Ordinanza n. 256 del 2015

 CONSULTA ONLINE 

 

ORDINANZA N. 256

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Giuseppe                     FRIGO                                               Giudice

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunto dall’art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», promossi dal Tribunale ordinario di Lecce con ordinanza del 16 luglio 2014, dal Tribunale ordinario di Monza con ordinanza del 22 settembre 2014, dal Tribunale ordinario di Trento con ordinanze del 15 ottobre e del 7 novembre 2014 e dal Tribunale ordinario di Teramo con ordinanza del 15 dicembre 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 45, 51, 53, 54 e 66 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 13,15 e 17, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 novembre 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 16 luglio 2014 (r.o. n. 45 del 2015), il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunto dall’art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare non superiore ad euro 103.291,38 per ciascun periodo di imposta;

che il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di una persona imputata del delitto previsto dalla norma censurata, per non aver versato entro il termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto d’imposta (1° ottobre 2007) ritenute certificate per un ammontare di euro 89.939, superiore, dunque, alla soglia di punibilità prevista dal denunciato art. 10-bis, pari ad euro 50.000 per ciascun periodo di imposta;

che il rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale della norma, in parte qua, osservando come, con la sentenza n. 80 del 2014, la Corte costituzionale abbia dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, puniva l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38;

che la Corte costituzionale ha ritenuto, in specie, lesiva del principio di eguaglianza la previsione, per il delitto di omesso versamento dell’IVA, di una soglia di punibilità (euro 50.000) inferiore a quelle stabilite per la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione dagli artt. 4 e 5 del medesimo legislativo (rispettivamente, euro 103.291,38 ed euro 77.468,53), prima della loro modifica in diminuzione ad opera dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; modifica operante, per espressa previsione normativa, in rapporto ai soli fatti commessi dopo il 17 settembre 2011;

che in questo modo, infatti, veniva riservato un trattamento deteriore a comportamenti di evasione tributaria meno insidiosi e lesivi degli interessi del fisco, attenendo l’omesso versamento a somme di cui lo stesso contribuente si era riconosciuto debitore nella dichiarazione annuale dell’IVA;

che, ad avviso del giudice a quo, le medesime considerazioni varrebbero anche in rapporto al delitto di omesso versamento di ritenute certificate, previsto dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, la cui soglia di punibilità è rimasta immutata;

che analoga questione è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Monza, in composizione monocratica, con ordinanza del 22 settembre 2014 (r.o. n. 51 del 2015);

che il giudice a quo riferisce di essere chiamato a giudicare una persona imputata di violazione continuata dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, per aver omesso di versare ritenute certificate per un ammontare complessivo di euro 53.772, in relazione all’anno di imposta 2009, e di euro 77.541, in relazione all’anno di imposta 2010: donde la rilevanza della questione;

che anche secondo il Tribunale monzese, una declaratoria di illegittimità costituzionale similare a quella pronunciata con la sentenza n. 80 del 2014 in rapporto al reato di omesso versamento dell’IVA dovrebbe essere adottata in relazione al reato omologo di omesso versamento di ritenute certificate;

che il trattamento più severo che, a seguito della citata sentenza n. 80 del 2014, risulta riservato all’omesso versamento delle ritenute rispetto all’omesso versamento dell’IVA non sarebbe, infatti, frutto di una scelta legislativa, ma l’effetto indiretto di un intervento della Corte costituzionale;

che il legislatore, al contrario, aveva inteso trattare in modo identico le due ipotesi, tanto da adottare la tecnica del rinvio all’art. 10-bis nella descrizione della fattispecie dell’omesso versamento dell’IVA: ciò, nella evidente convinzione che i due illeciti presentino un analogo disvalore, convinzione ribadita in occasione del rimaneggiamento dell’intero sistema delle soglie di punibilità e delle pene dei reati tributari operato con il d.l. n. 138 del 2011, come convertito dalla l. n. 148 del 2011, che ha lasciato inalterata la piena parificazione delle figure criminose in discorso;

che l’invocata declaratoria di illegittimità costituzionale si imporrebbe, pertanto, al fine di ripristinare, con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011, l’equilibrio sanzionatorio voluto dal legislatore;

che con due ordinanze di analogo tenore, emesse il 15 ottobre 2014 (r.o. n. 53 del 2015) e il 7 novembre 2014 (r.o. n. 54 del 2015), il Tribunale ordinario di Trento, in composizione monocratica, dubita nei medesimi termini della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000;

che il giudice a quo è parimenti investito di processi penali nei confronti di persone imputate di omesso versamento di ritenute certificate di importo compreso tra i 50.000 e i 103.291,38 euro, relative agli anni di imposta 2008 (quanto all’ordinanza r.o. n. 54 del 2015) e 2009 (quanto all’ordinanza r.o. n. 53 del 2015);

che il rimettente osserva come non possa aderirsi alla tesi secondo la quale la sentenza n. 80 del 2014 estenderebbe direttamente i suoi effetti anche al reato previsto dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000;

che i delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione, di cui agli artt. 4 e 5 – assunti da detta sentenza come tertia comparationis – non sono, infatti, riferibili alla dichiarazione del sostituto d’imposta: con la conseguenza che, in materia di ritenute certificate, difetterebbe una connessione normativa tra i reati in materia di dichiarazione e quello di omesso versamento;

che assumerebbe tuttavia rilievo, come ragione di contrasto con l’art. 3 Cost., la disparità di trattamento venutasi a creare, dopo l’intervento della Corte costituzionale, tra i fatti di omesso versamento dell’IVA commessi sino al 17 settembre 2011 – la cui soglia di punibilità risulta elevata ad euro 103.291,38 – e quelli di omesso versamento delle ritenute certificate, che sono rimasti invece punibili nel caso di superamento del limite di 50.000 euro;

che siffatta dissimmetria risulterebbe irragionevole alla luce dell’omogeneità strutturale delle due figure criminose, finalizzate entrambe a tutelare la corretta e puntuale riscossione dei tributi, e tenuto conto, altresì, del fatto che il legislatore ha ritenuto di doverne allineare pienamente il trattamento, prevedendo per esse la medesima pena e la stessa soglia di punibilità;

che anche il Tribunale ordinario di Teramo, in composizione monocratica, con ordinanza del 15 dicembre 2014 (r.o. n. 66 del 2015), solleva analoga questione;

che quanto alla rilevanza, il rimettente riferisce di essere investito del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato previsto dalla norma censurata, per aver omesso di versare ritenute certificate per l’anno 2010 per un importo di euro 60.108;

che con riguardo, poi, alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo reputa che la violazione del principio di eguaglianza riscontrata dalla sentenza n. 80 del 2014 sussista anche con riguardo al reato di omesso versamento di ritenute certificate, sia nel raffronto con i reati previsti dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, prima della riforma operata dal d.l. n. 138 del 2011, sia nella comparazione il reato di cui all’art. 10-ter, quale risultante a seguito della citata sentenza;

che le fattispecie criminose previste dagli artt. 10-bis e 10-ter hanno, infatti, eguale struttura, essendo la seconda modellata esattamente sulla prima: entrambe sono reati omissivi propri posti a tutela dell’interesse dell’erario alla corretta e tempestiva riscossione delle somme dovute dal contribuente, come autoliquidate o certificate dal medesimo, e punibili a titolo di dolo generico, diversamente dai reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione, che richiedono il dolo specifico di evasione delle imposte;

che sarebbe, quindi, indubbio che tali ultimi reati siano più gravi, sul piano dell’attitudine lesiva degli interessi del fisco, non solo rispetto all’omesso versamento dell’IVA, ma anche rispetto all’omesso versamento delle ritenute certificate: e ciò – come rilevato nella sentenza n. 80 del 2014 – «nella stessa considerazione del legislatore, come emerge dal raffronto delle rispettive pene edittali»;

che anche nel caso disciplinato dall’art. 10-bis la condotta dell’autore del fatto è «trasparente», in quanto la somma dovuta all’erario, anche se non indicata in dichiarazione, è comunque certificata dal sostituto d’imposta e, quindi, facilmente accertabile da parte del fisco;

che si tratterebbe, quindi, di una condotta meno insidiosa di quelle represse dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, idonee ad ostacolare l’accertamento dell’imposta evasa: donde l’irragionevolezza dell’operatività per il reato in esame, quanto ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, di una soglia di punibilità più bassa di quella stabilita per i fatti di infedele o omessa dichiarazione;

che la violazione del principio di eguaglianza emergerebbe, peraltro, anche dal raffronto con il reato di omesso versamento dell’IVA;

che la previsione di soglie di punibilità differenziate per i due illeciti non potrebbe essere, infatti, spiegata con la diversa natura fiscale dell’obbligazione inadempiuta, giacché la stessa strutturazione degli artt. 10-bis e 10-ter dimostrerebbe come le figure delittuose siano pienamente sovrapponibili sul piano del disvalore;

che l’art. 10-ter richiama, tanto in relazione alla soglia di punibilità che alla pena, l’art. 10-bis, presupponendo, così, una valutazione legislativa di equivalenza delle condotte incriminate: equivalenza che torna, d’altro canto, ad essere perfetta per le condotte successive al 17 settembre 2011;

che, di conseguenza, mentre per i fatti posteriori a detta data il trattamento dei due illeciti è identico, per i fatti anteriori si assiste ad una significativa sperequazione, che rimarrebbe priva di adeguata giustificazione;

che è intervenuto in tutti i giudizi di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate.

Considerato che i Tribunali ordinari di Lecce, Monza, Trento (con due ordinanze di rimessione) e Teramo dubitano della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunto dall’art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore ad euro 50.000 per ciascun periodo d’imposta, anziché ad euro 103.291,38;

che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che successivamente alle ordinanze di rimessione è intervenuto il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7 ottobre 2015, serie generale n. 233, supplemento ordinario n. 55, che ha apportato un ampio complesso di modifiche al sistema sanzionatorio tributario, tanto penale che amministrativo;

che l’applicazione della nuova disciplina è stata differita al 1° gennaio 2017 unicamente in rapporto alle disposizioni del Titolo II, attinenti alle sanzioni amministrative (art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 158 del 2015): sicché le nuove norme penali sono entrate in vigore il 22 ottobre 2015, decorso l’ordinario termine di vacatio legis;

che, nel quadro degli interventi di revisione del sistema sanzionatorio penale, l’art. 7 del citato decreto legislativo ha modificato anche la norma censurata: da un lato, stabilendo che le ritenute, il cui omesso versamento assume rilievo penale, possano risultare, oltre che dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, anche dalla dichiarazione di sostituto d’imposta (donde il nuovo nomen iuris del reato, risultante dalla rubrica, di «Omesso versamento di ritenute dovute o certificate»); dall’altro – e per quanto qui più interessa – innalzando la soglia di punibilità dell’illecito dai precedenti 50.000 euro a 150.000 euro per ciascun periodo di imposta: dunque, ad un importo più elevato di quello che i giudici rimettenti hanno chiesto a questa Corte di introdurre, quanto ai fatti antecedenti al 17 settembre 2011;

che va, di conseguenza, disposta la restituzione degli atti ai giudici a quibus, per una nuova valutazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate alla luce del mutato quadro normativo.

Visto l’art. 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti ai Tribunali ordinari di Lecce, Monza, Trento e Teramo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 dicembre 2015.