ANNO 2017
Commento alla decisione di
Grazia Ballo
Particolare tenuità del fatto: la Corte costituzionale salva l'indice-requisito della non abitualità
per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), e dell’art. 131-bis, commi primo, terzo e quarto, del codice penale, come introdotto dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28 (Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m, della legge 28 aprile 2014, n. 67), promosso dal Tribunale ordinario di Padova nel procedimento penale a carico di G. F., con ordinanza del 6 aprile 2016, iscritta al n. 106 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti l’atto di costituzione di G. F. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2017 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;
uditi l’avvocato Giovanni Gentilini per G. F. e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Padova, con ordinanza del 6 aprile 2016 (r.o. n. 106 del 2016), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), «nella parte in cui è scritto “e la non abitualità del comportamento” e, per effetto derivato, dell’art. 131 bis c.p., comma 1, con riferimento alle parole “e il comportamento risulta abituale”, e comma 3 (nella sua interezza)»;
che il Tribunale rimettente ha sollevato inoltre, in riferimento all’art. 76 Cost., una questione di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, quarto comma, del codice penale, come introdotto dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28 (Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m, della legge 28 aprile 2014, n. 67);
che il Tribunale rimettente ha sollevato infine, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, quarto comma, cod. pen., «nella parte in cui, dopo le parole “non si tiene conto delle circostanze”, non è scritto “fatta eccezione della circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 4 del codice penale e delle altre circostanze attenuanti”»;
che l’imputata è stata citata a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 624 e 625, numeri 5) e 7), cod. pen., «per aver agito con altre due donne non identificate ed essersi impossessata, al fine di trarne profitto per [sè] o per altri, di uno spolverino del valore di euro 45,00 sottraendolo d[a]l negozio “Incontro Moda” in San Dono di Massanzago, ove era detenuto, agendo con destrezza ed infilando il capo sottratto nella borsa mentre le altre due complici distraevano la titolare del negozio, con l’aggravante di aver commesso il fatto in tre persone e su cose esposte per necessità alla pubblica fede», nonché con l’aggravante della recidiva specifica reiterata e infraquinquennale;
che, ad avviso del Tribunale rimettente, dall’istruttoria effettuata e in forza di un giudizio prognostico, il reato risulterebbe «integrato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo così come le aggravanti contestate» e, in considerazione del valore del bene sottratto, potrebbe essere ritenuto di particolare tenuità;
che, tuttavia, nel caso di specie non potrebbe essere applicata la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., perché «dovrebbe riconoscersi nei precedenti penali dell’imputata una sorta di abitualità che esclude la concretizzazione dei requisiti previsti dalla norma»;
che inoltre «l’esclusione del bilanciamento delle aggravanti con le attenuanti rilevabili e riconoscibili, quali certamente nel caso di specie quella di cui all’art. 62, n. 4 c.p., comporta il superamento dei limiti edittali stabiliti dall’art. 131 bis c.p. per la sua applicazione»;
che il Tribunale rimettente ha ritenuto non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla difesa dell’imputata, relative all’art. 1, comma 1, lettera m), della legge n. 67 del 2014, «nella parte in cui è scritto “e la non abitualità del comportamento” e, per effetto derivato, [a]ll’art. 131 bis c.p., comma 1, con riferimento alle parole “e il comportamento risulta abituale”, e comma 3 (nella sua interezza)»;
che innanzi tutto potrebbe delinearsi un contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto le norme censurate – subordinando l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto al requisito della non abitualità del comportamento dell’autore del reato – avrebbero «introdotto un elemento immateriale, da profilarsi di volta in volta, di valenza paritetica al requisito patrimoniale, idoneo ad ingenerare disparità applicative che non trovano adeguata copertura nella ragionevolezza»;
che la configurabilità «di una clausola di non punibilità di natura valoriale ontologicamente ancorata al mediocre valore del danno da reato» dovrebbe, infatti, essere slegata da «profili soggettivi premiali, in grado di aprire ad un sindacato di meritevolezza subiettiva, di per sè stesso disparitario» e dovrebbe, invece, trovare applicazione in termini oggettivi ed uguali nei confronti di tutti i consociati, senza «subire limitazioni applicative di natura squisitamente autoriale»;
che, in conclusione, «ciò che non [potrebbe] ammettersi costituzionalmente è la coessenzialità di un requisito autoriale, poichè l’esclusione di taluni soggetti dal novero dei destinatari della norma ripropone un sistema imperniato sul tipo d’autore»;
che le norme censurate introdurrebbero una presunzione assoluta di maggiore pericolosità del reo per il suo status soggettivo di recidivo, che avrebbe «l’effetto automatico di conferire maggior disvalore al fatto, rendendolo più aggressivo per il solo fatto che proviene da soggetto consueto al delitto»;
che la presunzione sarebbe priva di logica, in quanto «[u]na condotta naturalisticamente obliterabile sul piano penale per il mediocre danno che crea diventerebbe il suo contrario, sol perché agìta da soggetto abituale»;
che l’irragionevolezza delle norme censurate sarebbe ancor più evidente alla luce della giurisprudenza costituzionale in tema di recidiva reiterata;
che l’art. 1, comma 1, lettera m), della legge n. 67 del 2014, laddove attribuisce ad uno status soggettivo del reo la capacità di discriminare l’accesso all’istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto, potrebbe altresì essere ritenuto in contrasto con l’art. 25, secondo comma, Cost., che, con il suo espresso richiamo al «“fatto commesso”», attribuisce rilievo fondamentale all’azione delittuosa per il suo obiettivo disvalore e non solo in quanto «manifestazione sintomatologica di pericolosità sociale»;
che infine non sarebbe manifestamente infondata anche una questione di legittimità costituzionale della norma in questione, in riferimento all’art. 27 Cost. e al principio di proporzionalità, «poiché appare evidente che la punizione che discende da un fatto oggettivamente privo di offensività apprezzabile espone il condannato ad una pena sproporzionata ex se alla gravità del reato commesso»;
che «in via subordinata», come ha precisato nell’ordinanza di rimessione, il Tribunale rimettente, in riferimento all’art. 76 Cost., ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, quarto comma, cod. pen.;
che secondo il Tribunale, poiché la legge delega ha fatto riferimento alle «condotte sanzionate […] “con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni”», senza indicare alcun criterio di calcolo, il legislatore delegato avrebbe dovuto fare ricorso «agli ordinari canoni di cui all’art. 4 e 278 c.p.p. [e] alle norme che regolano in via ordinaria il giudizio di bilanciamento tra circostanze, di cui all’art. 69 c.p.»;
che invece il legislatore delegato, senza averne il potere, ha «creato un peculiare criterio che, preso nel suo insieme, non trova alcun modello corrispettivo nel sistema penale sostanziale e processuale», negando rilevanza a qualsiasi circostanza attenuante;
che la questione sarebbe rilevante, perché in caso di accoglimento il Tribunale potrebbe «accedere all’impiego dei criteri di individuazione della pena di cui all’art. 278 c.p.p., […] bilanciando la circostanza attenuante comune di cui all’art. 62.4 c.p. in regime di prevalenza sulle contestate aggravanti, ricondurre la pena edittale al di sotto dei cinque anni di reclusione e così applicare la causa di esclusione della punibilità»;
che infine, «[i]n via aggiuntiva ed in termini indipendenti, seppur collegati», il giudice a quo, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, quarto comma, cod. pen., «nella parte in cui, dopo le parole “non si tiene conto delle circostanze”, non è scritto “fatta eccezione della circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 4 del codice penale e delle altre circostanze attenuanti”»;
che la scelta del legislatore delegato di non attribuire rilevanza alle circostanze attenuanti comuni e, in particolare, a quella prevista dall’art. 62, numero 4), cod. pen. sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., rendendo impossibile «discernere tra autore di una condotta connotata da maggiore pericolosità esecutiva (violenza sulle cose, minorata difesa o altro) e fatti del tutto bagatellari, ma aggravati in termini idonei ad essere bilanciati»;
che «[l]’interdizione a valorizzare, in qualsiasi modo, l’elemento circostanziale che più di ogni altro riconduce al modesto impatto patrimoniale il danno da reato» sarebbe poi in contrasto con l’art. 25, secondo comma, Cost. e «la sproporzione della sanzione che deriva dalla impossibilità di considerare la diminuente di cui si dice» determinerebbe una violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost.;
che le questioni sarebbero rilevanti perché mediante il bilanciamento tra le circostanze speciali contestate e l’art. 62, numero 4), cod. pen. l’imputata potrebbe beneficiare della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili;
che, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, il giudice rimettente sarebbe incorso in una aberratio ictus, avendo erroneamente individuato la norma che esclude la punibilità del fatto in presenza di un comportamento abituale;
che le questioni sarebbero inammissibili, anche perché l’ordinanza di rimessione non chiarisce se «il petitum […] sia costituito da una pronuncia caducatoria della norma censurata oppure da una pronuncia additiva»;
che nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituita G. F., imputata nel giudizio a quo, che ha chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate.
Considerato che, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Padova sarebbero inammissibili perché il giudice rimettente sarebbe incorso in una aberratio ictus;
che infatti non sarebbe possibile definire il giudizio a quo con una pronuncia di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, «a ciò ostando la contestazione all’imputato della recidiva specifica infraquinquennale», che farebbe escludere il requisito della non abitualità della condotta;
che l’eccezione è infondata;
che in primo luogo il Tribunale rimettente ha censurato l’art. 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), «nella parte in cui è scritto “e la non abitualità del comportamento” e, per effetto derivato, [l]’art. 131 bis c.p., comma 1, con riferimento alle parole “e il comportamento risulta abituale”, e comma 3 (nella sua interezza)»;
che, contrariamente a quanto dedotto dall’Avvocatura dello Stato, si tratta proprio delle norme della legge delega e del codice penale che subordinano l’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto al requisito della non abitualità del comportamento, comprendendo nella “abitualità” anche la recidiva specifica e reiterata, contestata nel caso in esame;
che, secondo la difesa dello Stato, le questioni sarebbero altresì inammissibili perché l’ordinanza di rimessione non chiarisce se «il petitum […] sia costituito da una pronuncia caducatoria della norma censurata oppure da una pronuncia additiva»;
che anche questa eccezione è infondata;
che infatti, essendo state sollevate questioni distinte, ancorché legate da pregiudizialità logica, la formulazione di un diverso petitum, con riferimento a ciascuna di esse, non ne comporta l’inammissibilità;
che le questioni sono state tra loro logicamente collegate in una relazione di necessaria pregiudizialità;
che per questa ragione la seconda e la terza questione sono state sollevate dal giudice rimettente «in via subordinata», ossia solo per l’eventualità dell’accoglimento della prima;
che infatti, esistendo a carico dell’imputato una recidiva specifica e reiterata, se non cadesse il requisito dell’abitualità, la causa di non punibilità introdotta dall’art. 131-bis del codice penale non potrebbe in alcun caso trovare applicazione e farebbe perdere rilevanza alle altre questioni relative all’art. 131-bis, quarto comma, cod. pen., che diventerebbero inammissibili;
che secondo il Tribunale rimettente il requisito della non abitualità sarebbe in contrasto con più disposizioni costituzionali: innanzi tutto con l’art. 3 della Costituzione, perché lo stesso fatto sarebbe trattato diversamente in ragione di elementi che non lo riguardano nella sua materialità, ma si riferiscono ad aspetti soggettivi; poi con l’art. 25 Cost., perché con l’espresso richiamo al «“fatto commesso”» questa norma dà rilevanza alla condotta dell’agente per il suo obiettivo disvalore e non solo in quanto «manifestazione sintomatologica di pericolosità sociale»; infine con l’art. 27 Cost., perché «la punizione che discende da un fatto oggettivamente privo di offensività apprezzabile espone il condannato ad una pena sproporzionata ex se alla gravità del reato commesso», che «non potrà mai essere sentita […] come sanzione rieducatrice»;
che tali questioni, enunciate in via prioritaria dal giudice rimettente, sono manifestamente infondate;
che il fatto particolarmente lieve, cui fa riferimento l’art. 131-bis cod. pen., è comunque un fatto offensivo, che costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per riaffermare la natura di extrema ratio della pena e agevolare la “rieducazione del condannato”, sia per contenere il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizione;
che l’avere condizionato la non punibilità anche attraverso un dato soggettivo, costituito dalla non abitualità del comportamento penalmente illecito, non contrasta con il principio di uguaglianza, perché il trattamento diverso è collegato a una situazione giuridica diversa;
che un requisito analogo, costituito dalla occasionalità del fatto, è previsto anche nelle fattispecie simili del giudizio davanti al giudice di pace (art. 34 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, recante «Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468») e del giudizio davanti al tribunale per i minorenni (art. 27 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, recante «Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni»);
che riconoscere la necessità che la fattispecie penale sia ancorata al «“fatto commesso”», e non a una mera «manifestazione sintomatologica di pericolosità sociale», come rileva il giudice rimettente, non significa negare qualunque rilevanza alla condotta dell’imputato antecedente, contemporanea o successiva alla commissione del fatto;
che la generale rilevanza di tale condotta ai fini della pena risulta dall’art. 133 cod. pen., oltre che dalla disciplina della recidiva, quando si tratta di condotta antecedente alla commissione del fatto;
che un comportamento penalmente illecito con caratteristiche di abitualità, specie se costituite da una recidiva specifica e reiterata, così come può rilevare per determinare la pena, analogamente può rilevare per determinare la punibilità di un fatto che, seppure di particolare tenuità, costituisce comunque reato;
che a una logica per vari aspetti analoga a quella dell’art. 131-bis cod. pen. si ispira anche la disciplina della sospensione condizionale della pena, che, a norma dell’art. 164 cod. pen., «è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’articolo 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati» e non può essere concessa «a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto»;
che il riferimento del Tribunale rimettente alle sentenze di questa Corte (n. 106 e n. 105 del 2014, e n. 251 del 2012), che in casi particolari hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., non è pertinente perché quelle decisioni non hanno fatto venire meno il generale divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva dell’art. 99, quarto comma, cod. pen., ma lo hanno escluso solo in ipotesi particolari, nelle quali il divieto incideva su circostanze attenuanti indicative di una diversità materiale del fatto per la sua minore offensività;
che in quei casi infatti il divieto comportava la violazione dell’art. 3 Cost., perché dava luogo a un uguale trattamento di fatti oggettivamente diversi, mentre nel caso in esame vengono in questione fatti oggettivamente uguali, o equivalenti, trattati diversamente, per il comportamento abitualmente illecito di chi li ha commessi;
che applicare la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. anche quando il comportamento illecito dell’agente risulta connotato dall’abitualità contrasterebbe con le esigenze di prevenzione speciale e significherebbe garantire all’imputato l’impunità per tutti gli analoghi reati che dovesse in futuro commettere;
che, in conclusione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera m), della legge n. 67 del 2014, e dell’art. 131-bis, primo e terzo comma, cod. pen. sono manifestamente infondate, perché l’avere subordinato la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto alla non abitualità del comportamento illecito non viola il principio di uguaglianza, dato che anche in presenza di fatti analoghi le ineguali condizioni soggettive giustificano il diverso trattamento penale, e per lo stesso motivo non è irragionevole e non risulta in contrasto con gli artt. 25 e 27 Cost.;
che la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, primo e terzo comma, cod. pen. comporta la manifesta inammissibilità delle altre questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Padova;
che infatti, non essendo venuto meno il requisito della non abitualità della condotta, le altre questioni sono prive di rilevanza, perché la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. risulta comunque inapplicabile nel giudizio a quo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), e dell’art. 131-bis, primo e terzo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Padova, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, quarto comma, cod. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, 27 e 76 Cost., dal Tribunale ordinario di Padova, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 ottobre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2017.