Sentenza n. 37 del 2017

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SENTENZA N. 37

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                          GROSSI                                Presidente

-           Giorgio                       LATTANZI                           Giudice

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                    ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge della Regione siciliana 6 marzo 1976, n. 24 (Addestramento professionale dei lavoratori), promosso dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite, nel procedimento vertente tra G. A. e Dipartimento regionale dell’istruzione e formazione professionale, con ordinanza del 12 aprile 2016, iscritta al n. 111 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Udito nella camera di consiglio del 7 dicembre 2016 il Giudice relatore Giulio Prosperetti.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 aprile 2016 il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge della Regione siciliana 6 marzo 1976, n. 24 (Addestramento professionale dei lavoratori), in riferimento agli artt. 3, 4, 27, 35 e 97 della Costituzione e all’art. 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto della Regione siciliana), nella parte in cui prevede quale requisito per l’iscrizione all’albo regionale del personale docente dei corsi di formazione professionale l’assenza di qualsivoglia condanna penale e, quale presupposto automatico per la cancellazione dal detto albo, l’esistenza di qualsivoglia condanna penale, anziché prevedere un procedimento in contraddittorio con l’interessato volto a valutare l’effettiva incidenza della condanna sull’attività lavorativa e/o individuare puntuali tipologie di reati.

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite, riferisce che è stato proposto ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana per l’annullamento, previa sospensione, del decreto direttoriale con cui, in esito all’aggiornamento dell’albo regionale del personale docente e non docente nel settore dei corsi di formazione professionale, il ricorrente è stato escluso per mancanza dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 14 della legge della Regione siciliana n. 24 del 1976, avendo riportato una condanna penale a seguito di patteggiamento, per il reato di truffa, a mesi sei di reclusione ed euro 400 di multa, con sospensione condizionale della pena.

In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che il ricorrente ha precisato di essere dipendente, con contratto a tempo indeterminato, fin dal 1997, dell’ente di formazione professionale C.R.Unci FP e di essere iscritto all’albo regionale, di cui all’art. 14 della legge reg. Sicilia n. 24 del 1976.

Il ricorso, prosegue il rimettente, si fonda sulla ritenuta illegittimità dell’applicazione automatica dell’art. 14, poiché l’esclusione dall’albo per effetto della sola condanna penale, senza lo svolgimento di un procedimento disciplinare che commisuri la reazione alla effettiva gravità del fatto commesso, si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza della Corte Costituzionale, e segnatamente con la sentenza n. 971 del 1988, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 85, lettera a), del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo Statuto degli impiegati civili dello Stato), nonché con la legge 7 febbraio 1990, n. 19 (Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione di diritto dei pubblici dipendenti), con cui è stata abrogata ogni disposizione attinente alla destituzione di diritto dei pubblici impiegati, senza la preventiva valutazione e ponderazione dei fatti illeciti accertati in sede penale.

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana precisa che i principi dell’illegittimità della destituzione di diritto e della commisurazione della reazione dell’ordinamento all’effettiva gravità del reato commesso dovrebbero essere applicati con maggior rigore ai casi, quali quello sottoposto alla sua attenzione, in cui l’attività lavorativa è irrimediabilmente preclusa dalla mancanza di iscrizione all’albo previsto dall’art. 14 della legge regionale siciliana n. 24 del 1976.

2.– Il collegio rimettente, in via preliminare, precisa di essere consapevole che l’iscrizione all’albo regionale di cui trattasi non è finalizzata all’esercizio di una professione, ma all’individuazione di soggetti da utilizzare per lo svolgimento di attività formativa finanziata dalla Regione siciliana, e che la giurisprudenza costituzionale e la disciplina legislativa, richiamate dal ricorrente, riguardano la destituzione automatica del pubblico impiegato e non il rapporto di lavoro privato, quale quello di specie.

Tuttavia, il Consiglio di giustizia amministrativa sostiene che l’effetto preclusivo ed espulsivo automatico, previsto dall’art. 14 della legge reg. Sicilia n. 24 del 1976, sarebbe incompatibile con i parametri costituzionali di proporzionalità e ragionevolezza, che impongono un bilanciamento tra il diritto del singolo a svolgere un’attività lavorativa e l’interesse generale dell’ordinamento a consentire l’accesso (o la permanenza, come nella specie) al lavoro a soggetti immuni da condanne penali ostative.

A conferma di ciò, il rimettente sottolinea come l’interpretazione, offerta dalla Corte costituzionale, delle norme in tema di accesso al lavoro, sia pubblico che privato, e di quelle sull’iscrizione agli albi professionali è nel senso di vietare gli automatismi espulsivi, salvo che per determinate categorie di impiegati pubblici, in considerazione della peculiarità dei compiti ad essi affidati e sempre sulla base di un giudizio di pericolosità sociale insito nell’applicazione di una misura di sicurezza personale, ovvero quando l’automatismo espulsivo sia un ragionevole effetto indiretto della pena accessoria di carattere interdittivo.

Quanto agli automatismi legislativi ex ante, essi sarebbero sempre parametrati, per l’iscrizione agli albi professionali, alla peculiarità della professione di cui trattasi, riguarderebbero solo puntuali tipologie di reati ostativi e, in ogni caso, la loro applicazione sarebbe sempre subordinata al contraddittorio con l’interessato.

L’irragionevolezza della normativa censurata, prosegue il collegio, sarebbe confermata dalla considerazione della disciplina del personale docente nelle scuole non statali, a cui, per effetto del rinvio dinamico contenuto nei contratti collettivi nazionali, si applica la disciplina del licenziamento disciplinare prevista per il pubblico impiego.

D’altronde, anche le norme che disciplinano l’esercizio di alcune libere professioni prevedono che la condanna penale sia causa di diniego di iscrizione all’albo, o di cancellazione da esso, solo in caso di particolare gravità, con riguardo alla natura della professione e previa selezione legale di fattispecie rilevanti.

Tale selezione verrebbe in rilievo anche in altri settori dell’ordinamento e, per esempio, in quello dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, la cui disciplina prevede che sia di ostacolo alla partecipazione alla gara l’aver riportato condanne specifiche, incidenti sulla moralità professionale dell’esecutore.

3.– Il rimettente dà conto di non poter superare la rigidità della norma censurata mediante l’interpretazione fornita dall’ufficio legislativo regionale, che suggerisce di applicare, in luogo della generica previsione dell’art. 14 della legge reg. Sicilia n. 24 del 1976, l’art. 99 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417 (Norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato). Tale ultima norma, per il personale docente delle scuole statali, prevede la destituzione automatica nei soli casi indicati dall’art. 85, lettere a) e b), del d.P.R. n. 3 del 1957, ovvero in caso di condanna per alcune tipologie di reato.

Adottando tale soluzione ermeneutica si consentirebbe all’amministrazione regionale di disapplicare la legge e di individuare, sostituendosi al legislatore, i reati ostativi; peraltro, l’automatismo ostativo o espulsivo non deriverebbe dalla pena irrogata in concreto e, quindi, non sarebbe proporzionata alla gravità del fatto commesso, ma discenderebbe dal ricorrere dei titoli astratti di reato.

Una tale interpretazione, infine, comporterebbe l’estensione analogica di norme punitive, peraltro attuata mediante il rinvio a due previsioni non più in vigore, poiché l’una, il d.P.R. n. 417 del 1974, è stata sostituita dagli artt. 496 e 498 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado) e l’altra, l’art. 85, lettera a), del d.P.R. n. 3 del 1957, è stata dichiarata incostituzionale.

4.– Sulla scorta di tali considerazioni, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana conclude nel senso di ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge reg. Sicilia n. 24 del 1976, in riferimento a plurimi parametri costituzionali.

In primo luogo, sarebbe violato l’art. 3 Cost. perché il diniego di iscrizione ovvero la cancellazione automatica dall’albo del personale docente della formazione professionale, a seguito di qualsivoglia condanna penale, non rispetterebbe i principi di proporzionalità e ragionevolezza, che sono alla base del principio di uguaglianza e determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto al personale docente della scuola pubblica, nella identità delle funzioni esercitate.

La previsione censurata, inoltre, sarebbe incompatibile con la tutela del lavoro, garantita dagli artt. 4 e 35 Cost., per la possibile sproporzione tra la gravità del fatto commesso e la conseguenza sanzionatoria automatica, che si concretizzerebbe, di fatto, nella perdita del posto di lavoro.

Essa, infine, contrasterebbe: 1) con l’art. 97 Cost., impedendo, nella specie, la migliore utilizzazione delle risorse professionali a disposizione dell’ente di formazione che utilizza i fondi regionali; 2) con l’art. 27 Cost., poiché la funzione rieducativa della pena implica la proporzionalità della punizione rispetto all’offesa e si realizza anche attraverso la valorizzazione dello svolgimento di attività lavorativa da parte dei detenuti e, a maggior ragione, di soggetti che non hanno scontato la pena a seguito della sua sospensione condizionale; 3) con l’art. 17, lettera f), dello statuto della Regione siciliana, che impone alla Regione di legiferare nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento statuale, di cui costituirebbe espressione il divieto di meccanismi automatici in ordine agli effetti delle condanne penali sui rapporti di lavoro, pubblici e privati, e sull’iscrizione agli albi professionali.

5.– Il collegio rimettente sottolinea che non sarebbe ostativa all’accoglimento della questione di legittimità costituzionale la richiesta di una pronuncia additiva non costituzionalmente imposta, poiché in altri casi la Corte costituzionale avrebbe comunque stigmatizzato l’automatismo espulsivo, pur in relazione alla commissione di alcuni specifici reati.

Nel caso di specie, l’irragionevolezza sarebbe ancor più evidente, poiché all’effetto preclusivo automatico si affianca una previsione che non discrimina tra tipologie di reato, ma considera titolo ostativo all’iscrizione qualsivoglia condanna penale.

Tale indistinta rigidità, a parere del collegio, non rientrerebbe nella discrezionalità riservata al legislatore, dovendo essa cedere al rispetto di valori costituzionali quali il diritto all’eguaglianza, il diritto al lavoro ed i principi di ragionevolezza e proporzionalità.

In ogni caso, l’adozione di una pronuncia additiva andrebbe considerata obbligata, quantomeno in relazione all’automatismo espulsivo in assenza di un procedimento in contraddittorio con l’interessato, potendo esso essere affidato alla Commissione regionale per la formazione professionale dei lavoratori, di cui all’art. 15 della medesima legge reg. Sicilia n. 24 del 1976, competente per l’iscrizione, cancellazione e tenuta dell’albo.

6.– In punto di rilevanza, il collegio rappresenta che, poiché l’atto impugnato si fonda sulla norma censurata, il ricorso potrebbe essere accolto solo a seguito della declaratoria di incostituzionalità di essa.

7.– La Regione non è intervenuta nel giudizio di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1.– Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite, solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 4, 27, 35 e 97 della Costituzione e all’art. 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto della Regione siciliana), dell’art. 14 della legge della Regione siciliana 6 marzo 1976, n. 24 (Addestramento professionale dei lavoratori), nella parte in cui prevede quale requisito per l’iscrizione all’albo regionale del personale docente dei corsi di formazione professionale l’assenza di qualsivoglia condanna penale e quale presupposto automatico per la cancellazione dal detto albo l’esistenza di qualsivoglia condanna penale, anziché prevedere un procedimento in contraddittorio con l’interessato volto a valutare l’effettiva incidenza della condanna sull’attività lavorativa e/o individuare puntuali tipologie di reati.

Ad avviso del rimettente, l’automatismo preclusivo, non correlato a specifiche tipologie di reato, e l’assenza di un contraddittorio con l’interessato, per valutare la gravità della condotta in relazione alla attività lavorativa prestata, contrasterebbero con i principi di proporzionalità e ragionevolezza, che dovrebbero ispirare il bilanciamento tra il diritto del singolo a svolgere un’attività lavorativa e l’interesse generale dell’ordinamento a consentire l’accesso al lavoro a soggetti immuni da condanne penali ostative.

2.– In via preliminare, va rilevato che la legittimazione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana di sollevare questione di legittimità costituzionale, in sede di parere su un ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana per l’annullamento di un decreto direttoriale regionale, deriva dal disposto dell’art. 69, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che stabilisce che il Consiglio di Stato «se ritiene che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata, sospende l’espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, ordina alla segreteria l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale», nonché dagli artt. 9 e 12 del decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato), che prevedono, rispettivamente, che l’adunanza delle sezioni riunite del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana rende il parere obbligatorio, per la decisione dei ricorsi amministrativi straordinari contro gli atti della Regione siciliana, e che a tale organo si estende, in quanto applicabile, la disciplina vigente per il Consiglio di Stato.

3.– La questione è inammissibile.

L’art. 14 della legge reg. Sicilia n. 24 del 1976 istituisce, presso l’Assessorato regionale del lavoro e della cooperazione, l’albo regionale del personale docente dei corsi di formazione professionale e contempla tra i requisiti soggettivi di ammissione, ovvero di esclusione, il fatto che l’aspirante sia immune da condanne penali.

La censura del giudice a quo si appunta sull’ampiezza di tale requisito. Per restringerne la portata, si chiede una pronuncia additiva che preveda il contraddittorio con l’interessato, per valutare l’effettiva incidenza della condanna sull’attività lavorativa, e che individui puntuali tipologie di reati ostativi all’iscrizione e, conseguentemente, alla permanenza nell’albo.

L’ordinanza di rimessione costruisce le sue censure sul presupposto del possesso di uno status e confonde la situazione giuridica in cui versano il pubblico dipendente ovvero l’appartenente ad un ordine professionale e colui che è inserito nell’albo di cui all’art. 14 della legge reg. Sicilia n. 24 del 1976, pretendendo di estendere a quest’ultimo la disciplina dettata per i primi e, in particolare, quella prevista per i docenti della scuola pubblica, sul presupposto dell’identità delle funzioni esercitate.

Orbene, in disparte ogni considerazione in ordine alle prospettazioni del giudice rimettente, questa Corte rileva che ai fini del decidere assume prevalente rilevanza la considerazione che le condotte delittuose che costituiscono indici rilevatori di non meritevolezza sono molteplici. Ciò comporta una variegata gamma di soluzioni possibili, pertanto la selezione delle condotte non può che essere riservata alla discrezionalità del legislatore, a cui questa Corte non può sostituirsi.

Analoghe considerazioni valgono con riferimento alla richiesta di integrare il precetto prevedendo un procedimento, in contraddittorio con l’interessato, per valutare l’effettiva incidenza della condanna sull’attività lavorativa del formatore.

Il riconoscimento alla pubblica amministrazione di un potere di accertare se la condanna riportata possa interferire con le funzioni di formatore, rientra pur sempre nella discrezionalità del legislatore, trattandosi di uno strumento, alternativo alla selezione di specifiche fattispecie di reato, per mitigare l’assolutezza della presunzione normativa che viene in discussione.

Pertanto, la prospettazione su cui si basa l’ordinanza di rimessione non è ammissibile, consistendo nella richiesta alla Corte dell’impossibile istituzione di una procedura valutativa e di un correlato potere discrezionale, in ordine alla compatibilità della condanna penale con l’iscrizione all’albo dei formatori professionali.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge della Regione siciliana 6 marzo 1976, n. 24 (Addestramento professionale dei lavoratori), sollevata in riferimento agli artt. 3, 4, 27, 35 e 97 della Costituzione e all’art. 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto della Regione siciliana), dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 dicembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2017.