Sentenza n. 127 del 2021

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SENTENZA N. 127

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2, del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Lecce nel procedimento penale a carico di L. P., con ordinanza del 9 settembre 2020, iscritta al n. 176 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Udito nella camera di consiglio del 12 maggio 2021 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 12 maggio 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 9 settembre 2020 il Tribunale ordinario di Lecce ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, «nella parte in cui non prevedono che, nel caso in cui il Gip rigetti la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, l’imputato possa tempestivamente, nella fase dedicata alle questioni preliminari, riproporre la richiesta di rito alternativo al Giudice del dibattimento, e che questo possa sindacare la decisione del Gip ed ammettere il rito chiesto dall’imputato».

Il Tribunale rimettente sta procedendo nei confronti di un imputato il quale, dopo essere stato rinviato a giudizio con decreto che disponeva il giudizio immediato, aveva tempestivamente proposto al giudice per le indagini preliminari richiesta di giudizio abbreviato condizionata all’acquisizione delle indagini difensive e all’audizione di un testimone. La richiesta, tuttavia, era stata respinta dal giudice per le indagini preliminari, che aveva ritenuto tale integrazione probatoria incompatibile con le caratteristiche del rito e non necessaria ai fini della decisione. L’imputato aveva quindi riproposto la richiesta al Tribunale in sede di trattazione delle questioni preliminari all’apertura del dibattimento.

Ritiene il Collegio rimettente che tale richiesta dovrebbe essere rigettata, atteso che il nuovo testo dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen., come modificato dalla legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo) e in quanto implicitamente richiamato dall’art. 458, comma 2, cod. proc. pen., non contemplerebbe più la possibilità di riproposizione dell’istanza di giudizio abbreviato condizionato al giudice del dibattimento, a suo tempo introdotta dalla sentenza di questa Corte n. 169 del 2003.

Tale mancata previsione si risolverebbe, secondo i principi già enunciati in quell’occasione da questa Corte, in un vulnus al diritto di difesa, di cui la richiesta di giudizio abbreviato condizionato sarebbe una delle possibilità di esercizio, nonché in una violazione dei «criteri di economicità processuale propri del rito alternativo e peraltro coerenti col principio di cui all’art. 111 della Costituzione».

2.– Nel giudizio avanti a questa Corte non è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, né si è costituito l’imputato.

3.– Con nota del 15 febbraio 2021, pervenuta il successivo 26 febbraio, il Presidente della sezione procedente del Tribunale di Lecce ha comunicato a questa Corte – «affinché assuma le determinazioni del caso, anche in punto di rilevanza della sollevata questione» – di avere disposto la prosecuzione della trattazione del processo, fissando all’uopo l’udienza del 24 marzo 2021, «[a]ttesa l’esigenza di anticipare la trattazione» del giudizio a quo, «anche in considerazione dello stato cautelare cui è attualmente sottoposto l’imputato», e «[c]onsiderato che la sollevata questione di legittimità costituzionale può ritenersi superata dalla già intervenuta pronuncia sulla medesima questione […] con sent. Corte Cost. n. 169/2003, sulla cui portata non ha inciso la novella relativa all’art. 438 c.p.p. recata dalla L. n. 33/2019, inerente il diverso fenomeno dell’inammissibilità della richiesta, non in rilievo nel caso di specie».

Il 27 maggio 2021 il Tribunale rimettente ha inviato a questa Corte una seconda nota, pervenuta il successivo 7 giugno, comunicando di avere pronunciato il 28 aprile 2021, in esito a giudizio abbreviato, sentenza di condanna dell’imputato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, allegando alla nota copia della sentenza stessa.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale ordinario di Lecce ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, «nella parte in cui non prevedono che, nel caso in cui il Gip rigetti la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, l’imputato possa tempestivamente, nella fase dedicata alle questioni preliminari, riproporre la richiesta di rito alternativo al Giudice del dibattimento, e che questo possa sindacare la decisione del Gip ed ammettere il rito chiesto dall’imputato».

2.– In via preliminare, merita sottolineare che il provvedimento con il quale il Presidente della sezione procedente del Tribunale di Lecce ha disposto la prosecuzione del giudizio a quo nonostante la pendenza del presente incidente di costituzionalità non elide la perdurante rilevanza delle questioni prospettate dal Collegio rimettente. Dall’art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale si desume infatti un principio generale di autonomia del giudizio incidentale di costituzionalità, che come tale non risente delle vicende di fatto successive all’ordinanza di rimessione (ex multis, sentenza n. 270 del 2020); sicché la rilevanza delle questioni rispetto alla decisione del processo a quo deve essere vagliata ex ante, con riferimento al momento della prospettazione delle questioni stesse (sentenza n. 84 del 2021), e permane anche nell’ipotesi patologica in cui il giudice procedente – revocando l’ordinanza di sospensione del processo a quo durante lo svolgimento dell’incidente di costituzionalità – abbia successivamente ritenuto di poter decidere a prescindere dalla decisione della Corte.

Questa Corte non può peraltro esimersi dal rilevare come detto provvedimento contrasti con quanto disposto dall’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale); ciò che impone la trasmissione degli atti del presente giudizio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per gli eventuali provvedimenti di competenza.

3.– Le questioni sono inammissibili, in ragione della erroneità delle premesse interpretative da cui muove il giudice a quo, il quale lamenta una lacuna in realtà insussistente, stante la perdurante operatività della sentenza n. 169 del 2003 in relazione alle disposizioni censurate (sull’inammissibilità di questioni relative a disposizioni già dichiarate costituzionalmente illegittime e pertanto divenute prive di oggetto, si vedano ex plurimis, recentemente, ordinanze n. 125 e n. 105 del 2020).

3.1.– I dubbi del giudice rimettente si incentrano sulla possibilità per l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, di riproporre la richiesta, già rigettata dal giudice per le indagini preliminari, di giudizio abbreviato condizionata a una integrazione probatoria.

3.1.1.– Come è noto, la richiesta di giudizio abbreviato cosiddetta “condizionata” è stata introdotta, nell’attuale comma 5 dell’art. 438 cod. proc. pen., dall’art. 27 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti ai giudici di pace e di esercizio della professione forense), nota come “legge Carotti”. A differenza della richiesta di giudizio abbreviato incondizionata, disciplinata dal comma 1 del medesimo art. 438 cod. proc. pen. e corrispondente a un vero e proprio diritto potestativo dell’imputato, essa è subordinata all’assenso del GIP, il quale deve valutare «se l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili».

Ai sensi del successivo comma 6, la richiesta di giudizio abbreviato condizionata – già rigettata dal GIP all’inizio dell’udienza preliminare – può essere riproposta innanzi allo stesso GIP «fino al termine previsto dal comma 2», e cioè sino a che le parti non abbiano formulato le rispettive conclusioni.

Su tale disciplina è intervenuta la sentenza n. 169 del 2003 di questa Corte, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 6 «nella parte in cui non prevede che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l’imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato».

In tal modo, la decisione del GIP di rigettare la richiesta di rito abbreviato condizionata è stata assoggettata al successivo sindacato giurisdizionale del giudice del dibattimento, il quale potrà così rivalutare – prima dell’apertura del dibattimento stesso – se sussistano le condizioni indicate dall’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. per definire il processo con il rito abbreviato: soluzione che questa Corte ha ritenuto imposta da ragioni di tutela del principio di eguaglianza e del diritto di difesa dell’imputato, sottolineandone al contempo la funzionalità all’obiettivo – esso pure di rilievo costituzionale (art. 111, secondo comma, Cost.) – di risparmio di tempo e risorse per la giurisdizione.

3.1.2.– La medesima disciplina si applica, mutatis mutandis, nell’ipotesi in cui il rinvio a giudizio dell’imputato sia disposto mediante decreto di giudizio immediato ex art. 455 cod. proc. pen., come accaduto nel processo a quo.

Ai sensi dell’art. 458 cod. proc. pen., entro quindici giorni dalla notificazione del decreto l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato: in forma ordinaria, ovvero condizionando la propria richiesta a una integrazione probatoria. In quest’ultimo caso, il GIP può rigettare la richiesta in forza dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. (richiamato dal comma 2 dello stesso art. 458 cod. proc. pen.), allorché ritenga che l’integrazione probatoria richiesta non sia necessaria ai fini della decisione, ovvero non sia compatibile con le finalità di economia processuale proprie del rito abbreviato.

La già citata sentenza n. 169 del 2003 di questa Corte ha poi esteso al giudizio immediato la possibilità di recuperare nelle fasi preliminari del dibattimento la richiesta di rito abbreviato già respinta dal GIP, dichiarando costituzionalmente illegittimo anche l’art. 458, comma 2, cod. proc. pen. – nella versione modificata dalla legge Carotti – «nella parte in cui non prevede che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l’imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato».

3.2.– Entrambe le disposizioni incise dalla sentenza n. 169 del 2003 sono state oggetto di modifiche ad opera di leggi successive, le quali non hanno espressamente incorporato nei testi risultanti dalle modifiche le addizioni operate da questa Corte ai testi originari.

Pur dovendosi rilevare che una espressa incorporazione di tali addizioni sarebbe stata maggiormente funzionale a garantire la certezza del diritto, in una materia così densa di implicazioni per i diritti fondamentali come il processo penale, si deve escludere – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo – che le modifiche in parola abbiano inteso vanificare gli effetti della sentenza n. 169 del 2003: la quale resta dunque pienamente operante con riferimento tanto all’art. 438, comma 6, quanto all’art. 458, comma 2, cod. proc. pen.

3.2.1.– L’art. 438, comma 6, cod. proc. pen. è stato formalmente «sostituito» dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), che ha integrato la disposizione previgente per tener conto del divieto di disporre il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo, di cui al nuovo comma 1-bis dell’art. 438 cod. proc. pen. introdotto dalla stessa legge n. 33 del 2019. Il comma 6 nella versione oggi in vigore consente all’imputato di riproporre la richiesta di giudizio abbreviato, già dichiarata inammissibile dal GIP all’inizio dell’udienza preliminare ai sensi del comma 1-bis, fino alla formulazione delle conclusioni nell’ambito della stessa udienza preliminare: esattamente come avviene nell’ipotesi – già in precedenza disciplinata dallo stesso comma 6 – di iniziale rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionata.

La legge n. 33 del 2019 ha poi previsto, al nuovo comma 6-ter dell’art. 438 cod. proc. pen., la possibilità di recuperare in dibattimento lo sconto di pena connesso al giudizio abbreviato, già dichiarato inammissibile dal GIP ai sensi del comma 1-bis, allorché il giudice, all’esito del dibattimento stesso, ritenga che il giudizio abbreviato sarebbe invece stato possibile in relazione al fatto così come accertato.

Nulla ha, invece, espressamente disposto il legislatore del 2019 in relazione all’ipotesi del recupero in dibattimento della richiesta di rito abbreviato condizionata, già garantito per effetto dell’addizione operata da questa Corte mediante la sentenza n. 169 del 2003.

Tale silenzio non può, però, essere interpretato come espressivo di una presunta volontà del legislatore di derogare al decisum della sentenza n. 169 del 2003. E ciò in quanto la legge modificatrice – nonostante la proclamata volontà di “sostituire” la disposizione previgente – non ha in effetti abrogato la norma espressa da tale disposizione, ma si è limitata ad integrarla, aggiungendo alla fattispecie processuale già prevista dal vecchio testo dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen. e rimasta inalterata nella nuova formulazione (la riproposizione della richiesta di giudizio abbreviato condizionato già respinta dal GIP all’inizio dell’udienza preliminare) una nuova fattispecie processuale (la riproposizione della richiesta di giudizio abbreviato già dichiarata inammissibile dallo stesso GIP all’inizio dell’udienza preliminare, per essere il reato contestato punito con l’ergastolo), assoggettando entrambe alla medesima disciplina. L’aggiunta in parola non fa venir meno la continuità normativa relativa alla fattispecie già esistente, né – conseguentemente – l’addizione operata, rispetto a tale fattispecie, dalla sentenza n. 169 del 2003, che ha esteso la possibilità per l’imputato di riproporre la richiesta di giudizio abbreviato condizionato anche al giudice del dibattimento, oltre che al GIP nel corso dell’udienza preliminare.

Mutuando qui la nota terminologia ulpianea, la legge n. 33 del 2019 non ha, insomma, operato una “rimozione” (abrogatio) della norma previgente, bensì una sua mera “modificazione aggiuntiva” (subrogatio), lasciandone inalterato il contenuto precettivo relativamente alla parte non modificata, e assicurando così la perdurante efficacia, senza alcuna soluzione di continuità, del dispositivo della sentenza n. 169 del 2003, che su quella norma si innestava.

L’opposta soluzione ermeneutica, del resto, non solo sarebbe incompatibile con gli artt. 3 e 24 Cost. per le ragioni già chiarite dalla sentenza n. 169 del 2003, ma si scontrerebbe frontalmente con l’art. 136 Cost., violando il giudicato costituzionale (ciò che in effetti accadde nel caso deciso dalla sentenza n. 922 del 1988, con la quale fu dichiarata, per tale assorbente ragione, l’illegittimità costituzionale di una disposizione di diritto processuale penale che aveva riprodotto una identica disposizione già dichiarata incostituzionale con sentenza additiva, il cui decisum il legislatore non aveva tenuto in alcun conto).

3.2.2.– Considerazioni non dissimili valgono con riferimento all’altra disposizione oggetto dei dubbi del rimettente, l’art. 458, comma 2, cod. proc. pen.

Anche tale disposizione è stata formalmente “sostituita” da una norma successiva alla sentenza n. 169 del 2003, e precisamente dall’art. 1, comma 47, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”). Il nuovo comma 2 ha però mantenuto inalterato, rispetto al testo previgente, il suo periodo finale (da «Nel giudizio si osservano» sino a «giudizio immediato»), che contiene il rinvio alla disciplina del giudizio abbreviato: periodo sul quale logicamente si innesta il dispositivo della sentenza n. 169 del 2003, che sancisce la possibilità di riproporre anche innanzi al giudice del dibattimento la richiesta di giudizio abbreviato condizionata, già rigettata dal GIP.

Pure in questo caso, dunque, deve apprezzarsi la piena continuità normativa, prima e dopo la legge n. 103 del 2017, relativa alla parte di disposizione rimasta inalterata: con conseguente persistente efficacia del dispositivo della sentenza n. 169 del 2003.

3.3.– In definitiva, l’imputato che si sia visto rigettare la richiesta di giudizio abbreviato condizionato – in sede di udienza preliminare, ovvero dopo la notifica del decreto di giudizio immediato – può riproporre tale richiesta al giudice del dibattimento prima della dichiarazione di apertura del dibattimento medesimo, in forza della sentenza n. 169 del 2003: la quale continua a spiegare i propri effetti anche dopo le modifiche apportate agli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2, cod. proc. pen., rispettivamente, dalla legge n. 33 del 2019 e dalla legge n. 103 del 2017.

Dal che l’inammissibilità delle questioni sollevate.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecce con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) ordina la trasmissione degli atti del presente giudizio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per gli eventuali provvedimenti di competenza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2021.