ORDINANZA N. 93
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 5-ter, e 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e dell’art. 12 della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso dal Giudice di pace di Roma nel procedimento relativo a Y.F.H. con ordinanza del 17 giugno 2013, iscritta al n. 241 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che, con ordinanza del 17 giugno 2013, il Giudice di pace di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale: a) dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come aggiunto dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004, n. 271 – secondo cui «Al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5, ed all’articolo 14, comma 1, le questure forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo» –, «per contrasto con gli artt. 2, 3, 10, 13, 24, 97, 111 e 117 della Costituzione, in relazione all’art. 5 della Convenzione europea dei diritti umani, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848»; b) dell’art. 14 del medesimo decreto legislativo n. 286 del 1998, «e della legge 6 marzo 1998 n. 40 art. 12 (quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del ministro dell’Interno, di concerto con i ministri per la Solidarietà sociale e del Tesoro), in riferimento ai Centri di identificazione ed espulsione perché non istituiti né regolamentati con legge, violando il principio della riserva di legge nell’organizzazione dei pubblici uffici per contrasto con gli articoli 2, 3, 10, 13, 24, 97, 111, 117 della Costituzione, in relazione all’art. 5 della Convenzione europea dei diritti umani, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848»;
che il giudice rimettente premette di essere chiamato a decidere sulla convalida del provvedimento di trattenimento di una cittadina extracomunitaria presso il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria in Roma, emesso dal Questore di Messina il 5 giugno 2013 (in esecuzione del provvedimento di espulsione adottato, nella stessa data, dal Prefetto di Messina), nonché sulla richiesta di convalida di detto provvedimento, proposta dal Questore di Roma il 7 giugno 2013 (atti entrambi depositati l’8 giugno 2013);
che, «nel dubbio tra le due opposte richieste» sollecitate dalle parti – l’una di non convalida per inutile decorso del previsto termine di quarantotto ore, l’altra tesa ad insistere nella richiesta di convalida – il giudice rimettente «sospendeva il procedimento in corso ritenendo che non fosse possibile decidere in base agli atti ed alla legislazione vigente», «anche alla luce della situazione di fatto rappresentata dalla disamina degli atti e dalla non ragionevolezza delle norme citate di cui al D. Lgsvo n. 286/98, relative all’accertamento di quale fosse il Centro di Identificazione ed Espulsione più vicino, nonché di quale fosse il locale idoneo reso disponibile e fornito dalle questure al giudice di pace, al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida»;
che l’indeterminatezza della normativa di riferimento consentirebbe al Ministero dell’interno di individuare i Centri, in tutto il territorio nazionale, nei quali trattenere gli stranieri espulsi, scegliendo, in tal modo, anche il giudice di pace competente, che dovrebbe recarsi presso il luogo indicato dal potere esecutivo per effettuare tempestivamente la convalida;
che risulterebbe di dubbia legittimità costituzionale il richiamato art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui demanda al Ministero dell’interno di individuare i Centri già esistenti o di «costituirne di nuovi»;
che di dubbia legittimità risulterebbe altresì l’istituto del trattenimento degli stranieri in riferimento al principio di uguaglianza, di non discriminazione e del diritto di libertà personale («art. 3, art. 10, art. 13 Cost.»);
che, infatti, in ossequio al principio della riserva di legge, la disciplina dei Centri di identificazione ed espulsione dovrebbe essere integralmente affidata alla legge;
che, al contrario, «il Testo Unico dell’immigrazione non contiene nessuna prescrizione circa le modalità del trattenimento nei CIE», salve disposizioni del tutto generiche, evocandosi a confronto il diverso regime previsto dall’ordinamento penitenziario;
che, in proposito, non potrebbe valere il regolamento di attuazione del predetto testo unico sulla immigrazione, proprio perché si tratta di fonte secondaria, risultando, del resto, la gestione dei Centri disciplinata da un capitolato di appalto, approvato con decreto ministeriale del 21 novembre 2008;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, la materia interferirebbe con il sereno ed imparziale esercizio della giurisdizione, visto che i locali adibiti al giudice di pace sono forniti dall’Amministrazione dell’interno, segnalandosi, al riguardo, come il Consiglio superiore della magistratura avrebbe avuto modo di stigmatizzare tale stato di fatto in un parere del 21 ottobre 2004;
che la norma di cui all’art. 13, comma 5-ter, in discorso dovrebbe, dunque, «essere emendata riportando all’interno degli uffici del giudice di pace, o di locali ad esso riferibili, lo svolgimento delle udienze relative alle convalide dei giudici di pace dei trattenimenti, degli stranieri espulsi, presso i centri di identificazione ed espulsione, configurandosi in caso contrario una evidente lesione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione […] e del dovere di imparzialità e di parità davanti ad un giudice terzo (art. 111 della Costituzione)»;
che violati sarebbero pure gli artt. 97 e 13 Cost., posto che le decisioni sulla convalida incidono sulla libertà personale;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza e, in subordine, infondata;
che «le ragioni esplicitate in punto di rilevanza» risulterebbero, infatti, nell’ordinanza di rimessione, «vaghe e contraddittorie nonché carenti anche sotto il profilo logico e sostanziale», non risultando spiegati i motivi per i quali l’eventuale rimozione delle norme denunciate influirebbe sulla decisione della controversia sottoposta al giudizio del rimettente;
che non sarebbero, infatti, evidenziati elementi dai quali dedurre che la cittadina extracomunitaria sia stata assoggettata ad una restrizione «non regolare» o inadeguata, ciò che soltanto potrebbe giustificare la proposizione di un dubbio di legittimità costituzionale della normativa censurata;
che, al contrario, il giudice rimettente si limita ad esprimere un dubbio «essenzialmente sul momento cronologico, del tutto marginale, della notifica del provvedimento» di espulsione, senza che risulti chiarito come la rimozione delle norme denunciate potrebbe determinare un miglioramento della condizione della persona trattenuta;
che, d’altra parte, le argomentazioni svolte nell’ordinanza risultano analoghe a quelle poste a fondamento di altra questione di legittimità costituzionale, decisa con ordinanza n. 109 del 2010, nel senso della manifesta inammissibilità;
che, nel merito, la questione sarebbe, comunque, infondata, dal momento che le modalità dello svolgimento del procedimento di convalida all’interno dei Centri di permanenza risulterebbero rispettose della disciplina censurata, né potrebbe intravedersi pericolo per l’esercizio sereno ed imparziale delle funzioni giurisdizionali, considerate le misure di controllo e di sicurezza che presidiano quei Centri;
che il ricorso alla normativa secondaria sarebbe imposto dall’esigenza di «una fonte di disciplina duttile e di rapida approvazione»;
che il rispetto delle condizioni di trattenimento sarebbe assicurato proprio dalla previsione di cui all’art. 14 denunciato, oltre che dall’art. 21 del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), in tema di libertà assicurate allo straniero trattenuto;
che tale disciplina generale sarebbe a fondamento del richiamato capitolato di appalto per la gestione dei Centri, in conformità anche a quanto disposto dalla direttiva 16 dicembre 2008, n. 2008/115/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare).
Considerato che il Giudice di pace di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale: a) dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come aggiunto dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004, n. 271, – secondo cui «Al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5, ed all’articolo 14, comma 1, le questure forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo» –, «per contrasto con gli artt. 2, 3, 10, 13, 24, 97, 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 5 della Convenzione europea dei diritti umani, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848»; b) dell’art. 14 del medesimo decreto legislativo n. 286 del 1998, «e della legge 6 marzo 1998 n. 40 art. 12 (quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del ministro dell’Interno, di concerto con i ministri per la Solidarietà sociale e del Tesoro), in riferimento ai Centri di identificazione ed espulsione perché non istituiti né regolamentati con legge, violando il principio della riserva di legge nell’organizzazione dei pubblici uffici per contrasto con gli articoli 2, 3, 10, 13, 24, 97, 111, 117 della Costituzione, in relazione all’art. 5 della Convenzione europea dei diritti umani, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848»;
che, a fondamento delle prospettate censure, il giudice rimettente indica una serie di “inconvenienti” cui darebbe luogo il meccanismo di individuazione dei Centri di identificazione ed espulsione da parte del Ministro dell’interno, di concerto con altri ministri, facendo, tra l’altro, incidentalmente riferimento: all’inadeguatezza dei locali messi a disposizione per l’effettuazione del giudizio di convalida; alle esigenze di sicurezza non adeguatamente soddisfatte; alla varietà delle sedi presso le quali effettuare le convalide, con possibili effetti disfunzionali per il giudice chiamato a celebrare l’udienza in tempi ristretti; alla devoluzione al solo potere esecutivo del compito di identificare il Centro presso il quale ricoverare lo straniero cui la misura del trattenimento si riferisce; alla mancanza di prescrizioni precise da parte della normativa di settore su aspetti che si reputano fondamentali per l’amministrazione della giustizia;
che, a fronte della nutrita platea di “doglianze” prospettate – nessuna delle quali correlata ad una specifica disposizione di legge, ma tutte dedotte in termini generici ed onnicomprensivi, alla stregua di dati di comune esperienza –, il giudice rimettente richiama una altrettanto estesa gamma di parametri costituzionali senza, tuttavia, precisare quale degli asseriti “inconvenienti” si verrebbe a porre con essi in specifico contrasto;
che, invero, gli enunciati riferimenti “critici” oscillano tra una pretesa mancata tutela dello straniero – senza peraltro che risultino evidenziati profili di carenza difensiva o di trattamenti indebitamente repressivi – e pregiudizi di tipo “logistico” del giudice di pace, chiamato a spostarsi nei vari luoghi per l’espletamento dell’udienza di convalida;
che, dunque, al di là dell’evidente genericità delle censure, le stesse finiscono per risolversi in questioni di mero fatto, del tutto avulse da vizi ascrivibili alle disposizioni denunciate e, quindi, insuscettibili, come tali, di formare oggetto di un dubbio di legittimità costituzionale;
che, accanto a ciò, l’ordinanza di rimessione risulta carente nella motivazione in punto di rilevanza della questione, dal momento che nessuno degli “inconvenienti” additati presenta una qualche palese interferenza con i dubbi manifestati a proposito delle contrapposte richieste avanzate dalle parti all’esito dell’udienza («se convalidare o meno il provvedimento di trattenimento della Questura di Messina del 5/6/2013, asseritamente notificato il 6/6/2013, oppure quello di richiesta di trattenimento della Questura di Roma emesso in data 7/06/2013, entrambi depositati l’8/06/2013»);
che, peraltro, la relativa attività procedimentale non appare preclusa da quegli “inconvenienti” che, nella stessa prospettazione del rimettente, hanno ormai esaurito qualsiasi effetto, essendosi l’udienza conclusa e residuando in capo al giudice solo il compito di decidere;
che, d’altra parte, analoga questione era stata già sollevata dallo stesso giudice rimettente e decisa nel senso della manifesta inammissibilità con l’ordinanza n. 109 del 2010, nella quale non si mancò di rilevare, fra l’altro, come la questione risultasse proposta «in maniera del tutto ipotetica e astratta», attraverso l’enunciazione di «una serie di generiche perplessità prive di alcun riferimento concreto ad effettivi condizionamenti esterni, idonei ad inficiare» l’imparzialità e l’indipendenza del giudice rimettente «nell’adozione del provvedimento giurisdizionale oggetto del giudizio principale»;
che, pertanto, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come aggiunto dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004, n. 271, e dell’art. 14 del medesimo decreto legislativo n. 286 del 1998 («e della legge 6 marzo 1998 n. 40 art. 12»), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13, 24, 97, 111 e 117 della Costituzione, in relazione all’art. 5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Giudice di pace di Roma con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2014.