Sentenza n. 14 del 2015

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SENTENZA N. 14 *

ANNO 2015

 

 

Commento alla decisione di

 

I. Luca Carboni, La Corte costituzionale afferma il potere del g.i.p. di pronunciarsi ex art. 129, co. 2, c.p.p. nel caso di domanda di oblazione presentata contestualmente all’opposizione a decreto penale, per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo

 

II. G. L., Per la consulta l'imputato condannato per decreto può essere prosciolto ex art. 129 cod. proc. pen., se ha proposto opposizione e al tempo stesso domanda di oblazione, per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alessandro              CRISCUOLO                                                Presidente

- Paolo Maria             NAPOLITANO                                               Giudice

- Giuseppe                 FRIGO                                                                  ”

- Paolo                       GROSSI                                                                ”

- Giorgio                    LATTANZI                                                           ”

- Aldo                        CAROSI                                                                ”

- Marta                      CARTABIA                                                          ”

- Sergio                      MATTARELLA                                                    ”

- Mario Rosario         MORELLI                                                             ”

- Giancarlo                CORAGGIO                                                         ”

- Giuliano                  AMATO                                                                ”

- Silvana                    SCIARRA                                                             ”

- Daria                       de PRETIS                                                            ”

- Nicolò                     ZANON                                                                ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 464, comma 2, del codice di procedura penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli nel procedimento penale a carico di D.F.A. ed altri con ordinanza del 10 febbraio 2014, iscritta al n. 146 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 10 febbraio 2014, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 464, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui, «secondo il diritto vivente», non consente al giudice di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., ove l’imputato abbia presentato domanda di oblazione contestualmente all’opposizione a decreto penale di condanna.

Il giudice a quo premette di essere investito dell’opposizione avverso il decreto penale di condanna alla pena di euro 2.500 di ammenda, emesso nei confronti di tre persone imputate, in concorso tra loro, di una contravvenzione in materia ambientale. Con l’atto di opposizione, corredato da memoria difensiva con allegata documentazione, gli imputati avevano chiesto il proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. e, in subordine, di essere ammessi all’oblazione a norma dell’art. 162-bis del codice penale.

Ad avviso del rimettente, sussisterebbero i presupposti per l’immediato proscioglimento degli imputati perché il fatto non costituisce reato: la documentazione prodotta fornirebbe, infatti, la prova evidente che essi avevano operato nell’incolpevole convincimento della piena legittimità dell’attività di abbandono di rifiuti loro contestata, con conseguente insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Secondo il giudice a quo, tuttavia, alla luce del «diritto vivente», tale pronuncia non sarebbe consentita.

Con sentenza 25 marzo - 4 giugno 2010, n. 21243, le sezioni unite della Corte di cassazione – componendo un pregresso contrasto di giurisprudenza – hanno infatti affermato che la sentenza di proscioglimento, emessa ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. dal giudice per le indagini preliminari dopo l’opposizione a decreto penale, deve considerarsi abnorme. A sostegno della conclusione, le sezioni unite hanno rilevato che il citato art. 129 non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore, inteso quale occasione “atipica” di decidere la res iudicanda, ma si limita ad enunciare una regola di giudizio che deve trovare attuazione con l’osservanza della disciplina relativa alla fase e al grado in cui il processo si trova e nel rispetto del principio del contraddittorio. Nella specie, una volta emesso il decreto penale, il giudice per le indagini preliminari è spogliato di poteri decisori di merito, incombendo su di esso solo i poteri-doveri di impulso processuale previsti dall’art. 464 cod. proc. pen., vincolati nell’an e nel quomodo, con la sola eccezione della decisione sulla eventuale domanda di oblazione (art. 464, comma 2, cod. proc. pen.).

A parere del giudice a quo, tuttavia, proprio in relazione all’ipotesi in cui sia presentata domanda di oblazione, la soluzione ermeneutica accolta dal «diritto vivente» condurrebbe a risultati contrastanti con la Costituzione.

Al riguardo, il rimettente rileva preliminarmente come non possa condividersi l’assunto delle sezioni unite, posto anch’esso a base della ricordata opzione interpretativa, stando al quale il giudice per le indagini preliminari non potrebbe pronunciare sul merito dell’azione penale dopo l’opposizione senza incorrere in una violazione delle regole sulla incompatibilità, posto che l’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. inibisce al giudice che abbia emesso il decreto penale di condanna di «partecipare al giudizio» concernente lo stesso imputato. Sarebbe, infatti, lo stesso art. 141, comma 3 [recte: comma 4], disp. att. cod. proc. pen. a prevedere che detto giudice, dopo il versamento della somma dovuta a titolo di oblazione, dichiari estinto il reato con sentenza: ciò, «a dimostrazione di una valenza del tutto attenuata della clausola di incompatibilità di cui all’art. 34, comma 2, c.p.p.».

Tanto puntualizzato, il rimettente osserva come, in forza del censurato art. 464, comma 2, cod. proc. pen., il giudice debba decidere sulla domanda di oblazione prima di emettere i provvedimenti propulsivi finalizzati all’instaurazione del giudizio conseguente all’opposizione: con il risultato che l’opzione esercitata impedirebbe all’imputato di accedere ad una pronuncia di merito che ne accerti l’innocenza.

Ciò comporterebbe, anzitutto, la violazione del «principio di ragionevolezza, quale particolare accezione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.». L’art. 459, comma 3, cod. proc. pen. consente, infatti, al giudice di prosciogliere l’imputato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. in sede di decisione sulla richiesta di emissione del decreto di condanna presentata dal pubblico ministero. Di contro, nella fase successiva all’emissione del decreto, l’imputato, per il solo fatto di aver richiesto l’oblazione, verrebbe a trovarsi in una situazione irragionevolmente deteriore: giacché, quando pure – alla luce delle deduzioni contenute nell’atto di opposizione – emergesse la prova evidente della sua innocenza, il giudice dovrebbe comunque “imporgli” il versamento di una somma di denaro a titolo di oblazione. Tale risultato non potrebbe essere evitato neppure tramite un rigetto della domanda di oblazione volto «obliquamente» a consentire all’imputato «di rimettere in discussione la res iudicanda», giacché le cause di rigetto dell’istanza di oblazione «sono tutte da interpretare contra reum».

La possibilità, per l’imputato, di beneficiare del proscioglimento immediato nella fase anteriore all’emissione del decreto, in applicazione dell’art. 459, comma 3, cod. proc. pen., verrebbe, d’altra parte, a dipendere dalla completezza o meno delle indagini svolte fino a quel momento dal pubblico ministero, senza che rilevino i successivi apporti probatori della difesa: donde una irragionevole compressione anche del diritto di difesa dell’imputato (art. 24 Cost.).

La norma censurata, nella lettura datane dal «diritto vivente», si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 27 Cost., perché lesiva del diritto dell’imputato a conseguire in ogni stato e grado del giudizio l’assoluzione dall’accusa mossagli, allorché emerga univocamente la sua innocenza.

Risulterebbe violato, infine, l’art. 111 Cost., sia «nella parte in cui prevede il diritto dell’imputato di allegare prove della propria innocenza» (nella specie, mediante l’atto di opposizione); sia nella parte in cui – enunciando il principio della ragionevole durata del processo – esclude che l’imputato possa essere costretto a richiedere il giudizio al fine di conseguire un’assoluzione che già emerge come esito evidente dagli atti.

La questione sarebbe, altresì, rilevante nel giudizio a quo, apparendo incontestabile l’interesse degli imputati ad essere prosciolti, anziché per estinzione del reato in conseguenza dell’oblazione, con formula ampiamente liberatoria ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.

2.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, per difetto di rilevanza e perché fondata su un erroneo presupposto interpretativo, o comunque infondata.

La difesa dello Stato osserva che le sezioni unite della Corte di cassazione, nella sentenza citata del rimettente, hanno affermato che il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di giudizio immediato da parte dell’opponente a decreto penale, non può adottare de plano una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., in quanto «l’esigenza di immediatezza nella declaratoria di una causa di non punibilità deve pur sempre trovare attuazione nelle forme ordinarie e nel rispetto del contraddittorio e dei diritti delle parti».

Nell’ambito del procedimento monitorio, la facoltà del giudice per le indagini preliminari di pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. è prevista dall’art. 459, comma 3, cod. proc. pen.: disposizione che – come rilevato dalle sezioni unite – rappresenta una «eccezione al sistema, giustificata dalla particolare tipologia del rito che governa il procedimento per decreto, contrassegnato dall’assenza di contraddittorio». Per converso – sempre secondo quanto affermato dalle sezioni unite – dopo che il decreto di condanna sia stato emesso, il giudice per le indagini preliminari è spogliato di poteri decisori sul merito dell’azione penale, incombendo su di esso, ove sia stata presentata opposizione, esclusivamente poteri-doveri di propulsione processuale, vincolati nei contenuti.

Tale lettura del sistema apparirebbe del tutto ragionevole e pienamente rispettosa del principio del contraddittorio e dei diritti di difesa delle parti. Essa terrebbe conto della natura dell’atto di opposizione, il quale, per opinione generale, si configura come gravame puro, traducendosi in una mera richiesta di giudizio nel contraddittorio, secondo le peculiarità dei vari riti previsti dalla legge processuale in relazione all’opzione esercitata.

Le stesse sezioni unite, peraltro, hanno espressamente indicato come eccezione – rispetto alla regola che assegna al giudice per le indagini preliminari, dopo la presentazione dell’opposizione, solo poteri di impulso processuale – l’ipotesi della «decisione sulla eventuale domanda di oblazione», alla luce di quanto previsto dalla norma censurata. Il necessario rispetto del principio del favor rei, imporrebbe, in effetti, al giudice investito della domanda di oblazione un «giudizio» allo stato degli atti, se pure adeguato all’economia e alla natura del procedimento monitorio: con la conseguenza che – contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente – prima di pronunciarsi sull’oblazione, il giudice sarebbe tenuto a verificare, secondo il canone prefigurato dall’art. 129 cod. proc. pen., che non vi siano evidenze probatorie che impongano una pronuncia di proscioglimento più favorevole all’imputato.

Del resto, nel procedimento di oblazione, disciplinato dall’art. 141 disp. att. cod. proc. pen., le scansioni costituite dalla verifica dei presupposti per l’ammissione all’oblazione, dalla fissazione della somma da versare e dalla concessione di un termine per il pagamento, offrirebbero al giudice ampie possibilità per valutare se esistano le condizioni per una pronuncia nel merito più vantaggiosa per l’imputato, rispetto alla dichiarazione di estinzione del reato conseguente al versamento della somma.

Considerato in diritto

1.– Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli dubita della legittimità costituzionale dell’art. 464, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui, «secondo il diritto vivente», non consentirebbe al giudice di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. allorché, contestualmente all’opposizione a decreto penale di condanna, l’imputato abbia presentato domanda di oblazione.

In tale lettura, la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., determinando una irragionevole disparità di trattamento dell’imputato nella fase che precede e in quella che segue l’emissione del decreto di condanna. L’art. 459, comma 3, cod. proc. pen. prevede, infatti, che il giudice possa prosciogliere l’imputato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. in sede di decisione sulla richiesta di emissione del decreto di condanna presentata dal pubblico ministero. Di contro, una volta emesso il decreto, il giudice – ove sia proposta opposizione con contestuale domanda di oblazione – si troverebbe vincolato ad “imporre” all’imputato il pagamento di una somma di denaro a tale titolo, anche quando dalle deduzioni contenute nell’atto di opposizione emerga in modo evidente la sua innocenza.

Sarebbe violato, altresì, l’art. 24 Cost., in quanto la possibilità, per l’imputato, di fruire del proscioglimento immediato nella fase anteriore all’emissione del decreto penale di condanna, ai sensi dell’art. 459, comma 3, cod. proc. pen., verrebbe a dipendere dalla completezza o meno delle indagini svolte dal pubblico ministero sino a quel momento, senza che rilevino i successivi apporti probatori della difesa.

La norma censurata violerebbe, ancora, l’art. 27 Cost., ledendo il diritto dell’imputato a conseguire in ogni stato e grado del giudizio l’assoluzione dall’accusa mossagli, allorché emerga univocamente l’insussistenza della sua responsabilità penale.

Risulterebbe violato, infine, l’art. 111 Cost., sia «nella parte in cui prevede il diritto dell’imputato di allegare prove della propria innocenza» (nella specie, mediante l’atto di opposizione); sia nella parte in cui – enunciando il principio della ragionevole durata del processo – esclude che l’imputato possa essere costretto a richiedere, e quindi ad attendere, il giudizio al fine di conseguire un’assoluzione che appare già scontata sulla base degli atti.

2.– In via preliminare, va rilevato che l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato, tesa a far valere l’inesattezza della premessa ermeneutica da cui muove il rimettente (ritenuta foriera anche di un difetto di rilevanza), attiene, in realtà, al merito della questione.

3.– Nel merito, la questione non è fondata.

L’art. 129 cod. proc. pen. – sotto la rubrica «Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità» – prevede che, «In ogni stato e grado del processo», il giudice debba dichiarare d’ufficio con sentenza determinate cause di non punibilità di cui riconosca l’esistenza (comma 1), dando la prevalenza alle formule di proscioglimento per carenza di responsabilità penale, allorché questa risulti già evidente dagli atti (il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato), rispetto alla declaratoria di estinzione del reato (comma 2).

Dirimendo un pregresso contrasto di giurisprudenza, le sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza 25 marzo - 4 giugno 2010, n. 21243, hanno escluso che il giudice per le indagini preliminari, investito dell’opposizione a decreto penale di condanna, sia abilitato a prosciogliere l’imputato ai sensi della citata disposizione (e ciò diversamente da quanto avviene in sede di decisione sulla richiesta di emissione del decreto, in forza dell’espressa previsione dell’art. 459, comma 3, cod. proc. pen.).

Al riguardo, le sezioni unite hanno ribadito quanto affermato in una precedente decisione (sentenza 25 gennaio - 30 marzo 2005, n. 12283): e, cioè, che l’art. 129 cod. proc. pen. non conferisce al giudice un potere di giudizio ulteriore, inteso quale occasione “atipica” di decidere la res iudicanda, ma si limita ad enunciare una regola di condotta e di giudizio – quella della precedenza della declaratoria delle cause di non punibilità considerate, ove ne ricorrano le condizioni, su altri eventuali provvedimenti decisionali adottabili dal giudice – destinata a trovare attuazione con l’osservanza della disciplina relativa alla fase e al grado in cui il processo si trova e nel rispetto del principio di contraddittorio.

Nella fase successiva all’opposizione a decreto penale, il giudice per le indagini preliminari non avrebbe, di conseguenza, la possibilità di applicare la regola in questione. In tale fase, il giudice per le indagini preliminari è, infatti, spogliato di poteri decisori sul merito dell’azione penale, incombendo su di esso, ai sensi dell’art. 464 cod. proc. pen., solo poteri-doveri di «propulsione processuale» a contenuto vincolato, correlati alle opzioni dell’opponente riguardo al rito (emissione del decreto di giudizio immediato, fissazione dell’udienza per il giudizio abbreviato, adempimenti connessi alla richiesta di applicazione della pena), «con la sola eccezione rappresentata dalla decisione sulla eventuale domanda di oblazione (v. art. 464 comma 2 c.p.p.)».

Il giudice per le indagini preliminari – come hanno ulteriormente osservato le sezioni unite – non potrebbe, d’altra parte, revocare il decreto di condanna fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge, né pronunciare sul merito dell’azione penale senza incorrere in una violazione delle regole sull’incompatibilità, posto che l’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. inibisce al giudice che ha emesso il decreto di condanna di «partecipare al giudizio» concernente lo stesso imputato.

4.– Nel sollevare la questione, il rimettente dà per scontato che la soluzione ermeneutica ora ricordata – qualificabile, a suo avviso, come «diritto vivente» – sia destinata a valere anche nell’ipotesi in cui, contestualmente all’opposizione, sia presentata domanda di oblazione (ipotesi che non ricorreva nella fattispecie concreta sottoposta al vaglio delle sezioni unite).

Ciò darebbe luogo ad una irragionevole preclusione. In base al censurato art. 464, comma 2, cod. proc. pen., infatti, la decisione sull’istanza di oblazione è pregiudiziale rispetto all’adozione dei provvedimenti propulsivi finalizzati all’instaurazione del giudizio («Il giudice, se è presentata domanda di oblazione contestuale all’opposizione, decide sulla domanda stessa prima di emettere i provvedimenti a norma del comma 1»). Di conseguenza, quando pure emergesse in modo evidente dagli atti – e, segnatamente, dalle deduzioni svolte nell’atto di opposizione – la carenza di responsabilità penale dell’imputato, non vi sarebbe modo di dichiararla: il giudice investito dell’opposizione – ove non sussistano ragioni di rigetto della domanda di oblazione – non potrebbe far altro che “imporre” all’opponente il versamento di una somma di denaro a tale titolo, somma che pure non risulterebbe dovuta.

Di qui, dunque, la denunciata violazione degli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost.

5.– In realtà, deve escludersi che il «diritto vivente» evocato dal giudice a quo sia riferibile all’ipotesi che interessa.

Come rimarcato anche dalla difesa dello Stato, la ricordata pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione individua proprio nella decisione sulla eventuale domanda di oblazione, ai sensi dell’art. 464, comma 2, cod. proc. pen., una eccezione all’affermata carenza di poteri decisori sul merito dell’azione penale da parte del giudice per le indagini preliminari, investito dell’opposizione a decreto.

Ove abbinata ad una domanda di oblazione, l’opposizione non determina, in effetti – se non all’esito del rigetto di detta domanda – l’instaurazione di un giudizio a carattere lato sensu impugnatorio (al giudice del quale, nella ricostruzione delle sezioni unite, è logico che resti affidata la verifica dell’applicabilità dell’art. 129 cod. proc. pen.). Determina, invece, l’instaurazione di un sub-procedimento davanti allo stesso giudice per le indagini preliminari, regolato dall’art. 141 disp. att. cod. proc. pen. e che prevede anche l’interlocuzione del pubblico ministero (del quale deve essere acquisito il parere, ai sensi del comma 4 del citato art. 141).

In esito ad esso, il giudice è chiamato ad adottare un provvedimento decisorio che implica un esame del merito dell’imputazione: e ciò tanto più quando – come nella specie – si discuta di una domanda di oblazione cosiddetta discrezionale, il cui accoglimento presuppone una valutazione in ordine alla gravità del fatto, oltre che la verifica dell’assenza di conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore (art. 162-bis, terzo e quarto comma, del codice penale).

D’altro canto, ove l’imputato sia ammesso all’oblazione e versi la somma dovuta, il giudice – essendosi in una fase successiva all’esercizio dell’azione penale – pronuncia sentenza di proscioglimento per estinzione del reato (art. 141, comma 4, disp. att. cod. proc. pen.), con correlata revoca del decreto di condanna.

Risulta, perciò, evidente come le affermazioni delle sezioni unite – circa il carattere vincolato e di mera «propulsione processuale» dei poteri esercitabili dal giudice per le indagini preliminari dopo l’opposizione al decreto, e circa l’impossibilità che egli revochi il decreto di condanna fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge – non risultino pertinenti all’ipotesi avuta di mira dal giudice a quo. Lo stesso rimettente, d’altra parte, nega espressamente che valga in rapporto ad essa l’argomento ricavato dalla disciplina delle incompatibilità, stante quanto disposto dal citato art. 141 disp. att. cod. proc. pen.

Non sussistono, perciò, nel caso considerato, le ragioni che hanno indotto le sezioni unite a negare l’applicabilità dell’art. 129 cod. proc. pen. Al contrario, il sub-procedimento di oblazione rappresenta una sedes nella quale – sempre alla luce della ricostruzione delle sezioni unite – può bene innestarsi la regola, enunciata dalla citata disposizione, di precedenza della declaratoria delle cause di non punibilità rispetto agli altri provvedimenti decisionali adottabili dal giudice, anche per quanto attiene alla gerarchia tra le formule di proscioglimento delineata dal comma 2.

6.– La questione va dichiarata, pertanto, non fondata, in quanto basata su un erroneo presupposto interpretativo, sub specie di inesatta identificazione dell’ambito di operatività dell’asserito «diritto vivente».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 464, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il [9 febbraio 2015: data sostituita dalla seguente: 28 gennaio 2015., con ordinanza correttiva n. 69 del 2015].

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2015.

 


* V. l’ord

. n. 69 del 2015

 di correzione di errore materiale (ndr).