ORDINANZA N. 230
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto), convertito, con modificazioni, in legge 4 marzo 2015, n. 20, come modificato dall’art. 1, comma 7, del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191 (Disposizioni urgenti per la cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA), convertito, con modificazioni, in legge 1° febbraio 2016, n. 13, come successivamente modificato dall’art. 1, comma 4, lettera a), del decreto-legge 9 giugno 2016, n. 98 (Disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo ILVA), convertito, con modificazioni, in legge 1° agosto 2016, n. 151, e dall’art. 6, comma 10-bis, lettere a) e c), del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, in legge 27 febbraio 2017, n. 19, in relazione all’art. 3, comma 3, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, in legge 24 dicembre 2012, n. 231, e dell’art. 2, comma 6, del medesimo d.l. n. 1 del 2015, come convertito, nel testo in vigore dopo le modifiche operate dal d.l. n. 98 del 2016, come convertito, e dal d.l. n. 244 del 2016, come convertito, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto, nei procedimenti penali riuniti a carico di R. C. e N. P. con ordinanza dell’8 febbraio 2019, iscritta al n. 61 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti l’atto di costituzione della Regione Puglia, l’atto di intervento ad opponendum dell’ArcelorMittal Italia spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 ottobre 2019 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione Puglia, Massimo Luciani per l’ArcelorMittal Italia spa e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con ordinanza dell’8 febbraio 2019 (reg. ord. n. 61 del 2019), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto), convertito, con modificazioni, in legge 4 marzo 2015, n. 20, come modificato dall’art. 1, comma 7, del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191 (Disposizioni urgenti per la cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA), convertito, con modificazioni, in legge 1° febbraio 2016, n. 13, come successivamente modificato dall’art. 1, comma 4, lettera a), del decreto-legge 9 giugno 2016, n. 98 (Disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo ILVA), convertito, con modificazioni, in legge 1° agosto 2016, n. 151, e dall’art. 6, comma 10-bis, lettere a) e c), del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, in legge 27 febbraio 2017, n. 19, in relazione all’art. 3, comma 3, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, in legge 24 dicembre 2012, n. 231, e dell’art. 2, comma 6, del medesimo d.l. n. 1 del 2015, come convertito, nel testo in vigore dopo le modifiche operate dal d.l. n. 98 del 2016, come convertito, e dal d.l. n. 244 del 2016, come convertito, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 24, 32, 35, 41, 112 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 8 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;
che, secondo quanto riferito dal giudice a quo, le questioni traggono origine da tre procedimenti penali rubricati al numero R.G.N.R. 10093/16 e ai numeri 7297/17 R.G. mod. 44 e 5568/17 R.G. mod. 44, istruiti dalla Procura della Repubblica di Taranto e connessi all’assunta emissione di sostanze inquinanti riconducibile all’attività dello stabilimento siderurgico ILVA di Taranto;
che, in particolare, il giudice rimettente riferisce di essere stato investito, in relazione a tali procedimenti, di tre richieste di archiviazione e di dissentire dalle valutazioni espresse dal locale ufficio requirente, poiché nei fatti rilevati sono a suo parere configurabili i delitti previsti dagli artt. 434 e 437 del codice penale e, per gli eventi successivi al 29 maggio 2015, quelli previsti dagli artt. 452-bis e 452-quater cod. pen., fatta salva la fattispecie residuale dell’art. 674 cod. pen., non senza precisare che, trattandosi di reati permanenti, potrebbe essere necessario anche accertare l’attuale e duratura prosecuzione delle attività inquinanti;
che, pertanto, nel quadro dell’udienza ex art. 409 del codice di procedura penale, ha ritenuto di sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 5 e 6, del decreto-legge n. 1 del 2015;
che, con riguardo al citato comma 5, che consente la prosecuzione dell’attività produttiva presso lo stabilimento siderurgico ILVA di Taranto nelle more dell’attuazione del piano di risanamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2014 (Approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria a norma dell'articolo 1, commi 5 e 7, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89), il giudice a quo afferma che uno dei temi di indagine che intende approfondire riguarda l’eventuale permanenza dei fenomeni emissivi, di modo che le condotte su cui si sta indagando o che potrebbero essere oggetto di potenziali nuove indagini non riguardano solo il biennio 2014-2015, ma anche il 2016 (di cui al procedimento penale n. 7297/17 mod. 44) e, astrattamente, gli anni successivi, ove si consideri che si tratta di condotte riguardanti reati permanenti, la cui consumazione è strettamente connessa al ciclo produttivo, mai interrottosi;
che, tuttavia, evidenzia il rimettente, tenuto conto che la stessa attività produttiva, in virtù del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 settembre 2017 (Approvazione delle modifiche al Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2014, a norma dell’articolo 1, comma 8.1., del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191, convertito, con modificazioni, dalla legge 1º febbraio 2016, n. 13), è stata autorizzata sino al 23 agosto 2023, data di scadenza dell’autorizzazione integrata ambientale e termine ultimo per la realizzazione degli interventi del piano ambientale, le indagini risultano condizionate dal fatto che si tratta di un’attività autorizzata per legge a proseguire, nonostante lo stesso legislatore l’abbia ritenuta fonte di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute;
che pertanto sorgerebbe la necessità di scrutinare la conformità a Costituzione delle disposizioni che hanno consentito e che stanno tuttora consentendo allo stabilimento ILVA di Taranto la prosecuzione dell’attività produttiva in costanza di sequestro penale;
che, sotto altro profilo, il rimettente dubita della legittimità costituzionale della speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 2, comma 6, del d.l. n. 1 del 2015 in favore dei gestori dello stabilimento e dei soggetti da essi delegati;
che, secondo quanto sostiene il giudice rimettente, le condotte poste in essere in attuazione delle previsioni contenute nel piano ambientale di cui al d.P.C.m. 14 marzo 2014 non possono dar luogo a responsabilità penale o amministrativa dei gestori dello stabilimento;
che, pertanto il rimettente ritiene che la disposizione oggetto di giudizio stabilirebbe «una presunzione iuris et de iure di conformità e di legalità circa le azioni (ed omissioni) del Commissario p.t. e degli altri soggetti menzionati nel testo della norma impegnati ad attuare il Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, trattandosi di condotte che, secondo l’insindacabile giudizio ex ante dell’Esecutivo (ratificato dal legislativo), costituirebbero l’adempimento delle “migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”»;
che, in particolare, l’art. 2, comma 6, del d.l. n. 1 del 2015 potrebbe impedire sino al 23 agosto 2023 l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, vanificando le investigazioni eventualmente disposte dal giudice rimettente, perché gli autori delle condotte, attive e omissive, che hanno cagionato quegli eventi possono godere della causa di non punibilità prevista dalla disposizione censurata;
che, pertanto, per il giudice a quo è preliminare chiarire anzitutto se quelle norme che stanno consentendo l’attività produttiva presso lo stabilimento ILVA di Taranto, con garanzia di esenzione da responsabilità penale per le sue figure apicali (o soggetti da esse delegati), possano considerarsi costituzionalmente legittime;
che, con atto depositato il 14 maggio 2019, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la restituzione degli atti al giudice rimettente per una nuova valutazione dei presupposti del giudizio incidentale di costituzionalità alla luce di quanto previsto dall’art. 46 del sopravvenuto decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi) convertito, con modificazioni, in legge 28 giugno 2019, n. 58;
che, con atto anch’esso depositato il 14 maggio 2019, è intervenuta l’ArcelorMittal Italia spa, la quale, dopo aver ripercorso l’iter argomentativo dell’ordinanza di rimessione, ha evidenziato le ragioni di ammissibilità del proprio atto di intervento, volto a chiedere la restituzione degli atti al giudice rimettente in ragione dello ius superveniens costituito dal richiamato art. 46 del d.l. n. 34 del 2019, e concludendo, comunque, per l’inammissibilità e l’infondatezza delle questioni sollevate;
che, con atto parimenti depositato il 14 maggio 2019, è intervenuta altresì la Regione Puglia, la quale, in prima battuta, ha esposto le ragioni in base alle quali è legittimata a intervenire nel presente giudizio incidentale di legittimità costituzionale, per poi chiedere la restituzione degli atti al giudice a quo perché proceda a una nuova valutazione, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni, che tenga conto dell’effettivo termine finale delle disposizioni oggetto di giudizio, non ritenendo essa interveniente legittimo il d.P.C.m. 29 settembre 2017, nella parte in cui autorizza la prosecuzione dell’attività produttiva presso lo stabilimento ILVA di Taranto sino al 23 agosto 2023 a condizione che siano rispettate le prescrizioni del piano ambientale; in via subordinata, ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate sotto tutti i profili sollevati dall’ordinanza di rimessione;
che l’ArcelorMittal Italia spa, in data 5 giugno 2019, ha chiesto, previa decisione di questa Corte sull’ammissibilità del proprio intervento in giudizio, di essere ammessa alla consultazione integrale del fascicolo di giudizio, anche ai fini della partecipazione all’eventuale trattazione orale della controversia;
che, viste le disposizioni del Presidente della Corte del 21 novembre 2018, il Presidente, con provvedimento del 12 giugno 2019, notificato alle parti, ha fissato per la trattazione relativa alla decisione sull’ammissibilità dell’intervento dell’ArcelorMittal Italia spa e della Regione Puglia la camera di consiglio del 16 luglio 2019;
che, con ordinanza n. 204 del 2019, la Corte ha dichiarato ammissibile l’intervento dell’ArcelorMittal Italia spa, ritenendo inoltre che l’atto di intervento della Regione Puglia nel presente giudizio fosse da qualificarsi come atto di costituzione, essendo stata la stessa già individuata come parte offesa dal delitto di cui all’art. 434 cod. pen. per cui si procede nel procedimento rubricato al R.G.N.R. n. 10093/16;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, la Regione Puglia e l’ArcelorMittal Italia spa hanno fatto pervenire memorie in vista dell’udienza del 9 ottobre 2019.
Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto), convertito, con modificazioni, in legge 4 marzo 2015, n. 20, come modificato dall’art. 1, comma 7, del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191 (Disposizioni urgenti per la cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA), convertito, con modificazioni, in legge 1° febbraio 2016, n. 13, come successivamente modificato dall’art. 1, comma 4, lettera a), del decreto-legge 9 giugno 2016, n. 98 (Disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo ILVA), convertito, con modificazioni, in legge 1° agosto 2016, n. 151, e dall’art. 6, comma 10-bis, lettere a) e c), del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, in legge 27 febbraio 2017, n. 19, in relazione all’art. 3, comma 3, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, in legge 24 dicembre 2012, n. 231, e dell’art. 2, comma 6, del medesimo d.l. n. 1 del 2015, come convertito, nel testo in vigore dopo le modifiche operate dal d.l. n. 98 del 2016, come convertito, e dal d.l. n. 244 del 2016, come convertito, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 24, 32, 35, 41, 112 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 8 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;
che, in punto di rilevanza, il rimettente ritiene di dover fare applicazione delle disposizioni censurate in quanto investito di tre richieste di archiviazione formulate dal pubblico ministero in ordine a fatti relativi a emissioni inquinanti e nocive riconducibili alla produzione dello stabilimento ILVA di Taranto;
che, in particolare, rispetto a tali richieste di archiviazione il giudice a quo intende disporre un approfondimento delle indagini;
che, tuttavia, egli reputa di non poter procedere a causa delle disposizioni censurate, che per un verso hanno consentito e consentono tuttora la prosecuzione dell’attività produttiva di ILVA e per altro verso hanno introdotto una speciale causa di non punibilità per tali condotte;
che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che le disposizioni censurate contrastino anzitutto con l’art. 3 Cost., sotto tre differenti aspetti: il primo, perché la normativa denunciata darebbe luogo a un’irragionevole disparità di trattamento tra l’ILVA e la generalità delle altre imprese; il secondo, sotto il profilo della irragionevolezza, dato che «[s]e le condotte non punibili sono quelle in attuazione del piano ambientale, perché rappresentano ex lege […] “adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”», sarebbe poi inutile prevedere una scriminante ad hoc, quando sarebbe stato sufficiente, per l’autore del fatto, invocare la esimente comune prevista dall’art. 51 del codice penale; il terzo, per l’ingiustificata disparità di trattamento che si sarebbe venuta a determinare tra l’ILVA e gli altri stabilimenti di interesse strategico nazionale regolamentati dal decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), «in quanto, in forza delle suddette previsioni legislative, solamente lo stabilimento ILVA di Taranto può proseguire così a lungo l’attività produttiva pur in presenza di impianti palesemente inquinanti e soltanto i suoi proprietari e/o dirigenti possono godere di quella scriminante speciale»;
che, ad avviso del rimettente, le disposizioni si pongono in contrasto anche con l’art. 35 Cost., in combinato disposto con l’art. 32 Cost., giacché espongono i lavoratori e la popolazione residente nei pressi dello stabilimento a livelli intollerabili di inquinamento per un lungo lasso temporale, potenzialmente soggetto a nuove estensioni, con esonero da responsabilità degli autori delle condotte lesive;
che sussisterebbe altresì una violazione dell’art. 41 Cost., in combinato disposto con l’art. 32 Cost., atteso che le norme censurate violano il principio costituzionale che «impone all’attività di impresa di non recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana»;
che il giudice a quo ravvisa altresì una violazione degli artt. 24 e 112 Cost., perché sarebbe pregiudicato il dovere dell’ordinamento di reprimere e prevenire reati, «consentendo il perpetuarsi di situazioni penalmente rilevanti (artt. 434, 437, 674 cod. pen.) senza l’adeguata possibilità di prevenire e reprimere tali situazioni»;
che le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto anche con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 2 (diritto alla vita), 8 (diritto alla vita privata) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della CEDU, alla luce di quanto «da ultimo sancito dalla Corte Europea di Strasburgo nel procedimento n. 54413/13 (F. Cordella e altri c. Italia), definito con sentenza del 24 gennaio 2019»;
che, successivamente all’ordinanza di rimessione, l’art. 2, comma 6, del d.l. n. 1 del 2015, oggetto di censura, è stato modificato due volte: in prima battuta, per opera dell’art. 46 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, in legge 28 giugno 2019, n. 58 e, in seguito, dell’art. 14 del decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101 (Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali), convertito, con modificazioni, in legge 2 novembre 2019, n. 128, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 257 del 2 novembre 2019;
che, segnatamente, l’art. 46 del d.l. n. 34 del 2019, in primo luogo, ha novellato il primo periodo dell’art. 2, comma 6, del d.l. n. 1 del 2015, prevedendo che l’osservanza delle disposizioni contenute nel piano ambientale di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2014 (Approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, a norma dell'articolo 1, commi 5 e 7, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89), come modificato e integrato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 settembre 2017 (Approvazione delle modifiche al Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2014, a norma dell'articolo 1, comma 8.1., del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191, convertito, con modificazioni, dalla legge 1º febbraio 2016, n. 13), equivale all’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione ai fini della valutazione delle sole «condotte strettamente connesse all’attuazione dell’A.I.A. (autorizzazione integrata ambientale)», di modo che solo per queste – e non anche per quelle collegate alle altre norme di tutela dell’ambiente – opera l’esonero da responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reato ex art. 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300);
che, in secondo luogo, il legislatore è intervenuto sul secondo periodo dell’art. 2, comma 6, del d.l. n. 1 del 2015, precisando che le condotte poste in essere in attuazione del richiamato piano ambientale costituiscono adempimento delle migliori regole preventive per la sola materia ambientale e non più anche di quelle concernenti la tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro, di cui è stata espunta dal dato normativo la relativa locuzione;
che, in terzo luogo, la disposizione sopravvenuta ha sostituito il terzo periodo dell’art. 2, comma 6, del d.l. n. 1 del 2015, fissando il 6 settembre 2019 come termine ultimo per l’ambito di applicazione dello speciale esonero da responsabilità penale e amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati;
che successivamente l’art. 14 del d.l. n. 101 del 2019 – poi soppresso in sede di conversione sopravvenuta nelle more della redazione della presente ordinanza – ha modificato in più punti l’art. 2, comma 6, del d.l. n. 1 del 2015: innanzitutto sostituendo, nel primo periodo, il riferimento all’AIA con quello al piano ambientale; inoltre, specificando che le condotte poste in essere in attuazione del predetto piano ambientale, nel rispetto dei termini e delle modalità ivi stabiliti, non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, non solo in quanto integrano esecuzione delle migliori regole preventive in materia ambientale ma, altresì, in quanto costituiscono adempimento dei doveri imposti dal suddetto piano ambientale; ancora, modulando l’esimente da responsabilità penale e amministrativa per l’acquirente o l’affittuario e per i soggetti da questi funzionalmente delegati, secondo quanto stabilito nel piano ambientale per ciascuna prescrizione ovvero secondo i termini più brevi che l’affittuario o l’acquirente si siano impegnati a rispettare nei confronti della gestione commissariale ILVA, e confermando il termine del 6 settembre 2019 per l’operatività dell’esimente relativamente alle condotte poste in essere dai soli commissari straordinari; in quarto luogo, specificando esplicitamente che resta ferma in ogni caso la responsabilità in sede penale, civile e amministrativa eventualmente derivante dalla violazione di norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori;
che tutte queste vicende normative sopravvenute potrebbero condizionare l’applicabilità delle norme censurate nel procedimento a quo sulla base dei principi in materia di applicazione della legge penale nel tempo, anche in relazione all’affermazione del carattere permanente di taluni reati ipotizzati a carico delle persone sottoposte a indagine contenuta nell’ordinanza di rimessione;
che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, a fronte di una tale evoluzione del quadro normativo, non può spettare che al giudice rimettente valutare in concreto l’incidenza delle sopravvenute modifiche legislative sia in ordine alla rilevanza, sia in riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate;
che, pertanto, in disparte la valutazione delle numerose eccezioni di inammissibilità delle questioni prospettate dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto siccome dedotte in via subordinata dall’ArcelorMittal Italia spa (ordinanze n. 182 del 2019, n. 154 del 2018, n. 258 del 2016, n. 102, n. 80 e n. 53 del 2015, n. 75 del 2014), va disposta, come richiesto dalla parte costituita e dagli intervenienti, la restituzione degli atti al rimettente per un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni alla luce del mutato quadro normativo.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2019.