ORDINANZA N. 250
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Aldo CAROSI;
Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 92, primo comma, 94 e 95 del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Fermo, nel procedimento penale a carico di A. V., con ordinanza del 10 ottobre 2018, iscritta al n. 23 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 2019 il Giudice relatore Franco Modugno.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Fermo ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 94 e 95 del codice penale, per contrasto con gli artt. 3, 27 e 111 della Costituzione, nonché dell’art. 92, primo comma, cod. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 27 della medesima Carta;
che il giudice a quo premette di procedere nei confronti di un imputato in ordine al reato di cui all’art. 572 cod. pen. (Maltrattamenti contro familiari e conviventi) per «maltrattamenti in famiglia in danno di sua madre», e che «[d]urante la commissione dei fatti l’imputato era in un grave stato di alcoldipendenza»;
che, dopo aver riprodotto gli argomenti posti a base di una ordinanza pronunciata il 21 marzo 1997, con la quale il Pretore di Fabriano aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 94 e 95 cod. pen., e illustrato i diversi passaggi che avevano caratterizzato la conseguente decisione di infondatezza, dichiarata da questa Corte con la sentenza n. 114 del 1998, rileva come, al lume di quest’ultima pronuncia, la nozione di “infermità” – su cui si basa la distinzione tra ubriachezza abituale ex art. 94 cod. pen. e cronica intossicazione da alcool ex art. 95 cod. pen. – è necessariamente riconducibile «ai mutevoli contributi dell’esperienza clinica, cercando in tal modo di dissolvere proprio quei rischi di aperta contraddizione tra scienza e norma sui quali il giudice a quo [aveva] fondato le proprie censure»;
che tuttavia – osserva il giudice a quo – tali mutevoli contributi dell’esperienza clinica non sembra abbiano indotto mutamenti di sorta circa il quadro normativo di riferimento, visto che la giurisprudenza di legittimità ha ancora continuato a far leva sul carattere della irreversibilità per distinguere l’uso abituale di alcool dallo stato patologico di cronica intossicazione;
che una moderna revisione dei rapporti tra scienza e diritto imporrebbe, dunque, secondo il giudice rimettente, di «rivedere totalmente gli approdi della sentenza n. 114 del 2018 [recte: 1998]»; così come risulterebbe anche «una finzione ormai intollerabile quella tenuta ferma dalla vetusta sentenza n. 33 del 1970», giacché le argomentazioni ivi sviluppate non spiegherebbero quale nesso causale possa esservi tra l’essersi ubriacato con condotta colpevole ed il reato commesso in stato di ebbrezza, né chiarirebbero le ragioni in base alle quali, per un reato punito a titolo di dolo, «debba rispondere un soggetto che versava in colpa, e non in dolo, prima dello stato patologico, o comunque anomalo»;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
Considerato che il Tribunale ordinario di Fermo ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 94 e 95 del codice penale, deducendone il contrasto con gli artt. 3, 27 e 111 della Costituzione, nonché dell’art. 92, primo comma, del medesimo codice per violazione degli artt. 3 e 27 della Carta fondamentale;
che, con riferimento alla prima questione, il giudice a quo si è, nella sostanza, limitato a ripercorrere gli argomenti addotti con la ordinanza di rimessione che sollevò analoga questione, risolta nel senso della non fondatezza con la sentenza n. 114 del 1998, i cui approdi sarebbero da «rivedere totalmente» alla luce del tempo trascorso e dei contributi offerti dalla scienza, senza, però, offrire congrua motivazione, tanto sulle acquisizioni conseguite in campo scientifico, quanto sulle ragioni per le quali risulterebbero violati i parametri costituzionali evocati;
che neppure affrontato è il profilo della rilevanza della questione, dal momento che il giudice rimettente si è limitato a riprodurre dichiarazioni testimoniali concernenti lo stato di ubriachezza dell’imputato, senza disporre alcun tipo di accertamento tecnico inteso a stabilire se le condizioni dell’imputato stesso fossero riconducibili ad uno stato di ubriachezza abituale ovvero ad una condizione di cronica intossicazione da alcool;
che del tutto trascurati risultano, nella sostanza, i rilievi posti a base della sentenza n. 114 del 1998, specie laddove questa Corte ha avuto modo di sottolineare che, «ad onta delle incertezze espresse nella dottrina medico-legale e delle richieste di innovazioni legislative fortemente presenti nella dottrina penalistica, la giurisprudenza ordinaria, segnatamente la giurisprudenza di legittimità, si è attestata da alcuni decenni e senza apprezzabili divergenze su una interpretazione che si presenta con caratteri di certezza e di uniformità nella identificazione dei requisiti della cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti»;
che, ha puntualizzato la richiamata pronuncia, «[s]econdo tale giurisprudenza, per potersi correttamente invocare lo stato di intossicazione cronica occorre una alterazione non transitoria dell’equilibrio biochimico del soggetto tale da determinare un vero e proprio stato patologico psicofisico dell’imputato e, dunque, una corrispondente e non transitoria alterazione dei processi intellettivi e volitivi», con la conseguenza che «l’accertamento dell’imputabilità vien fatto ruotare in ogni caso attorno ad un concetto di “infermità” necessariamente riconducibile, sul piano gnoseologico, ai mutevoli contributi dell’esperienza clinica», in tal modo dissolvendo «proprio quei rischi di aperta contraddizione tra scienza e norma sui quali il giudice a quo ha fondato le proprie censure»;
che parimente indeterminate si rivelano anche le censure mosse all’art. 92, primo comma, cod. pen., in riferimento ai parametri evocati, posto che il rimettente ha svolto solo generiche critiche alla sentenza n. 33 del 1970, ancora una volta trascurando l’orientamento giurisprudenziale consolidato nell’affermare che la colpevolezza di una persona in stato di ubriachezza deve essere valutata secondo i normali criteri d’individuazione dell’elemento psicologico del reato, e poiché l’art. 92 cod. pen. nel disciplinarne l’imputabilità nulla dice in ordine alla di lui colpevolezza, questa deve essere apprezzata alla stregua delle regole dettate dagli artt. 42 e 43 cod. pen. (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 14 luglio-2 novembre 2016, n. 45997);
che il non perspicuo ordito dell’atto di rimessione rende infine oscuro lo stesso petitum perseguito, dal momento che non viene chiarito se l’obiettivo avuto di mira dal giudice a quo sia una pronuncia integralmente caducatoria delle disposizioni dettate dalle norme coinvolte ovvero una pronuncia additiva, che allinei – secondo enunciati peraltro inespressi – le norme stesse (o parte delle disposizioni censurate) alla evoluzione scientifica, della quale, parimente, non vengono tracciati gli approdi ipoteticamente “innovativi”;
che le questioni proposte devono, pertanto, essere dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 94 e 95 del codice penale, in riferimento agli artt. 3, 27 e 111 della Costituzione, nonché dell’art. 92, primo comma, cod. pen., in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., sollevate dal Tribunale ordinario di Fermo con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2019.
F.to:
Aldo CAROSI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2019.