delibera n. 406/XVIII del 13 ottobre 2021, con la quale è stato previsto che i senatori posseggano ed esibiscano la certificazione verde di cui all’art. 9 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 (Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87, e modificato dal successivo decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165, ai fini di accedere alle sedi del Senato;

che tale previsione, introdotta dalla delibera predetta e «di fatto applicata», senza che sia stato modificato il regolamento del Senato, avrebbe per effetto di menomare le prerogative costituzionali attribuite a ciascun senatore dagli artt. 1, 54, 64 e 67 della Costituzione;

che, secondo il ricorrente, il senatore che accede alle sedi del Senato senza esibire il certificato verde può essere raggiunto dalla sanzione, prevista dall’art. 67, comma 3, del regolamento del Senato della Repubblica 17 febbraio 1971 e s.m.i., della interdizione di partecipare ai lavori dello stesso per un periodo non superiore a dieci giorni di seduta. A tale sanzione rinvia lo stesso art. 67, comma 4, regol. Senato per fatti di particolare gravità, che si svolgano nel recinto del palazzo del Senato, ma fuori dell’Aula;

che la delibera oggetto di conflitto dà atto che il Consiglio di Presidenza del Senato ha deciso, in data 5 ottobre 2021, di ricondurre all’art. 67, comma 4, appena citato, l’accesso da parte dei senatori alle sedi parlamentari senza l’esibizione di detta certificazione verde. Per effetto di ciò, al ricorrente sarebbe precluso l’esercizio delle proprie prerogative costituzionali, e ciò avverrebbe «in violazione della riserva di regolamento» parlamentare prevista dall’art. 64 Cost. Infatti, prosegue il ricorso, sarebbe spettato «alle Camere, e non a singole articolazioni interne, eventualmente adeguarsi alla previsione normativa» introdotta dall’art. 9-quinquies, comma 12, del d.l. n. 52 del 2021, come inserito dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 127 del 2021, come convertito, secondo cui «[g]li organi costituzionali, ciascuno nell’ambito della propria autonomia, adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni» concernenti l’impiego delle certificazioni verdi COVID-19 in ambito lavorativo pubblico;

che, inoltre, dall’art. 9-quinquies del d.l. n. 52 del 2021, come convertito, dovrebbe desumersi che la certificazione verde possa essere richiesta solo ai lavoratori, e quindi ai dipendenti del Senato, ma in nessun caso ai senatori;

che l’atto oggetto del conflitto andrebbe sospeso in via cautelare;

che, in questa fase del giudizio, questa Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata da norme costituzionali;

che l’ordinanza n. 17 del 2019 di questa Corte ha riconosciuto l’esistenza di una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare e ha affermato che esse possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato, a condizione che vi sia una violazione manifesta della prerogativa, rilevabile nella sua evidenza già in sede di sommaria delibazione (nello stesso senso, anche ordinanze n. 67 e n. 66 del 2021; n. 197, n. 176, n. 129, n. 60 del 2020; n. 275 e n. 274 del 2019);

che, in ogni caso, tale violazione non può riguardare esclusivamente la scorretta applicazione dei regolamenti parlamentari e delle prassi di ciascuna Camera (ordinanze n. 193, n. 188, n. 186 del 2021 e n. 86 del 2020);

che il ricorso è inammissibile;

che, anzitutto, la «spiccata autonomia» di cui godono gli organi costituzionali (sentenza n. 129 del 1981) impone di escludere che la decretazione d’urgenza possa formulare condizioni atte ad interferire con (fino potenzialmente ad impedire) lo svolgimento dell’attività propria dell’organo. In particolare, «l’essenza della garanzia contro l’interferenza di altri poteri che la Costituzione riconosce alle Camere è data proprio dalla esclusività della capacità qualificatoria che il regolamento parlamentare possiede», anche quanto allo svolgimento dei lavori (sentenza n. 379 del 1996);

che, pertanto, l’art. 9-quinquies, comma 12, del d.l. n. 52 del 2021, come introdotto dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 127 del 2021, come convertito, secondo cui gli organi costituzionali adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni concernenti la certificazione verde può e deve essere interpretato nel senso che esso preservi integralmente la libera valutazione di opportunità dell’organo, e delle Camere nel caso di specie, in ordine all’an, al quando e al quomodo del processo di adeguamento;

che, di conseguenza, nessun argomento può essere tratto dalla disciplina normativa prescritta per i lavoratori pubblici dal citato art. 9-quinquies, per desumere da quest’ultima la menomazione delle prerogative costituzionali dei senatori;

che, pertanto, il ricorso, nella parte in cui sostiene che dalla predetta disposizione dovrebbe trarsi il divieto, per il Senato, di richiedere l’esibizione della certificazione verde ai suoi componenti, è inammissibile;

che, a parere del ricorrente, la menomazione delle proprie attribuzioni costituzionali si sarebbe prodotta a seguito della decisione di introdurre la certificazione verde per i senatori in forza di una mera delibera del Collegio dei questori, anziché per il tramite di una modifica del regolamento del Senato, assunta a maggioranza assoluta dei suoi componenti;

che anche tale profilo del conflitto è inammissibile; infatti, il ricorrente trascura che la introduzione della certificazione verde è stata inizialmente decisa dal Consiglio di Presidenza del Senato con delibera del 5 ottobre 2021, che non è stata resa oggetto di conflitto, e solo successivamente quest’ultima è stata recepita dal Collegio dei questori. Con detta delibera il Consiglio di Presidenza si è basato sull’interpretazione secondo cui il mancato possesso della certificazione verde da parte del senatore, in occasione dell’accesso alle sedi del Senato, fosse sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 67, comma 4, regol. Senato;

che, secondo tale norma, «[p]er fatti di particolare gravità che si svolgano nel recinto del palazzo del Senato, ma fuori dell’Aula, il Presidente può ugualmente investire del caso il Consiglio di Presidenza il quale, sentiti i Senatori interessati, può deliberare le sanzioni di cui ai commi precedenti», ovverosia l’interdizione dai lavori parlamentari per un periodo non superiore a dieci giorni di seduta;

che, pertanto, e a prescindere da ogni altro profilo, l’atto oggetto del conflitto si limita ad adottare una specifica interpretazione dell’art. 67 regol. Senato sicché è del tutto improprio sostenere la necessità che il regolamento stesso sia modificato, quando la fattispecie in esame è già disciplinata nelle forme emerse all’esito di detta interpretazione, sulla quale il ricorrente, peraltro, non prende alcuna posizione;

che, inoltre, il ricorrente stesso afferma che il modus procedendi osservato dagli organi del Senato avrebbe infranto la riserva di regolamento che l’art. 64 Cost. pone «a garanzia della autodichia delle Camere». In altri termini, tale impostazione del ricorso fa emergere un ulteriore profilo di inammissibilità, atteso che il ricorrente non rivendica la lesione di una sua propria prerogativa, ma di una competenza che la Costituzione attribuisce semmai all’intero Senato (ordinanza n. 67 del 2021), né, con riguardo all’impedimento ad esercitare le proprie prerogative costituzionali, il ricorso motiva in ordine ad ulteriori profili che renderebbero l’introduzione della certificazione verde lesiva di tali attribuzioni;

che il ricorso ha omesso di dimostrare adeguatamente se la predetta certificazione e i presupposti che la consentono siano tali da costituire un effettivo impedimento all’esercizio delle attribuzioni proprie del senatore;

che, in definitiva, l’intero ricorso è inammissibile;

che la dichiarazione di inammissibilità del ricorso preclude l’esame dell’istanza cautelare (ordinanze n. 193 del 2021; n. 197, n. 196 e n. 195 del 2020).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal senatore Gianluigi Paragone con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2021.