Sentenza n. 34 del 2021

CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 34

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 243-quater, comma 7, e 243-bis, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), promosso dalla Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, nel procedimento relativo al Comune di Buonabitacolo, con ordinanza del 6 dicembre 2019, iscritta al n. 80 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 2021 il Giudice relatore Angelo Buscema;

deliberato nella camera di consiglio del 9 febbraio 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con l’ordinanza iscritta al n. 80 del registro ordinanze 2020 indicata in epigrafe, la Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, solleva questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 243-quater, comma 7, e 243-bis, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 81, 97, primo e secondo comma, e 119, primo comma, della Costituzione.

L’art. 243-quater, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 prevede che «[l]a mancata presentazione del piano entro il termine di cui all’articolo 243-bis, comma 5, il diniego dell’approvazione del piano, l’accertamento da parte della competente Sezione regionale della Corte dei conti di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, ovvero il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell’ente al termine del periodo di durata del piano stesso, comportano l’applicazione dell’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, con l’assegnazione al Consiglio dell’ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto».

L’art. 243-bis, comma 5, del medesimo decreto dispone che «[i]l consiglio dell’ente locale, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della delibera di cui al comma 1, delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale di durata compresa tra quattro e venti anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell’organo di revisione economico-finanziario. Qualora, in caso di inizio mandato, la delibera di cui al presente comma risulti già presentata dalla precedente amministrazione, ordinaria o commissariale, e non risulti ancora intervenuta la delibera della Corte dei conti di approvazione o di diniego di cui all’articolo 243-quater, comma 3, l’amministrazione in carica ha facoltà di rimodulare il piano di riequilibrio, presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’articolo 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149».

Il rimettente riferisce di essere stato adito dal Comune di Buonabitacolo in sede di impugnazione della deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania n. 80/2019/PRSP del 15 aprile 2019 con cui, conformemente a quanto rilevato dalla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (pronunciatasi in data 5 febbraio 2019, dopo oltre cinquecento giorni dalla richiesta), è stata accertata l’intempestiva presentazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale (PRFP) da parte del Comune. Quest’ultimo, infatti, ha presentato il PRFP il 7 settembre 2017, oltre il termine perentorio di novanta giorni decorrenti dal 30 maggio 2017, data in cui il Commissario straordinario aveva adottato la deliberazione, immediatamente esecutiva, di ricorrere alla procedura di riequilibrio, con conseguente necessario avvio, in virtù dell’art. 243-quater, comma 7, del t.u. enti locali, della procedura volta alla declaratoria di dissesto dell’ente. Ciò a prescindere dalla circostanza che, in pendenza del termine perentorio indicato, si siano tenute le elezioni comunali e una nuova compagine amministrativa si sia insediata alla guida dell’ente (il 30 giugno 2017) e nonostante l’affermazione del Comune di aver, nel lasso temporale in cui è intervenuta la deliberazione impugnata (largamente oltre il termine ordinatorio di sessanta giorni normativamente previsti per il procedimento), ridotto notevolmente l’originario squilibrio finanziario.

Dopo aver deciso, con sentenza non definitiva, le questioni preliminari e pregiudiziali proposte dalle parti, aver affermato la propria legittimazione a sollevare incidente di costituzionalità, aver sinteticamente illustrato la disciplina della procedura di riequilibrio finanziario – segnatamente, nella sua scansione temporale – e aver escluso di poter addivenire a un’esegesi costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate, il rimettente ne denuncia l’illegittimità costituzionale per l’automatismo di avvio della declaratoria del dissesto che esse determinerebbero a fronte del mero decorso del termine di novanta giorni per la deliberazione del piano.

Anzitutto, risulterebbero violati gli artt. 81, 97, primo comma, e 119, primo comma, Cost. – in quanto i principi di equilibrio e sana gestione finanziaria e di tutela del bilancio quale bene pubblico, presidiati dagli evocati parametri, finirebbero per essere inevitabilmente sacrificati dal diniego della procedura di riequilibrio, funzionale alla loro salvaguardia, e dal conseguente dissesto – quando, durante la pendenza del termine per deliberare il piano, sia subentrata una nuova compagine amministrativa, la quale può acquisire consapevolezza dell’effettiva situazione finanziaria e patrimoniale nonché della misura dell’indebitamento dell’ente, solo dopo le opportune verifiche il cui esito viene riversato nella relazione di inizio mandato, ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42) e quando, nelle lungaggini del procedimento, l’originaria situazione di squilibrio abbia perso attualità in ragione della continua e inevitabile evoluzione delle condizioni finanziarie dell’ente, dovute al dinamismo insito nella gestione.

Di qui la necessità di riconoscere all’amministrazione subentrante un termine analogo a quello accordato dall’art. 243-bis, comma 5, secondo periodo, t.u. enti locali per la rimodulazione del piano già presentato da quella precedente – sessanta giorni decorrenti dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato – ovvero di prevedere la possibilità di una nuova valutazione, analoga a quella indicata per le altre fattispecie di avvio alla dichiarazione del dissesto previste dall’art. 243-quater, comma 7, t.u. enti locali, quando la procedura di controllo sul piano si sia protratta in un arco temporale eccessivamente lungo.

Gli artt. 81, 97, primo comma, e 119, primo comma, Cost. risulterebbero violati anche in combinato disposto con l’art. 1 Cost., per la stretta correlazione sussistente tra la sana gestione finanziaria dell’ente e il mandato conferito agli amministratori dal corpo elettorale, atteso che il descritto automatismo, nelle ipotesi di subentro di una nuova compagine amministrativa, condizionerebbe il potere programmatorio di risanamento della situazione finanziaria ereditata dalle gestioni pregresse, esponendo l’amministrazione subentrante a una responsabilità politica oggettiva.

L’automatismo contemplato dalle norme censurate confliggerebbe, altresì, con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) che, in ambito pubblicistico, si coniugherebbe con quello del buon andamento (art. 97, secondo comma, Cost.), in quanto l’avvio al dissesto correlato al mero decorso del termine perentorio, inadeguato quando sia subentrata una nuova compagine amministrativa e quando non sia rispettata la tempistica di controllo normativamente impressa alla procedura, sarebbe conseguenza scollegata dalla reale situazione in cui versa l’ente risultando, in tal modo, sproporzionata e non coerente con la ratio perseguita dalla procedura di riequilibrio, che è quella di conseguire il risanamento finanziario.

Il combinato disposto delle disposizioni censurate violerebbe, inoltre, il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto alla compagine amministrativa subentrata in pendenza del termine per presentare il piano verrebbe riservato un trattamento deteriore sia rispetto a quello riconosciuto all’amministrazione che operi in continuità, sia rispetto all’ipotesi in cui una nuova amministrazione subentri quando il piano sia già stato presentato da quella precedente e non ancora approvato dall’organo di controllo, potendo, la nuova compagine, rimodularlo entro sessanta giorni dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato, dopo aver acquisito contezza dell’effettiva situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente. Di qui la necessità del riconoscimento di un analogo margine temporale per la delibera del piano.

Ad avviso del giudice rimettente, l’art. 3 Cost. sarebbe violato anche per il fatto che, nelle ipotesi normativamente tipizzate dall’art. 243-quater, comma 7, t.u. enti locali (intempestività della presentazione del piano, insostenibilità dello stesso, suo andamento negativo, mancato raggiungimento del riequilibrio alla sua conclusione), l’avvio al dissesto è subordinato a una valutazione di carattere finanziario della Corte dei conti soltanto negli ultimi tre casi, mentre nella prima ipotesi, che qui interessa, il dissesto opererebbe in modo automatico, indipendentemente da qualsiasi valutazione. La conseguenza comune del passaggio al dissesto, ad avviso del rimettente, sarebbe ragionevole laddove la valutazione di tardività del piano intervenga nei tempi normativamente stabiliti (che prevedono una valutazione a ridosso dell’accertamento dello squilibrio strutturale operato dall’ente medesimo con la delibera di ricorrere alla procedura di riequilibrio) non anche allorché ciò non accada, come nel caso di specie, occorrendo, a distanza di molto tempo, una nuova disamina della situazione finanziaria. Di qui la necessità di introdurre la previsione di un ulteriore momento valutativo.

Quanto alla rilevanza, il rimettente evidenzia che l’accoglimento delle questioni sollevate consentirebbe l’accoglimento del ricorso e la restituzione degli atti per lo scrutinio nel merito del piano; diversamente, l’impugnativa andrebbe respinta e andrebbe accertato l’obbligo del Comune di Buonabitacolo di deliberare il dissesto.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza delle questioni sollevate.

A suo avviso, gli interventi di carattere manipolativo-additivo invocati dal rimettente, scalfendo entrambi la perentorietà del termine previsto per la presentazione del piano di riequilibrio, sarebbero anzitutto inammissibili, in quanto involgerebbero scelte rimesse alla valutazione discrezionale del legislatore, connotate da un alto tasso di creatività e non costituzionalmente obbligate, ben potendosi immaginare soluzioni diverse, volte a incidere sull’ordinarietà dei termini che scandiscono le ulteriori fasi del procedimento o a introdurre ipotesi di silenzio significativo.

La richiesta di riconoscimento all’amministrazione subentrante di un ulteriore termine sarebbe, altresì, inammissibile perché il margine temporale di cui essa disponeva nella fattispecie concreta sarebbe stato idoneo a consentirle di presentare il piano entro il termine perentorio, situazione non verificatasi a causa di errore (ritenuto inescusabile dal giudice a quo con la sentenza non definitiva) in cui sarebbe incorsa l’amministrazione comunale.

Inoltre, secondo l’Avvocatura generale, sarebbe stato censurato unicamente l’art. 243-quater, comma 7, t.u. enti locali e non anche l’art. 243-bis, comma 5, cosicché il riconoscimento di un ulteriore termine non conseguirebbe comunque all’accoglimento della questione sul punto, ma richiederebbe un ulteriore intervento del legislatore.

Nel merito, le questioni sarebbero infondate, in quanto la perentorietà del termine sancita dalla disposizione censurata sarebbe funzionale alle esigenze di certezza e concentrazione connaturate alla razionalità e all’efficienza di una procedura avviata a fronte di uno squilibrio finanziario dichiarato dal medesimo ente, a cui è necessario, ove possibile, porre tempestivo rimedio, pena, altrimenti, l’avvio del dissesto.

In particolare, l’addizione volta a riconoscere un ulteriore termine alla compagine amministrativa subentrante implicherebbe la comparazione di situazioni disomogenee, in quanto funzionali al compimento di operazioni diverse in ordine al piano di riequilibrio.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza iscritta al n. 80 del registro ordinanze 2020, indicata in epigrafe, la Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, solleva questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 243-quater, comma 7, e 243-bis, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 81, 97, primo e secondo comma, e 119, primo comma, della Costituzione.

Le norme censurate, in combinato disposto tra loro, concorrono a disciplinare la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali nonché l’esame del relativo piano e il controllo sulla sua attuazione.

In particolare, l’art. 243-quater, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 prevede che «[l]a mancata presentazione del piano entro il termine di cui all’articolo 243-bis, comma 5, il diniego dell’approvazione del piano, l’accertamento da parte della competente Sezione regionale della Corte dei conti di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, ovvero il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell’ente al termine del periodo di durata del piano stesso, comportano l’applicazione dell’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, con l’assegnazione al Consiglio dell’ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto».

L’art. 243-bis, comma 5, del medesimo decreto dispone che «[i]l consiglio dell’ente locale, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della delibera di cui al comma 1, delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale di durata compresa tra quattro e venti anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell’organo di revisione economico-finanziario. Qualora, in caso di inizio mandato, la delibera di cui al presente comma risulti già presentata dalla precedente amministrazione, ordinaria o commissariale, e non risulti ancora intervenuta la delibera della Corte dei conti di approvazione o di diniego di cui all’articolo 243-quater, comma 3, l’amministrazione in carica ha facoltà di rimodulare il piano di riequilibrio, presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’articolo 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149».

Secondo il giudice rimettente, il combinato disposto degli artt. 243-quater, comma 7, e 243-bis, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 violerebbe gli artt. 81, 97, primo comma, e 119, primo comma, Cost. nella parte in cui non consentirebbe agli enti locali di avvalersi del termine di sessanta giorni per deliberare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale (termine riconosciuto, come visto, dal medesimo art. 243-bis, comma 5, secondo periodo, per la rimodulazione del piano, alle amministrazioni insediatesi dopo che esso sia stato presentato dalla precedente amministrazione) quando, durante la pendenza del termine per deliberare il piano, sia subentrata una nuova compagine amministrativa, «e comunque» quando, essendosi protratto eccessivamente il procedimento di controllo del piano, l’originaria situazione di squilibrio abbia perso attualità in ragione della continua evoluzione delle condizioni finanziarie dell’ente. Ciò in quanto i principi di equilibrio e sana gestione finanziaria e di tutela del bilancio quale bene pubblico, presidiati dagli evocati parametri, finirebbero per essere inevitabilmente sacrificati, mentre la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale sarebbe, invece, finalizzata proprio alla salvaguardia di tali principi.

Le norme censurate violerebbero gli artt. 81, 97, primo e secondo comma, e 119, primo comma, Cost., anche in combinato disposto con l’art. 1 Cost., per la stretta correlazione sussistente tra la sana gestione finanziaria dell’ente e il mandato conferito agli amministratori dal corpo elettorale, atteso che il descritto automatismo, nell’ipotesi di subentro di una nuova compagine amministrativa, priverebbe la stessa di un margine temporale analogo a quello previsto dall’art. 243-bis, comma 5, secondo periodo, t.u. enti locali e, in caso di eccessivo scostamento dai termini che scandiscono la cronologia del procedimento di riequilibrio, condizionerebbe il potere programmatorio di risanamento della situazione finanziaria ereditata dalle gestioni pregresse, esponendo l’amministrazione subentrante a una responsabilità politica oggettiva.

L’automatismo contemplato dalle norme censurate confliggerebbe, altresì, con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e con quello di buon andamento (art. 97, secondo comma, Cost.), in quanto l’avvio automatico al dissesto correlato al mero decorso del termine perentorio – inadeguato quando una nuova amministrazione sia subentrata e nel caso in cui la tempistica normativamente impressa alla procedura di controllo non sia stata rispettata – sarebbe conseguenza scollegata dalla reale situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente e, quindi, sproporzionata e non coerente con la ratio perseguita dalla procedura di riequilibrio, che sarebbe proprio quella di rimediare alla situazione deficitaria dell’amministrazione.

Il combinato disposto delle norme censurate risulterebbe in contrasto anche con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto alla compagine amministrativa subentrata in pendenza del termine per presentare il piano verrebbe riservato un trattamento diverso e deteriore, sia rispetto a quello riconosciuto all’amministrazione che opera in continuità, sia rispetto all’ipotesi in cui una nuova amministrazione subentri quando il piano sia già stato presentato dalla precedente, cui è consentito di rimodularlo entro sessanta giorni dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato, dopo aver acquisito contezza dell’effettiva situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente locale.

La nuova compagine non disporrebbe, infatti, per cause a lei non imputabili, di un congruo lasso temporale per redigere ex novo il piano di riequilibrio.

Il giudice rimettente ritiene violato l’art. 3 Cost. anche perché, mentre nella prima delle ipotesi tipizzate dall’art. 243-quater, comma 7, t.u. enti locali – mancata presentazione del piano – l’avvio al dissesto opererebbe in modo del tutto automatico, indipendentemente da qualsiasi valutazione finanziaria dell’organo di controllo, negli altri casi – insostenibilità del piano, suo andamento negativo, mancato raggiungimento del riequilibrio alla sua conclusione – il dissesto è subordinato a una valutazione di carattere finanziario da parte della competente sezione di controllo della Corte dei conti. In tal modo si realizzerebbe una discriminazione nel trattamento delle varie fattispecie il cui verificarsi provoca il dissesto dell’ente locale.

2.– La disamina delle questioni di legittimità costituzionale sollevate richiede una preliminare, sia pur sintetica, illustrazione del contesto normativo in cui si inseriscono le disposizioni censurate.

In particolare, l’art. 243-bis, comma l, t.u. enti locali stabilisce che i Comuni e le Province per i quali sussistono squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario, nel caso in cui le misure di cui agli artt. 193 e 194 t.u. enti locali non siano sufficienti a superare le condizioni di squilibrio rilevate, possono ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (cosiddetto predissesto).

In tal caso l’ente locale deve approvare, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della delibera di ricorso alla procedura, un piano di riequilibrio finanziario pluriennale (PRFP) di durata compresa tra quattro e venti anni, incluso quello in corso, corredato del parere dell’organo di revisione economico-finanziaria (art. 243-bis, comma 5).

Secondo quanto disposto dal successivo art. 243-quater, comma 1, è compito della Commissione per la stabilità finanziaria di cui all’art. 155 t.u. enti locali provvedere allo svolgimento dell’istruttoria entro il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione del piano; istruttoria che consiste nella ponderazione dei dati di natura finanziaria, storici e previsionali, per la valutazione delle misure previste nel piano ai fini del riequilibrio.

Tale istruttoria è necessaria per consentire alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti di pronunciarsi – entro trenta giorni dalla data di ricezione della relazione finale della richiamata Commissione – sulla legittimità del piano di riequilibrio, ossia sulla sua congruità rispetto al fine di ripristinare l’equilibrio del bilancio, sulla copertura della spesa nell’intero periodo di rientro, sul rispetto dei limiti di indebitamento che vietano di utilizzare i prestiti per la copertura della spesa corrente e, più in generale, sul rispetto dei vincoli di finanza pubblica nazionali, eurounitari e convenzionali.

Il controllo che la sezione regionale della Corte dei conti deve svolgere per verificare l’attuazione del piano di riequilibrio si fonda – come prescrivono le norme del Titolo VIII del testo unico sugli enti locali – sull’andamento dei conti dell’ente in predissesto, attività che deve essere formalizzata in una pronuncia con cadenza temporale coerente con il controllo di legittimità-regolarità sul bilancio preventivo e successivo previsto dall’art. 148 t.u. enti locali, come sostituito dall’art. 3, comma 1, lettera e), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213.

In proposito, questa Corte ha più volte ricordato che i controlli «del titolo VIII del TUEL (artt. 243-bis rubricato “Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale”; 243-quater rubricato “Esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e controllo sulla relativa attuazione”; […] 246 “Deliberazione di dissesto”; 248 rubricato “Conseguenze della dichiarazione di dissesto”) consistono appunto in controlli di legittimità-regolarità se non addirittura in attribuzioni di natura giurisdizionale. Appartengono alla prima categoria: a) la determinazione di misure correttive per gli enti in predissesto (art. 243-bis, comma 6, lettera a, del TUEL); b) l’approvazione o il diniego del piano di riequilibrio (art. 243-quater, comma 3, del TUEL); c) gli accertamenti propedeutici alla dichiarazione di dissesto (art. 243-quater, comma 7, del TUEL)» (sentenza n. 228 del 2017).

È stato, altresì, sottolineato che i controlli di legittimità-regolarità – sia quelli inerenti al dissesto, sia quelli sui bilanci preventivi e successivi – ove tempestivamente attivati, potrebbero interdire quelle disfunzioni degenerative dell’equilibrio dei bilanci che hanno indotto più volte il legislatore a intervenire per il prolungamento dei tempi di riequilibrio oltre quelli fisiologici fissati dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42» (in tal senso, sentenza n. 115 del 2020).

Il complesso impianto normativo di riferimento muove dalla ratio unitaria di evitare il dissesto attraverso un fattivo e coerente comportamento economico-finanziario dell’ente locale nel tempo ipotizzato di rientro dal deficit.

In tale contesto teleologico rientra il controllo di legittimità-regolarità sui bilanci preventivi e successivi, poiché tale coerente comportamento nel tempo previsto per il risanamento deve trovare puntuale riscontro in ciascuno dei bilanci preventivi e successivi del predetto periodo.

3.– Il rimettente si duole del fatto che il combinato disposto degli artt. 243-quater, comma 7, e 243-bis, comma 5, t.u. enti locali non permetta alla nuova amministrazione, insediatasi in pendenza del termine per la presentazione del PRFP, di predisporlo entro sessanta giorni dalla relazione di inizio mandato, così come consentito alle nuove amministrazioni per l’eventuale rimodulazione del piano deliberato dall’amministrazione precedente, correlando automaticamente il dissesto dell’ente all’inutile decorso del termine originario.

Il giudice a quo prospetta, altresì, la possibilità di prevedere, nel caso in cui l’istruttoria del piano si sia protratta oltre i termini ordinatori stabiliti dal legislatore, un esame, da parte della sezione regionale di controllo, del piano di rientro dal deficit sulla base della situazione economico-finanziaria esistente al momento del giudizio di sua competenza e non di quella esistente all’epoca della richiesta formulata dalla precedente amministrazione. Ciò per evidenti motivi di carattere funzionale e di ragionevolezza: la situazione dell’ente locale potrebbe essere mutata, anche positivamente, per effetto della gestione successiva o di motivi estrinseci allo stesso andamento della gestione.

I due interventi sono prospettati in via gradata come dimostrato dalla locuzione «e comunque» impiegata dal rimettente, relegando, in tal modo, la seconda addizione a un ruolo meramente subordinato.

Tanto evidenziato, è indubbio che le norme censurate influiscano in modo determinante sulla decisione del giudice rimettente in quanto, in applicazione del loro combinato disposto, egli dovrebbe ritenere tardiva la presentazione del piano (intervenuta oltre il termine di novanta giorni dalla delibera di ricorso alla procedura di riequilibrio da parte del Commissario straordinario), con conseguente automatico avvio dell’ente locale al dissesto, mentre l’uno o l’altro intervento additivo consentirebbero la valutazione del PRFP nel merito. Di qui la rilevanza delle questioni sollevate.

Tali considerazioni, peraltro, escludono di per sé che, come eccepito dal Presidente del Consiglio dei ministri, possa assumere rilievo l’asserita congruità della porzione residua del termine previsto per la presentazione del piano e la circostanza che esso non sia stato rispettato per errore inescusabile.

L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce altresì l’inammissibilità delle questioni sollevate, in quanto gli interventi manipolativo-additivi invocati non sarebbero costituzionalmente obbligati, implicando scelte rimesse alla valutazione discrezionale del legislatore, connotate da un alto tasso di creatività, ben potendosi immaginare soluzioni diverse.

L’eccezione non è fondata.

È ormai costante l’orientamento di questa Corte secondo cui «l’ammissibilità delle questioni è condizionata non tanto dall’esistenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nell’ordinamento di una o più soluzioni costituzionalmente adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore» (ex plurimis, sentenza n. 224 del 2020).

Entrambe le addizioni prospettate rispettano il citato requisito.

La prima corrisponde al termine che, sempre nell’ambito della procedura di riequilibrio finanziario, viene riconosciuto proprio alla compagine amministrativa subentrante per la rimodulazione di un piano già presentato ma non ancora approvato (art. 243-bis, comma 5, secondo periodo, t.u. enti locali), con decorrenza dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato di cui all’art. 4-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42).

A sua volta, l’addizione richiesta in via subordinata risulta coerente con le altre ipotesi di avvio al dissesto previste dall’art. 243-quater, comma 7, t.u. enti locali (il diniego dell’approvazione del piano; l’accertamento del grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi da esso fissati; il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell’ente al termine del periodo di durata del piano stesso), poiché ciascuna di esse implica una valutazione di tipo finanziario quale quella che l’addizione mira a introdurre.

Quanto all’ulteriore eccezione d’inammissibilità, secondo cui le censure riguarderebbero unicamente l’art. 243-quater, comma 7, e non anche l’art. 243-bis, comma 5, t.u. enti locali, dalla prospettazione del ricorrente si ricava, al contrario, che anche quest’ultimo è coinvolto nelle questioni sollevate, in quanto a essere inficiato dal dubbio di costituzionalità è proprio il combinato delle due disposizioni.

Pertanto, anche tale eccezione deve essere rigettata.

4.– Tanto premesso, passando all’esame del merito delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, occorre evidenziare che la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale è strettamente connessa all’attuazione dei principi di equilibrio del bilancio e sana gestione finanziaria di cui agli artt. 1, 81, 97 e 119, primo comma, Cost., essendo finalizzata a superare le situazioni di squilibrio strutturale del bilancio e a riportare gli enti nelle condizioni di equilibrio e sostenibilità della spesa.

Il PRFP costituisce un rimedio volto a impedire, attraverso la concreta determinazione di un graduale percorso di risanamento dell’ente nel rispetto delle disposizioni vigenti, che lo squilibrio strutturale evolva nella più grave patologia del dissesto. Si tratta, in sostanza, di uno strumento che trova copertura costituzionale proprio nei parametri evocati dal rimettente, essendo funzionalmente orientato ad assicurare il principio di continuità nella gestione amministrativa e dei servizi dell’ente locale, in un contesto di legalità finanziaria (in tal senso, sentenza n. 115 del 2020).

Infatti, il piano, proprio per la sua attitudine a conseguire l’equilibrio tendenziale del bilancio, costituisce strumento di sintesi delle decisioni dell’ente territoriale in ordine all’acquisizione delle entrate e all’individuazione degli interventi necessari a garantire l’erogazione dei servizi pubblici alla collettività; rappresenta, altresì, un mezzo di verifica attraverso il quale è possibile confrontare i risultati conseguiti e valutare l’operato degli amministratori nella gestione della crisi (sentenza n. 184 del 2016).

Il principio della responsabilità di mandato risulta ancor più articolato e bisognoso di una attuazione trasparente quando la nuova compagine dell’ente locale si trova a fronteggiare una crisi già dichiarata dall’amministrazione precedente e, in particolar modo, laddove il tempo impiegato per lo svolgimento dell’istruttoria e di controllo del PRPF abbia consentito, come sostenuto dall’ente locale nella fattispecie in esame, un miglioramento della situazione economico-finanziaria.

È alla stregua di tali considerazioni che occorre valutare se il combinato delle disposizioni censurate vanifichi in radice la funzione della procedura di riequilibrio e sacrifichi gli interessi alla cui soddisfazione essa risponde, pregiudicando in concreto l’equilibrio di bilancio e la sana gestione finanziaria dell’ente locale che, sotto tali profili, si trova nella particolare situazione di una transizione amministrativa geneticamente patologica.

5.– Rilevata l’inammissibilità delle censure formulate in riferimento all’art. 2 Cost. per difetto di motivazione, occorre verificare se, nel merito, sia fondato il dubbio di legittimità costituzionale in relazione alla mancata previsione che anche alla compagine amministrativa insediatasi in pendenza del termine perentorio di novanta giorni – senza che sia stato ancora predisposto e deliberato il PRFP – sia consentito di avvalersi del termine di sessanta giorni, previsto per l’eventuale rimodulazione del piano già deliberato dall’amministrazione precedente.

Il combinato disposto degli artt. 243-quater, comma 7, e 243-bis, comma 5, t.u. enti locali, risulta in contrasto con gli artt. 1, 3, 81, 97, primo e secondo comma, e 119, primo comma, Cost.

5.1.– Seguendo l’ordine con cui le censure sono state sollevate dal rimettente, con riguardo alla violazione dell’art. 3 Cost., le disposizioni impugnate presentano un’evidente irragionevolezza e determinano una disparità di trattamento.

Sotto il primo profilo, rispetto all’amministrazione che opera in continuità – la quale elabora il piano a seguito del ricorso alla procedura di riequilibrio da essa stessa deliberato – quella successiva, pur ereditando un grave squilibrio e l’assenza totale di un progetto di risanamento, si trova costretta a intervenire in un lasso temporale gravemente ridotto e potenzialmente insufficiente, poiché il termine di novanta giorni per deliberare il PRFP decorre da un momento anteriore a quello del suo insediamento, ossia dalla data della delibera di ricorrere alla procedura di riequilibrio assunta dalla precedente compagine. Mentre il legislatore ha tenuto presente la complessa interrelazione delle vicende temporali inerenti al procedimento di riequilibrio e alla successione nell’esercizio del mandato elettorale per le amministrazioni che intendono rimodulare il piano precedentemente approvato, una coerente fattispecie legale non è stata presa in considerazione per il caso della procedura ereditata in assenza di un piano.

Quanto all’ingiustificata disparità di trattamento, la fattispecie normativa inerente all’amministrazione che opera in continuità non può essere assunta quale tertium comparationis in quanto strutturalmente diversa: il termine di novanta giorni, intercorrente tra la data di ricorso alla procedura di riequilibrio e quella di deliberazione del PRFP, si innesta in un procedimento in cui coincidono soggetto richiedente e soggetto che predispone il piano.

Diversamente va detto per l’altra fattispecie legale riferita all’amministrazione subentrante interessata alla rimodulazione del piano, per la quale l’art. 243-bis, comma 5, secondo periodo, contempla un termine di sessanta giorni decorrente dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato di cui all’art. 4-bis, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 «volta a verificare la situazione finanziaria e patrimoniale e la misura dell’indebitamento dei medesimi enti» (comma 1) e sulla base delle cui risultanze, in generale, «il presidente della provincia o il sindaco in carica, ove ne sussistano i presupposti, possono ricorrere alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti» (comma 2, secondo periodo).

È evidente l’idoneità di tale norma ad assumere la veste di tertium comparationis, perché riguarda la medesima situazione di nuovo ingresso in pendenza del procedimento di risanamento e la correlata presa in carico della gestione amministrativo-contabile: ponendosi un’identica esigenza di acquisire un’apprezzabile conoscenza della reale situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente locale, nonché della misura del relativo indebitamento – elementi indefettibili per costruire un’ipotesi di risanamento affidabile e credibile, coerente con la disciplina funzionale del predissesto – risulta ingiustificato soddisfare tale necessità accordando all’amministrazione subentrante il termine per rimodulare il piano già deliberato e non anche per formularlo ex novo.

È bene in proposito richiamare alcune delle operazioni pregnanti propedeutiche alla redazione del piano, indicative della complessa istruttoria dello stesso e del tempo necessario a provvedervi: «a) la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati, dell’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall’ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio; b) l’individuazione, con relativa quantificazione e previsione dell’anno di effettivo realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare l’equilibrio strutturale del bilancio, per l’integrale ripiano del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio a partire da quello in corso alla data di accettazione da parte dei creditori del piano; c) l’indicazione, per ciascuno degli anni del piano di riequilibrio, della percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione da assicurare e degli importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti fuori bilancio. È altresì previsto […] che, ai fini della predisposizione del piano, l’ente è tenuto a effettuare una ricognizione di tutti i debiti fuori bilancio riconoscibili ai sensi dell’art. 194 del TUEL. Il perimetro costituzionale disegnato da tali disposizioni consiste nella funzionalità della procedura a ridurre il deficit fino ad azzerarlo nel tempo prescritto. Ciò mediante la scansione del percorso attraverso i risultati conseguiti nei singoli esercizi attinenti al piano e la definizione di una proporzione accettabile dei sacrifici imposti alle future generazioni di amministrati affinché l’oneroso rientro dal disavanzo sia comunque compensato dal traguardo dell’equilibrio, presupposto necessario per la sana amministrazione» (sentenza n. 115 del 2020).

5.2.– Quanto fin qui evidenziato comporta anche la fondatezza delle censure sollevate in riferimento agli artt. 1, 81, 97, primo e secondo comma, e 119, primo comma, Cost.

Viola, infatti, i principi dell’equilibrio di bilancio e della sana gestione finanziaria dell’ente, nonché il mandato conferito agli amministratori dal corpo elettorale, l’automatico avvio al dissesto quando una nuova amministrazione sia subentrata alla guida dell’ente e, chiamata a farsi carico della pesante eredità ricevuta dalle precedenti gestioni, non sia stata messa nella condizione di predisporre il PRFP per l’assegnazione di un termine che decorre da epoca anteriore al suo insediamento ed è sganciato dal momento in cui acquisisce, con la sottoscrizione della relazione di inizio mandato, piena contezza della situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente e della misura dell’indebitamento. Ciò finisce inevitabilmente per pregiudicare il potere programmatorio di risanamento della situazione finanziaria ereditata dalle gestioni pregresse con violazione dell’art. 81, Cost., e impedisce di esercitare pienamente il mandato elettorale, confinando la posizione dei subentranti in una condizione di responsabilità politica oggettiva, con pregiudizio dell’art. 1 Cost.

Oltre che contrario ai citati parametri e diseconomico, il meccanismo delineato dalla normativa censurata collide, altresì, con il principio di ragionevolezza (sotto un ulteriore profilo) e con l’interdipendente principio di buon andamento (art. 97, secondo comma, Cost.), in quanto costituisce conseguenza sproporzionata e non coerente con la ratio sottesa alla procedura di riequilibrio, che è proprio quella di porre rimedio alla situazione deficitaria dell’ente locale ove sia concretamente possibile, mettendo i nuovi depositari del mandato elettorale nella condizione di farsene pienamente carico.

Nel caso di specie, la violazione del principio di ragionevolezza ben si coniuga con quello di buon andamento della pubblica amministrazione (ex plurimis, sentenze n. 247 e n. 169 del 2017 e n. 188 del 2015).

6.– La reductio ad legitimitatem del censurato combinato disposto ben può essere realizzata incidendo esclusivamente sull’art. 243-bis, comma 5, t.u. enti locali, che va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che, in caso di inizio mandato in pendenza del termine di cui al primo periodo, ove non vi abbia provveduto la precedente amministrazione, quella in carica possa deliberare il PRFP nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’art. 4-bis, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011.

7.– È da sottolineare come la presente pronuncia, nel segmento della sua operatività, contribuisca a semplificare la tormentata evoluzione legislativa delle norme regolanti l’endemico fenomeno del dissesto degli enti locali.

In questo modo, gli enti locali possono operare in coerenza con la situazione finanziaria in cui attualmente versano, permettendo alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti di valutare la congruità del piano.

Inoltre, la pronuncia consente di collegare – in ragione del principio di continuità dei bilanci e della gestione finanziaria – l’eventuale redazione del PRFP con la situazione giuridico-economica esistente al momento dell’effettiva assunzione del mandato realizzando la doverosa tensione verso un equilibrio strutturale che si conservi nel tempo, in ossequio al principio dell’equilibrio tendenziale.

8.– Stante l’accoglimento delle questioni sollevate in via principale, sono assorbite quelle prospettate dal giudice rimettente in via subordinata.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 243-bis, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui non prevede che, in caso di inizio mandato in pendenza del termine perentorio di cui all’art. 243-bis, comma 5, primo periodo, ove non vi abbia provveduto la precedente amministrazione, quella in carica possa deliberare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’art. 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42);

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 243-quater e 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, sollevata, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Angelo BUSCEMA, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2021.