ORDINANZA N. 163
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, sesto comma, del codice penale e dell’art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), promosso dal Tribunale ordinario di Bari nel procedimento penale a carico di V.A., con ordinanza del 15 dicembre 2014, iscritta al n. 330 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 1° giugno 2016 il Giudice relatore Nicolò Zanon.
Ritenuto che, con l’ordinanza menzionata in epigrafe, il Tribunale ordinario di Bari – nell’ambito del giudizio per l’accertamento della responsabilità penale di V.A. in ordine ai delitti di cui agli artt. 527, primo comma, e 594 del codice penale – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, sesto comma, cod. pen., nonché, in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost., dell’art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili);
che la questione relativa all’art. 2, sesto comma, cod. pen., è sollevata nella parte in cui tale articolo non prevede che le disposizioni contenute in una legge delega, le quali abrogano o trasformano fattispecie incriminatrici in illecito amministrativo, abbiano immediata applicazione, indipendentemente dalla successiva emanazione dei decreti legislativi di attuazione ovvero anche in mancanza degli stessi; mentre quella relativa all’art. 2 della legge delega n. 67 del 2014 è sollevata nella parte in cui tale articolo non esclude l’applicabilità delle sanzioni amministrative e civili introdotte dalla legge in questione, in relazione a condotte tenute in epoca antecedente alla data di entrata in vigore della stessa;
che, ad avviso del giudice a quo, entrambe le fattispecie incriminatrici, per le quali è processo, sarebbero state incise dall’entrata in vigore dell’art. 2 della legge delega n. 67 del 2014, la quale prevede, tra i principi e i criteri direttivi della delega, la trasformazione in illecito amministrativo, tra gli altri, del delitto di cui all’art. 527, primo comma, cod. pen. (art. 2, comma 2, lettera b, numero 1), nonché l’abrogazione del reato di cui all’art. 594 cod. pen. (art. 2, comma 3, lettera a, numero 2);
che, tuttavia, sussisterebbe un contrasto di giurisprudenza in ordine all’effetto da attribuirsi all’entrata in vigore delle ricordate disposizioni della legge delega: da una parte, infatti, la Corte di cassazione (sezione feriale, 31 luglio-17 settembre 2014, n. 38080) ha affermato che la delega legislativa in esame non è idonea, in mancanza dei corrispondenti decreti legislativi, a modificare il quadro normativo vigente (è richiamata, altresì, in termini, la sentenza pronunciata il 5 novembre 2014 dalla quinta sezione penale del Tribunale ordinario di Torino); mentre, d’altra parte, il Tribunale ordinario di Bari, seconda sezione penale, sentenza 16 giugno 2014, n. 1465, ha ritenuto immediatamente efficace la depenalizzazione disposta dalla legge delega;
che, a fronte di tale contrasto, il giudice a quo ritiene che il pieno riconoscimento dell’immediata efficacia delle disposizioni della legge delega, con conseguente depenalizzazione del primo dei due reati contestati nel giudizio a quo, richieda l’accoglimento della questione sollevata sull’art. 2, sesto comma, cod. pen.;
che, in punto di non manifesta infondatezza, egli considera, innanzitutto, che la legge delega n. 67 del 2014, approvata dai due rami del Parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica non solo sia «una fonte primaria», ma lo sia con «rango certamente superiore al suo emanando decreto legislativo, che – a pena di sua incostituzionalità – è una specifica attuazione dei suoi principi e criteri direttivi»;
che egli considera, altresì, che la volontà del legislatore nella legge delega sarebbe «chiara nel voler depenalizzare ed abrogare le fattispecie penali ivi indicate», e che tale volontà non potrebbe essere in alcun modo «inficiata da un successivo decreto legislativo di attuazione, anche se tardivo, mancante o addirittura fuorviante dai principi imposti, caso ultimo, questo, di incostituzionalità nativa»;
che, dunque, il giudice a quo ritiene che il rapporto intercorrente tra legge delega e decreto legislativo sia pienamente assimilabile a quello tra decreto-legge e legge di conversione, sulla base della considerazione che «[i] due atti aventi forza di legge, in buona sostanza, sono atti dell’Esecutivo sottoposti sempre al vaglio parlamentare che rappresenta la volontà del legislatore: in via preventiva nel decreto legislativo ed in via successiva nel decreto-legge»;
che, del resto, secondo il giudice rimettente, solo per ragioni storiche, legate alla circostanza che il codice penale fu promulgato in epoca precedente all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, l’art. 2 cod. pen. non estenderebbe tutte le sue previsioni anche all’ipotesi di legge delega in materia penale, sin dalla sua «promulgazione ed indipendentemente dalla successiva emanazione, o mancanza, del relativo decreto legislativo di attuazione, ove questa preveda espressamente la depenalizzazione e l’abrogazione di un reato»;
che, infine, alla luce del «principio di legalità» di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., risulterebbe a suo avviso evidente l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, sesto comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede l’applicabilità delle disposizioni da esso dettate anche all’ipotesi della legge delega abrogatrice o depenalizzatrice di un reato sin dalla sua data di promulgazione e non da quella successiva in cui viene emesso il decreto legislativo di attuazione;
che, in punto di non manifesta infondatezza della questione relativa all’art. 2 della legge n. 67 del 2014, il giudice rimettente evidenzia che le condotte poste in essere in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge delega – integranti non più un reato, bensì illeciti amministrativi ovvero civili proprio per effetto delle disposizioni contenute in detta legge – non dovrebbero essere sottoposte alle nuove corrispondenti sanzioni, in virtù del principio di legalità dettato anche per le sanzioni amministrative dall’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale);
che, pertanto, se tutti i fatti contestati sino alla promulgazione della legge delega n. 67 del 2014 non fossero più punibili come reati, perché tali ipotesi sarebbero state espressamente abrogate e depenalizzate, al tempo stesso le nuove figure sanzionatorie, poiché entrate in vigore successivamente alla commissione di quei fatti, non potrebbero soddisfare il fondamentale divieto di irretroattività di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., «da intendersi estensivamente non solo come concetto riservato all’illecito penale, ma anche attinente ad ogni altro tipo di condotta antigiuridica comunque sanzionata», con conseguente illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge delega, nella parte in cui non esclude che le sanzioni amministrative e civili da essa introdotte siano applicabili in relazione a condotte tenute prima della sua entrata in vigore;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate manifestamente inammissibili, e, in subordine, non fondate;
che, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, l’inammissibilità dipenderebbe sia dal fatto che l’ordinanza non avrebbe esplicitato la rilevanza delle questioni sollevate nel giudizio a quo, «soprattutto con riferimento al profilo della irrogazione della sanzione amministrativa», sia dal fatto che l’equiparazione della fattispecie in esame alla diversa ipotesi del decreto-legge non convertito in legge risulterebbe in contrasto con i principi fondamentali in materia di atti aventi forza di legge;
che, in ordine alle questioni sollevate sull’art. 2 cod. pen., la difesa statale evidenzia come, ai sensi degli artt. 76 e 77 Cost., la legge delega non potrebbe produrre effetti sino all’emanazione dei decreti legislativi, mentre il decreto-legge produce immediatamente effetti, sebbene subordinati alla conversione in legge nei successivi sessanta giorni (a conforto è richiamata la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima penale, 19 settembre-29 ottobre 2014, n. 44977);
che, in ogni caso, l’eventuale sentenza di condanna pronunciata prima del tempestivo esercizio della delega potrebbe essere successivamente revocata dal giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 673 del codice di procedura penale.
Considerato che il Tribunale ordinario di Bari solleva, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, sesto comma, del codice penale, nonché, in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili);
che, ad avviso del rimettente, l’art. 2, sesto comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che le disposizioni contenute in una legge delega, le quali abrogano o trasformano fattispecie incriminatrici in illecito amministrativo, abbiano immediata applicazione, indipendentemente dalla successiva emanazione dei decreti legislativi di attuazione ovvero anche in loro mancanza, contrasterebbe con gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., perché la legge delega, in quanto fonte produttrice di norme immediatamente efficaci, non necessiterebbe dei decreti legislativi di attuazione per determinare effetti favorevoli per il reo;
che inoltre, secondo il giudice a quo, l’art. 2 della legge delega n. 67 del 2014, nella parte in cui non esclude che le sanzioni amministrative e civili da essa introdotte siano applicabili in relazione a condotte tenute prima della sua entrata in vigore, violerebbe l’art 25, secondo comma, Cost., perché tali sanzioni non erano previste all’epoca della commissione dei fatti e, in virtù del principio di legalità, dovrebbero trovare applicazione soltanto per le condotte poste in essere successivamente all’entrata in vigore della legge n. 67 del 2014;
che, successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di rimessione, sono entrati in vigore i decreti legislativi di attuazione della delega di cui all’art. 2 della legge n. 67 del 2014 (decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, recante «Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67»; decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, recante «Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67»);
che l’art. 1 del d. lgs. n. 7 del 2016 abroga il reato previsto dall’art. 594 cod. pen. ed il successivo art. 4 del medesimo decreto legislativo vi sostituisce la previsione di un corrispondente illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile;
che l’art. 12 del d. lgs. n. 7 del 2016 prevede, con specifica disciplina transitoria, le modalità di applicazione delle disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili anche in ordine ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto;
che l’art. 1 del d. lgs. n. 8 del 2016 depenalizza il reato di cui all’art. 527, primo comma, cod. pen., trasformandolo in illecito amministrativo soggetto a sanzione amministrativa pecuniaria;
che l’art. 8 del d. lgs. n. 8 del 2016 detta specifiche disposizioni in ordine all’applicabilità della sanzione amministrativa in questione alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso;
che le indicate disposizioni, emanate in attuazione della legge delega n. 67 del 2014, hanno determinato una decisiva trasformazione del quadro normativo di riferimento, alla luce del quale il giudice rimettente aveva sollevato le questioni di legittimità costituzionale in esame;
che va, quindi, disposta la restituzione degli atti al giudice a quo, per una nuova valutazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.
Visto l’art. 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Bari.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° giugno 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2016.