ORDINANZA N. 195
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, della legge 21 dicembre 1999, n. 508 (Riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale di danza, dell’Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati), promosso dal Tribunale ordinario di Trento, nel procedimento vertente tra G.M. ed altri e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ed altro, con ordinanza del 3 dicembre 2013 iscritta al n. 33 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visti gli atti di intervento della Confederazione generale sindacale CGS già Confederazione GILDA-UNAM CGU, fuori termine, e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 18 maggio 2016 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Trento, con ordinanza del 3 dicembre 2013, nel giudizio promosso da alcuni docenti nei confronti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) e del Conservatorio “Francesco Antonio Bonporti” di Trento, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, della legge 21 dicembre 1999, n. 508 (Riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale di danza, dell’Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati), prospettando la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in riferimento alla clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato), in quanto detta norma statale consente di provvedere, ai fini del soddisfacimento delle esigenze didattiche non temporanee derivanti dalla legge di riforma dei Conservatori di musica, alle quali non si possa far fronte nell’ambito delle dotazioni organiche, «esclusivamente mediante l’attribuzione di incarichi di insegnamento di durata non superiore al quinquennio, rinnovabili», in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione del personale docente di ruolo, così da configurare la possibilità dell’utilizzazione di una successione di contratti a tempo determinato senza la previsione di tempi certi per lo svolgimento dei concorsi;
che secondo il giudice a quo:
− tutti i ricorrenti hanno stipulato con il Conservatorio di Trento una pluralità di contratti di lavoro a tempo determinato «fino alla nomina dell’avente diritto» e che essi hanno chiesto dichiararsi la nullità delle clausole appositive del termine finale nei singoli contratti di lavoro e, per l’effetto, condannare l’amministrazione al risarcimento del danno;
− la disposizione censurata consente l’utilizzazione di una successione di contratti, da parte della pubblica amministrazione, al di fuori delle finalità di cui al menzionato accordo quadro europeo;
− nel giudizio principale, era già stata sollevata analoga questione, di cui veniva dichiarata la manifesta inammissibilità con l’ordinanza della Corte costituzionale n. 206 del 2013, atteso che «i ricorrenti nei giudizi a quibus hanno chiesto dichiararsi la nullità delle clausole appositive del termine finale nei singoli contratti di lavoro stipulati con le rispettive pubbliche amministrazioni, con conseguente conversione dei rapporti di lavoro in contratti a tempo indeterminato» e il rimettente «non considera come, con previsione generale applicabile a tutto il pubblico impiego, l’art. 36, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), disponga che, in ogni caso, “la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”», con una incompleta ricostruzione del quadro normativo che si riverberava sulla rilevanza della questione, in ragione di una conseguente inefficacia dell’ipotetica pronuncia di accoglimento ai fini della decisione della domanda giudiziale concretamente posta al Tribunale ordinario di Trento, poiché il citato art. 36 è stato ritenuto dalla Corte non in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.;
− la norma impugnata consente di coprire cattedre e posti di insegnamento negli istituti considerati mediante il conferimento di supplenze, potendo darsi luogo ad una successione di contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato in contrasto con la normativa europea;
− l’ordinanza, nel dare conto della rilevanza dell’odierna questione, osserva che la domanda giudiziale avanzata dai ricorrenti, anche sotto il profilo del risarcimento del danno, alla luce della normativa vigente in tema di contratti di lavoro del personale docente, dovrebbe essere respinta, in quanto i contratti di cui si controverte sono stati stipulati nel rispetto della disposizione rimessa all’esame della Corte;
− al personale docente della scuola non si applicano le disposizioni del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), com’è stato confermato dall’intervento legislativo di cui all’art. 9, comma 18, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106, il quale ha aggiunto il comma 4-bis all’art. 10 del d.lgs. n. 368 del 2001;
− tale norma prevede espressamente che sono esclusi dall’applicazione del decreto «i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato»;
− i ricorrenti hanno eccepito la difformità della disciplina del reclutamento del personale docente a tempo determinato rispetto a quanto stabilito dalla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE;
− la direttiva, infatti, dopo aver imposto (clausola 1) la creazione di un sistema di norme finalizzate a prevenire gli abusi derivanti dalla successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, dispone (clausola 5) che gli Stati membri, per prevenire tali abusi, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti, una o più misure che prevedano ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti, ovvero la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, ovvero il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti;
− in virtù del primato del diritto dell’Unione europea rispetto ai singoli diritti nazionali, il giudice deve disapplicare la norma interna che sia in contrasto con quella del diritto dell’Unione europea ove questa sia direttamente applicabile; diversamente, la disciplina da applicare rimane quella interna, salvo il rinvio alla Corte costituzionale per illegittimità della norma interna, rispetto alla quale quella sovranazionale assume il rango di parametro interposto;
− la Corte di giustizia, dopo aver spiegato che la menzionata direttiva si applica anche ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi dalle pubbliche amministrazioni, ha pure ribadito, in più sentenze, che la citata clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro non è sufficientemente precisa e non può, quindi, essere direttamente invocata davanti ad un giudice nazionale (sentenza 15 aprile 2008, in causa C-268/06, Impact; sentenza 23 aprile 2009, nelle cause riunite da C-378/07 a C-380/07, Angelidaki ed altri);
− si pone, dunque, la necessità di valutare se la normativa italiana sia in grado di soddisfare almeno uno dei requisiti di cui alla clausola 5 sopra richiamata;
− sotto questo profilo, è palese che nell’ordinamento interno non vi sono né misure che prevedano la durata massima totale dei rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, né indicazioni sul numero dei rinnovi di tali rapporti da considerare ammissibile;
− occorre stabilire, perciò, se sussistano almeno le condizioni di cui al punto 1, lettera a), della clausola 5 dell’accordo quadro, secondo cui devono esistere «ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti»;
− la Corte di giustizia, interpretando tale dettato normativo, ha ritenuto che la nozione di “ragioni obiettive” vada riferita a circostanze precise e concrete che distinguono una determinata attività; circostanze che possono risultare dalla particolare natura delle funzioni svolte con simili contratti o, eventualmente, dal «perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro», mentre non soddisferebbe tale condizione una normativa nazionale che si limitasse ad autorizzare, in astratto, una successione di contratti di lavoro a tempo determinato;
− alla luce dell’interpretazione di tale clausola proveniente dalla Corte di giustizia, il giudice a quo dissente dalla sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, 20 giugno 2012, n. 10127, e dalla giurisprudenza di merito che non ravvisa nella disposizione oggi all’esame di questa Corte alcun contrasto con la menzionata clausola 5 dell’accordo quadro;
− è innegabile che le ulteriori assunzioni determinerebbero un aggravio della spesa pubblica, soprattutto in relazione al rischio del cosiddetto sovradimensionamento dell’organico che potrebbe crearsi a seguito di un calo demografico o di una diminuzione del numero degli iscritti; ma si tratta di stabilire se l’interesse – certamente esistente e da tutelare – al contenimento della spesa pubblica possa tradursi anche in una ragione giustificatrice della ripetizione di contratti di lavoro a tempo determinato; e, più ancora, si tratta di verificare se l’obiettivo di contenimento della spesa si adatti alle specifiche peculiarità del servizio scolastico;
− diversamente dall’art. 4, comma 1, della legge n. 124 del 1999, la disciplina in questione non prevede espressamente che il conferimento delle supplenze annuali, ai fini della copertura dei posti effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, avvenga «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo»;
− tuttavia, il riferimento alle «esigenze didattiche derivanti dalla presente legge cui non si possa far fronte nell’àmbito delle dotazioni organiche», rende evidente che il loro soddisfacimento, mediante i contratti di lavoro a tempo determinato, avviene in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione del personale docente di ruolo;
− va richiamata l’ordinanza n. 207 del 2013, con la quale sono state sottoposte alla Corte di giustizia, in via pregiudiziale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, alcune questioni di interpretazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE;
che in data 8 aprile 2014 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o comunque non fondata;
che in prossimità della camera di consiglio fissata per il 24 giugno 2015, la trattazione delle questioni veniva rinviata, e poi fissata alla odierna camera di consiglio del 18 maggio 2016;
che in data 26 aprile 2016 si è costituita la Confederazione generale sindacale CGS, già Confederazione GILDA-UNAM CGU, affermando la propria legittimazione a partecipare al giudizio incidentale anche se non costituita nel giudizio a quo, attesa l’incidenza dello stesso sulla propria posizione giuridica soggettiva, nonché in ragione dell’art. 64, comma 5, del d.lgs. n.165 del 2001, deducendo la fondatezza della questione.
Considerato che deve essere dichiarato inammissibile, in quanto tardivo l’intervento della Confederazione generale sindacale CGS, già Confederazione GILDA-UNAM CGU, non parte nel giudizio a quo e priva di un interesse qualificato;
che nelle more del giudizio incidentale, la Corte di giustizia, con la sentenza 26 novembre 2014 resa nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed altri, anche sul rinvio pregiudiziale effettuato dalla Corte costituzionale, ha statuito: «La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo»;
che la Corte di giustizia ha, di seguito, rilevato che «Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato»;
che, secondo il costante orientamento di questa Corte, «i princìpi enunciati dalla Corte di giustizia, riguardo a norme oggetto di giudizio di legittimità costituzionale, si inseriscono direttamente nell’ordinamento interno con il valore di ius superveniens, condizionando e determinando i limiti in cui quelle norme conservano efficacia e devono essere applicate anche da parte del giudice a quo» (ordinanze n. 80 del 2015, n. 124 del 2012 e n. 216 del 2011);
che, nel caso di specie, questa Corte non ha disposto il rinvio pregiudiziale in ordine all’interpretazione del parametro comunitario con riguardo alla disciplina in esame, ma alla sola disciplina di cui all’art. 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico);
che, d’altra parte, va considerato che, successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di rimessione, è intervenuta una riforma “di sistema” attraverso la legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti);
che, pertanto, alla stregua delle indicazioni innanzi svolte, spetta al giudice rimettente la valutazione circa la perdurante rilevanza della questione, anche in ragione della normativa statale sopravvenuta.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile l’intervento della Confederazione generale sindacale CGS, già Confederazione GILDA-UNAM CGU;
2) ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Trento.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 maggio 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2016.