Sentenza n. 102 del 2021

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SENTENZA N. 102

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 4, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), promosso dal Tribunale ordinario di Verona, nel procedimento vertente tra E. M. e altri contro l’Azienda ospedaliera integrata di Verona, con ordinanza del 4 maggio 2020, iscritta al n. 160 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Udito nella camera di consiglio del 14 aprile 2021 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;

deliberato nella camera di consiglio del 15 aprile 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 4 maggio 2020, iscritta al n. 160 del registro ordinanze 2020, il Tribunale ordinario di Verona in composizione monocratica – nel corso di un giudizio di risarcimento dei danni per responsabilità sanitaria, intrapreso dai figli di un paziente deceduto dopo essere stato sottoposto ad un intervento neurochirurgico, giudizio nel quale era stato conferito un incarico di consulenza tecnica d’ufficio ad un collegio composto da un medico legale e da un infettivologo – ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 4, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), nella parte in cui «vieta in maniera drastica l’aumento, nella misura del 40 per cento, del compenso spettante al singolo, per ciascuno degli altri componenti del collegio, che è invece previsto, dall’art. 53 d.P.R. 115/2002, per la quasi totalità degli incarichi collegiali».

1.1.– Il giudice rimettente evidenzia, in punto di rilevanza, che – ove si fosse potuto applicare l’aumento di cui all’art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)» – al collegio che ha svolto l’incarico nel giudizio principale si sarebbe potuto liquidare un importo globale pari ad euro 3.113,50, mentre, in ragione del divieto stabilito dalla norma censurata, la misura del compenso non avrebbe potuto superare la soglia di euro 2.418,93, sulla scorta del criterio fondato sulle vacazioni, applicabile al caso di specie secondo la giurisprudenza di legittimità.

Osserva, quindi, che la previsione impugnata incide direttamente sui termini quantitativi della liquidazione spettante ai componenti del collegio peritale, che hanno avanzato la relativa istanza all’esito dello svolgimento dell’incarico conferito.

1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva che la previsione censurata deroga in maniera vistosa al criterio posto dal citato art. 53, che non solo prevede, in caso di perizia collegiale, un aumento della misura del compenso spettante al singolo ausiliario, ma ne correla l’entità al numero dei componenti del collegio. Tale difformità tra le due discipline risulterebbe irragionevole e, pertanto, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., non essendo ravvisabile alcun motivo per retribuire l’attività dei componenti di un collegio peritale nei giudizi in materia di responsabilità sanitaria in misura inferiore rispetto a quella di collegi composti da esperti in discipline diverse da quella medica o comunque afferente ad altre tipologie di controversie. Siffatto regime sottenderebbe una valutazione normativa di minore difficoltà delle consulenze tecniche d’ufficio espletate nei giudizi in tema di responsabilità sanitaria, che sarebbe discriminatoria, in quanto generalizzata, ma anche non pertinente, poiché spesso questo tipo di indagini presenterebbe un notevole coefficiente di difficoltà e richiederebbe un particolare impegno.

1.2.1.– Argomenta il Tribunale di Verona, ad ulteriore dimostrazione della irragionevolezza della disposizione censurata, che, ai sensi dell’art. 2, comma 5, del decreto del Ministro della Salute 19 luglio 2016, n. 165 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27. Medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica), pur essendo previsto che, in caso di c.t.u. che coinvolga una pluralità di medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica, il compenso sia unico a fronte dell’incarico collegiale conferito, l’organo giurisdizionale può aumentarlo fino al doppio. In questo caso il legislatore avrebbe, pertanto, riconosciuto la facoltà al magistrato di liquidare un onorario maggiore di quello spettante al singolo consulente, sul presupposto che la perizia collegiale giustifichi un aumento dell’onorario.

1.2.2.– Un’ulteriore causa di irragionevolezza del divieto di aumento censurato deriverebbe dal fatto che la riduzione del compenso dei consulenti incaricati collegialmente opererebbe in un contesto in cui i criteri di computo sono già inadeguati per difetto rispetto all’impegno richiesto. È, al riguardo, evocato il precedente di questa Corte (sentenza n. 192 del 2015), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, come introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014), «nella parte in cui non esclude che la diminuzione di un terzo degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002».

Precisa, su tale aspetto, il giudice a quo che l’inerzia amministrativa nell’adeguamento dei compensi, stigmatizzata nell’occasione da questa Corte, è proseguita sino all’attualità, tanto da giustificare la conclusione secondo cui la base tariffaria sulla quale calcolare i compensi risulta ormai seriamente sproporzionata per difetto, anche a voler considerare che la misura degli onorari in esame, rapportata alle vigenti tariffe professionali, deve essere contemperata in relazione alla natura pubblicistica della prestazione richiesta. Con l’effetto che la mancata attuazione in sede amministrativa del vincolo di adeguamento previsto dalla fonte primaria costituiva un dato caratterizzante della materia sulla quale il legislatore si apprestava ad incidere: e il non averne tenuto conto, nel momento in cui è stato deciso un significativo intervento di riduzione, indurrebbe a concludere che la scelta legislativa abbia superato il limite della manifesta irragionevolezza.

Ne inferisce il Tribunale di Verona che anche nel settore interessato dalla disposizione censurata possano determinarsi ricadute di sistema, poiché la disciplina descritta, per un verso, può favorire applicazioni strumentali o addirittura illegittime delle norme, ai fini di ottenere l’adeguamento de facto dei compensi – ad esempio mediante un’indebita proliferazione degli incarichi o un pregiudiziale orientamento verso valori tariffari massimi – e, per altro verso, può comportare un allontanamento dal circuito dei consulenti d’ufficio dei soggetti dotati delle migliori professionalità.

2.– Nel giudizio innanzi a questa Corte non si sono costituite le parti del procedimento a quo e non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 4 maggio 2020 (reg. ord. n. 160 del 2020), il Tribunale ordinario di Verona dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 4, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), nella parte in cui «vieta in maniera drastica l’aumento, nella misura del quaranta per cento, del compenso spettante al singolo, per ciascuno degli altri componenti del collegio, che è invece previsto dall’art. 53 d.P.R. 115/2002, per la quasi totalità degli incarichi collegiali».

2.– In ragione della previsione normativa denunciata, l’ordinanza di rimessione prospetta la violazione dell’art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento che si determinerebbe nella liquidazione dei compensi di un collegio peritale nei giudizi di responsabilità medica, a fronte di quella spettante ai collegi composti da esperti di discipline diverse da quella medica ovvero di discipline che parimenti richiedono differenti competenze mediche, ma in relazione ad altre tipologie di controversie.

Espone, in proposito, il giudice rimettente che – dopo aver sancito il principio di necessaria collegialità delle indagini peritali da espletare nei giudizi di responsabilità sanitaria – il legislatore nega espressamente ogni possibilità di aumento del compenso globale spettante ai componenti del collegio, onorario che è calcolato unitariamente, come se l’incarico fosse conferito ad un singolo consulente.

Ad avviso del giudice a quo, siffatta esclusione importerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla previsione generale in tema di compenso per gli incarichi conferiti ad un collegio di ausiliari, e sarebbe altresì intrinsecamente irragionevole.

2.1.1.– Sotto il primo profilo, si determinerebbe un’illogica differenza di disciplina rispetto al riconoscimento, operato in via generale dall’art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», dell’aumento del compenso per gli incarichi collegiali di natura tecnica relativi a materie diverse da quella della responsabilità sanitaria, nella misura del quaranta per cento per ciascun componente oltre il primo.

2.1.2.– Sotto il secondo profilo, vi sarebbe un’irragionevolezza intrinseca e manifesta del divieto di aumento previsto dalla norma censurata, confermata altresì dal riconoscimento in capo al giudice, operato dall’art. 2, comma 5, del decreto del Ministro della Salute 19 luglio 2016, n. 165 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate, ai sensi dell’art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27. Medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica), della facoltà di aumentare fino al doppio il compenso, pur unico a fronte dell’incarico collegiale, ove questo sia stato conferito a medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica.

Ciò in un contesto in cui, peraltro, i criteri di computo sono già inadeguati per difetto a fronte dell’impegno richiesto, non essendosi mai operato l’aggiornamento periodico, con cadenza triennale, della misura dei criteri di liquidazione, previsto dall’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002. In proposito il giudice a quo evoca il precedente di questa Corte n. 192 del 2015.

3.– In via preliminare, va rilevato che sussistono le condizioni di ammissibilità dell’incidente di costituzionalità sollevato in riferimento all’art. 15, comma 4, della legge n. 24 del 2017.

3.1.– In particolare, sul piano della rilevanza, il giudice rimettente ha precisato che la previsione impugnata incide direttamente sui termini quantitativi della liquidazione spettante ai componenti del collegio peritale investito nel giudizio principale, che hanno avanzato la relativa istanza all’esito dello svolgimento dell’incarico conferito.

Ed ancora, è plausibile il richiamo del Tribunale di Verona ai criteri di calcolo da utilizzare con riguardo alla liquidazione del compenso in favore del consulente tecnico incaricato in tema di responsabilità medica, sulla scorta del riferimento alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il sistema di calcolo dell’onorario fisso stabilito dagli artt. 20 e 21 della Tabella allegata al decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, del 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale) è applicabile agli accertamenti aventi ad oggetto lo stato di salute della persona. Ne consegue che, ove la consulenza abbia ad oggetto la verifica della correttezza, secondo le regole della scienza medica, dell’operazione chirurgica cui è stata sottoposta una delle parti, tale indagine ha una sua propria specificità, per cui in tal caso, mancando un’apposita previsione in tabella, il giudice può legittimamente fare ricorso al criterio fondato sulle vacazioni (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 25 novembre 2011, n. 24992).

3.2.– In secondo luogo, nessun addebito può essere mosso al rimettente per non avere tentato una interpretazione costituzionalmente orientata. E tanto perché il tenore perentorio della disposizione, che esclude categoricamente la possibilità di incrementare l’onorario nel caso di consulenza tecnica d’ufficio affidata ad un collegio in tale ambito, non consentiva alcuno sforzo ermeneutico atto a motivare l’impossibilità di pervenire ad un’interpretazione adeguatrice. Al riguardo, questa Corte ha più volte affermato che «l’univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale» (sentenze n. 232 del 2013 e n. 253 del 2020; in senso conforme, sentenze n. 174 del 2019, n. 82 del 2017 e n. 36 del 2016).

4.– Quanto al merito della questione, è opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo entro cui si colloca la disposizione censurata.

4.1.– In termini generali, l’art. 191, secondo comma, del codice di procedura civile prevede che il giudice possa nominare più di un consulente «soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone». Analogamente, l’art. 221, secondo comma, del codice di procedura penale ammette l’incarico peritale collegiale, stabilendo che il giudice penale possa affidare «l’espletamento della perizia a più persone quando le indagini e le valutazioni risultano di notevole complessità ovvero richiedono distinte conoscenze in differenti discipline».

In tali situazioni il principio di collegialità esige una partecipazione congiunta degli esperti alle indagini e alle valutazioni peritali in vista dell’elaborazione di conclusioni che, anche se raggiunte attraverso la ripartizione di particolari attività in base alle specifiche competenze di ciascuno, risultino condivise e compendiate in un unico elaborato.

4.2.– Per quanto concerne la liquidazione del compenso, l’incarico plurimo è contemplato dall’art. 53 del d.P.R. n. 115 del 2002, il quale, sostanzialmente riproducendo le disposizioni dell’abrogato art. 6 della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), stabilisce che, allorché l’incarico sia stato conferito ad un collegio di ausiliari, «il compenso globale è determinato sulla base di quello spettante al singolo, aumentato del quaranta per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio, a meno che il magistrato dispone che ognuno degli incaricati deve svolgere personalmente e per intero l’incarico affidatogli».

Allorché, invece, il giudice nomini più consulenti e disponga che ognuno degli incaricati svolga personalmente e per intero l’incarico attribuito, in ragione delle professionalità specifiche di cui ognuno è in possesso, non sussiste collegialità e per ogni consulente sono operative le medesime disposizioni applicabili nel caso di nomina di un solo ausiliario. In tale evenienza si realizza, quindi, una somma di indagini finalizzate ad un unico scopo, con impegno, per ciascuna di esse, uguale a quello richiesto per l’incarico singolo e con deposito di separati elaborati, con la conseguenza che il compenso è dovuto ad ogni ausiliario nella sua interezza.

Dall’incarico collegiale si distingue altresì l’ipotesi in cui il giudice si sia limitato ad autorizzare il consulente singolo ad avvalersi di uno o più soggetti per l’espletamento di indagini specialistiche, non trovando in tal caso applicazione il criterio di liquidazione previsto dall’art. 53 del d.P.R. n. 115 del 2002, ma le medesime tabelle con cui deve essere determinata la misura degli onorari dei consulenti tecnici (Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione seconda, ordinanza 18 marzo 2019, n. 7636; sezione seconda civile, ordinanza 21 settembre 2017, n. 21963; sezione seconda civile, sentenza 11 giugno 2008, n. 15535).

4.3.– Con riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio nei giudizi civili e penali in materia di responsabilità medica, l’art. 15 della legge n. 24 del 2017 (cosiddetta legge Gelli-Bianco) innova sui criteri di nomina del consulente tecnico d’ufficio o perito medico-legale, prevedendo, al comma 1, che, «[n]ei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l’autorità giudiziaria affida l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi e che i consulenti tecnici d’ufficio da nominare nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 8, comma 1, siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell’ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi».

La norma introduce, dunque, il principio della necessaria collegialità nell’espletamento del mandato, di cui si ha conferma attraverso i lavori parlamentari, giacché il testo approvato in prima lettura dalla Camera prevedeva la nomina di un collegio peritale nei casi che avessero implicato la «valutazione di problemi tecnici complessi», mentre tale inciso è stato successivamente espunto in Senato. Il fine della corretta esplicazione dell’indagine e della valutazione peritale è perseguito dal legislatore tanto attraverso la necessaria collegialità, quanto mediante la previsione della preparazione specialistica e delle conoscenze pratiche dei soggetti incaricati.

Lo stesso articolo aggiunge, al comma 2, che «[n]egli albi dei consulenti di cui all’articolo 13 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, e dei periti di cui all’articolo 67 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, devono essere indicate e documentate le specializzazioni degli iscritti esperti in medicina. In sede di revisione degli albi è indicata, relativamente a ciascuno degli esperti di cui al periodo precedente, l’esperienza professionale maturata, con particolare riferimento al numero e alla tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati».

Quindi, il comma 3 specifica che «[g]li albi dei consulenti di cui all’articolo 13 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, e gli albi dei periti di cui all’articolo 67 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, devono essere aggiornati con cadenza almeno quinquennale, al fine di garantire, oltre a quella medico-legale, un’idonea e adeguata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie, tra i quali scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata nel procedimento».

Infine, il comma 4 dispone che nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria «l’incarico è conferito al collegio e, nella determinazione del compenso globale, non si applica l’aumento del 40 per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio previsto dall’articolo 53 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115». Ed è su quest’ultima previsione che si appuntano le censure del rimettente.

5.– Tutto ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale sollevata è fondata.

5.1.– La disposizione censurata è intrinsecamente e manifestamente irragionevole, non risultando coerente con la ratio che la sostiene.

A fronte dell’introduzione, nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, del principio di necessaria collegialità a presidio della correttezza dell’indagine peritale, non trova giustificazione la scelta del legislatore di determinare l’onorario globale spettante al collegio in misura pari a quella che verrebbe riconosciuta in caso di conferimento di incarico al singolo. Infatti, per effetto della previsione in esame, l’ammontare unitario di detto compenso deve essere suddiviso in parti uguali tra i membri del collegio, con la conseguenza che a ciascun componente spetta un onorario inferiore a quello adeguato in ragione dell’incremento percentuale previsto dalla norma generale oggetto di deroga.

Ulteriore causa di irragionevolezza deriva dalla riduzione progressiva dell’onorario spettante a ciascuno dei consulenti indotta dall’aumento del numero dei componenti incaricati dell’espletamento delle operazioni peritali. Alla stregua della disposizione censurata, il compenso rimane parametrato a quello che sarebbe spettato ove l’incarico fosse stato attribuito ad un unico consulente, indipendentemente dal numero dei componenti del collegio.

5.1.1.– La finalità di alleviare l’aggravio economico che, in forza della collegialità necessaria, verrebbe a ricadere sugli interessati già onerati dei costi della eventuale consulenza di parte non può valere a legittimare la introduzione di una irragionevole soglia di contenimento del quantum dell’onorario, non potendo il soddisfacimento di un’esigenza siffatta tradursi in un ingiustificato sacrificio per i consulenti incaricati.

Il limite imposto dalla disposizione denunciata comporta una decurtazione idonea ad incidere sull’adeguatezza del compenso rispetto all’opera prestata e sulla conformità dello stesso alle regole generali sulla liquidazione dei compensi affidati ad un collegio di periti.

Attraverso la designazione giudiziale, integrante un atto costitutivo di un munus publicum, il consulente tecnico d’ufficio riceve un incarico professionale che, sebbene non sia riconducibile – in ragione del fine pubblico che vale a qualificarlo e delle peculiari modalità in cui trova attuazione – ad un contratto, rinviene nella disciplina della liquidazione degli onorari specifici meccanismi di commisurazione volti a garantire la proporzionalità dei compensi, sia pure per difetto in considerazione del connotato pubblicistico (sentenza n. 192 del 2015), all’entità e alla complessità dell’opera prestata, in coerenza con il fine di contemperamento tra gli interessi pubblici e le esigenze remunerative del professionista che informa la disciplina del d.P.R. n. 115 del 2002.

A tale esigenza di adeguamento risponde anche l’incremento percentuale contemplato per gli incarichi collegiali dall’art. 53 del d.P.R. n. 115 del 2002, quale bilanciamento della determinazione del compenso, per le suddette finalità di contenimento della spesa, sulla base di quanto spettante al singolo, poiché il giudice ricorre a tale genere di incarichi proprio quando le indagini esibiscono un tasso di complessità tecnico-scientifica tale da rendere opportuna la condivisione della responsabilità della valutazione peritale tra più esperti.

Nel settore della responsabilità medica il principio di necessaria collegialità dell’incarico peritale scaturisce da una valutazione del legislatore circa la delicatezza delle indagini e l’esigenza di perseguire una verifica dell’an e del quantum della responsabilità che sia il più possibile esaustiva e conforme alle leges artis. Di conseguenza risulta gravemente contraddittorio che, per un verso, si esiga che in tale campo sia favorito l’intervento di tecnici particolarmente specializzati ed esperti – sia sul piano teorico che pratico – e, per altro verso, si sopprima il meccanismo che prevede un incremento del compenso che tale complessità vale a controbilanciare, meccanismo destinato ad evitare una plateale decurtazione dell’importo che sarebbe spettato in caso di incarico al singolo. Questa preventiva e inderogabile limitazione genera effetti contrastanti con lo scopo che la disposizione si prefigge di raggiungere in astratto, favorendo altresì torsioni interpretative e forzature applicative volte a sopperire alla riduzione quantitativa attraverso l’incremento indiscriminato delle vacazioni riconoscibili, pur a fronte dell’osservanza formale delle cornici edittali massime fissate dal legislatore, ovvero mediante la proliferazione degli incarichi o il riconoscimento sistematico dell’aumento previsto dall’art. 52 del d.P.R. n. 115 del 2002 per la particolare complessità dell’incarico.

Tra le ricadute “di sistema” della disposizione denunciata va, tra l’altro, considerata la possibilità che essa favorisca l’allontanamento dal circuito dei consulenti tecnici di ufficio e periti da parte dei professionisti dotati di maggiore esperienza e specializzazione, disincentivati dalla preordinata incongruenza degli onorari spettanti rispetto alla qualità e quantità dell’impegno richiesto (ancora sentenza n. 192 del 2015).

5.1.2.– A fortiori l’irragionevolezza della norma censurata è resa evidente dalla incidenza del divieto di aumento dei compensi su tariffe che – inferiori fin dall’origine ai valori del mercato professionale – non sono mai state aggiornate mediante l’adeguamento triennale prescritto dall’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002 (sentenze n. 224 del 2018 e n. 178 del 2017). In tali termini l’irragionevolezza è stata già accertata dalla richiamata sentenza n. 192 del 2015, con riferimento alla previsione della riduzione di un terzo dei compensi spettanti all’ausiliario del magistrato nei procedimenti in cui sia stata disposta l’ammissione di una parte al patrocinio a spese dello Stato, per finalità di contenimento della spesa erariale. In questa prospettiva, l’art. 106-bis del testo unico sulle spese di giustizia è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo «nella parte in cui non esclude che la diminuzione di un terzo degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002», in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. E la recente sentenza n. 89 del 2020 ha rilevato una «deplorevole e reiterata inadempienza dell’Amministrazione» nell’applicazione del richiamato art. 54.

5.1.3.– È pur vero che il legislatore gode di discrezionalità particolarmente ampia nella conformazione degli istituti processuali, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte operate. Ma la verifica della sussistenza di un rapporto di connessione razionale e di proporzionalità tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire rientra nel sindacato di ragionevolezza demandato a questa Corte. La verifica del superamento del limite della manifesta arbitrarietà delle scelte compiute involge anche la valutazione se il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale (ex multis, sentenze n. 253, n. 95, n. 80, n. 79 e n. 58 del 2020, n. 271, n. 266 e n. 139 del 2019).

E una compressione siffatta è ravvisabile nel caso di specie, in cui l’esclusione dell’aumento del compenso previsto dall’art. 53 del d.P.R. n. 115 del 2002 contraddice lo scopo della disciplina dell’istituto processuale di cui si tratta, che, come evidenziato, va identificato con l’esigenza di assicurare un livello di precisione tecnica e di attendibilità dei risultati delle indagini confacente alla complessità della materia e alla delicatezza degli interessi coinvolti.

5.2.– La disposizione impugnata contrasta, altresì, con il principio di uguaglianza, in quanto introduce un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina generale sulla determinazione degli onorari per gli incarichi peritali collegiali. Ed infatti, dal confronto con il citato art. 53 del testo unico sulle spese di giustizia – disposizione il cui contenuto precettivo è espressamente derogato dalla norma censurata – si ricava che in tutti gli altri campi in cui la complessità dell’indagine richiede che l’incarico sia affidato all’opera congiunta di più esperti, anche se si tratti di un collegio medico, il compenso è maggiorato, rispetto a quello che sarebbe spettato al singolo consulente, nella misura del quaranta per cento, per le ragioni dianzi evidenziate.

Sicché, ove l’incarico collegiale riguardi materie diverse da quelle attinenti alla responsabilità medica (sia civile, sia penale), il compenso globale viene incrementato in ragione della partecipazione alle operazioni peritali di più consulenti, mentre l’aumento dell’onorario è precluso in via generale con riguardo ai procedimenti aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, nonostante il carattere primario degli interessi coinvolti e la complessità tecnica che di norma caratterizza l’attività di indagine. Ne discende, a titolo esemplificativo, che siffatta modalità di adeguamento del compenso è esclusa per un collegio di medici il quale debba accertare la responsabilità di un’équipe che abbia eseguito un delicato intervento chirurgico, cui sia conseguito il decesso del paziente, mentre è riconosciuta ove della diversa competenza di più medici l’autorità giudiziaria si avvalga in altri settori dell’ordinamento, come nell’ambito dell’infortunistica stradale.

La disparità di trattamento non appare giustificata dalla circostanza che, nella materia di cui si tratta, la collegialità nell’espletamento dell’indagine tecnica sia prescritta dal legislatore, diversamente dalle ipotesi concernenti altri campi, nei quali il conferimento dell’incarico ad una pluralità di consulenti è rimesso alla valutazione nel caso concreto del magistrato che dispone l’accertamento peritale. La differenza della fonte dell’incarico collegiale – nell’un caso stabilito in via generale dal legislatore, nell’altro disposto dal magistrato in via discrezionale, in relazione a singole fattispecie – non muta l’effetto, che consiste comunque nel conferimento di un mandato collegiale.

Né, d’altro canto, può ritenersi che la collegialità imposta dalla legge in materia di responsabilità sanitaria costituisca un onere meramente formale cui non corrisponda l’effettiva esigenza pratica di garantire un adeguato contributo tecnico in fattispecie richiedenti un concorso di conoscenze diversificate. Una conclusione siffatta mostrerebbe un’intrinseca contraddizione, poiché implicherebbe che il legislatore abbia inteso introdurre la regola della necessaria collegialità, pur nella consapevolezza della sufficienza dell’affidamento dell’incarico ad un unico consulente.

6.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 4, della legge n. 24 del 2017 limitatamente alle parole: «e, nella determinazione del compenso globale, non si applica l’aumento del 40 per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio previsto dall’articolo 53 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 4, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), limitatamente alle parole: «e, nella determinazione del compenso globale, non si applica l’aumento del 40 per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio previsto dall’articolo 53 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 aprile 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2021