ORDINANZA N. 257
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), così come modificato ed integrato sia dall’art. 17 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sia dall’art. 6-bis del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, promossi dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza del 16 gennaio 2013 e dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, con ordinanza del 18 dicembre 2012, iscritte rispettivamente ai nn. 69 e 116 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 16 e 22, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di costituzione di DA.MO. s.a.s. ed altra, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza depositata in data 16 gennaio 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, comma primo, 24, commi primo e secondo, 41 e 111 della Costituzione, dell’art. 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), così come modificato ed integrato sia dall’art. 17 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sia dall’art. 6-bis del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, nella parte in cui prevede che, nelle Regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano di rientro dal disavanzo sanitario, sottoscritto ai sensi della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), non possano essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31 dicembre 2013, che i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle Regioni in questione alle Aziende sanitarie ed ospedaliere siano estinti di diritto e che i tesorieri dei predetti enti non abbiano più doveri di custodia sulle somme oggetto di pignoramento le quali, anzi, debbano essere rese immediatamente disponibili, senza pronunzia giurisdizionale, per l’espletamento delle funzioni istituzionali degli enti predetti;
che il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere in ordine ad un giudizio di ottemperanza fondato su alcuni decreti ingiuntivi, emessi nei confronti della ASP di Reggio Calabria, divenuti esecutivi per mancata opposizione, ma che, pur riscontrata la astratta azionabilità in sede di ottemperanza amministrativa dei titoli indicati, osterebbe in concreto alla procedibilità dell’azione per l’esecuzione del giudicato il dettato dell’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010;
che, infatti, la Regione Calabria, con deliberazione del 16 dicembre 2009, ha approvato un piano di rientro oggetto di accordo con lo Stato, per riequilibrare la condizione di dissesto finanziario in cui si trovavano gli enti del Servizio sanitario regionale, e poiché il Governo nazionale, con deliberazione del 30 luglio 2010, ha nominato il Presidente della Giunta regionale calabrese Commissario ad acta per l’attuazione del detto piano, il giudice a quo fa presente che ricorrono le condizioni per l’applicazione del citato art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, con la conseguenza che le azioni esecutive esercitate introdotte dovrebbero essere dichiarate improcedibili;
che detta conclusione, però, appare al rimettente tale da far ipotizzare, in maniera non manifestamente infondata, la violazione degli artt. 3, comma primo, 24, commi primo e secondo, 41 e 111, comma secondo, Cost.;
che, al fine di dimostrare tale assunto, il TAR rimettente rammenta che, già con la legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), il legislatore nazionale aveva escluso la possibilità di intraprendere o proseguire le azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere situate nelle Regioni che avevano sottoscritto piani di rientro dal disavanzo sanitario. Oltre a tale blocco, previsto per la durata di un anno dalla entrata in vigore della legge, era altresì previsto che i pignoramenti eventualmente già eseguiti non avessero efficacia nei confronti dei debitori né dei loro tesorieri, potendo costoro disporre dei beni eventualmente vincolati;
che, prosegue il rimettente, a brevissima distanza dalla sua entrata in vigore, la predetta disposizione era modificata − in occasione della conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), intervenuta con la legge 26 febbraio 2010, n. 25 − nel senso che la impossibilità di procedere ad azioni esecutive era stata ridotta da 12 mesi a 2;
che, pertanto, a decorrere dal 1° marzo 2010 era stato ripristinato il diritto dei creditori di agire in executivis per la soddisfazione dei loro diritti;
che, tuttavia, la situazione di grave disagio finanziario regionale ha presto indotto il legislatore statale ad intervenire nuovamente con l’art. 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che, al fine di agevolare il raggiungimento dei risultati indicati nel piano di rientro, ha reintrodotto la inibitoria delle azioni esecutive nei confronti delle aziende del comparto sanitario sino al 31 dicembre 2010;
che la nuova disposizione, peraltro, differiva rispetto alle precedenti in quanto, diversamente da queste, non prevedeva lo svincolo dei beni già sottoposti a pignoramento;
che, infine, il legislatore è intervenuto con la disposizione ora censurata che non solo reitera il blocco delle azioni esecutive sino, dapprima, al 31 dicembre 2011, quindi al 31 dicembre 2012 ed infine al 31 dicembre 2013, ma anche reintroduce lo svincolo delle somme già pignorate;
che, secondo il rimettente, la disposizione censurata − introducendo una disciplina che nega al creditore la soddisfazione concreta ed effettiva dei propri diritti − si porrebbe in contrasto con gli artt. 24, commi primo e secondo, e 111, comma secondo, Cost.;
che, precisa il giudice a quo, per effetto del citato art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, è stata resa «inutile la possibilità riconosciuta ai creditori di agire in giudizio al fine di ottenere il soddisfacimento delle obbligazioni dagli stessi vantate nei confronti delle aziende sanitarie e ospedaliere delle Regioni soggette a commissariamento», tanto più ove si consideri che la predetta disposizione, dichiarando estinti i pignoramenti già eseguiti, consente ai debitori, in aperto contrasto con l’art. 24 Cost., di rientrare nella piena disponibilità dei beni sino a quel momento vincolati alla soddisfazione dei creditori esecutanti;
che la medesima disposizione sarebbe, d’altro canto, in contrasto con l’art. 111 Cost. poiché altererebbe le condizioni di parità fra i litiganti, ponendo la parte pubblica in una posizione di ingiustificato privilegio, incidendo, altresì, sulla ragionevole durata del processo;
che non varrebbe a smentire detto assunto il fatto che si tratta di disposizione avente una limitata efficacia nel tempo, poiché, per un verso, il legislatore ha provveduto già a reiterare la disposizione prolungandone nel tempo gli effetti e, per altro verso, anche la «mera sospensione del diritto di azione a tutela del proprio credito» può avere effetti pregiudizievoli sulla situazione giuridica e patrimoniale del creditore;
che egualmente irrilevante sarebbe la circostanza che l’eventuale pronunzia che dichiari inammissibile l’azione esecutiva non ne pregiudicherebbe la riproposizione una volta venuta meno la disciplina inibitoria, posto che lo scrutinio sulla ragionevole durata del processo va svolto in funzione del tempo necessario per il soddisfacimento della pretesa sostanziale, essendo necessario «considerare la durata complessiva della vicenda giudiziaria»;
che, con riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost., il rimettente rileva che l’improcedibilità delle azioni esecutive è stabilita dalla disposizione censurata in considerazione della adozione di atti amministrativi «aventi natura previsionale e programmatica» e, pertanto, a contenuto generico;
che la posizione di chi operi nella Regione Calabria sarebbe, di conseguenza, del tutto sperequata rispetto a quella di chi, invece, operi in Regioni ove il divieto di esperimento delle azioni esecutive non è previsto;
che, osserva il giudice a quo, siffatto divieto non è caratterizzato da «ragionevolezza ed adeguatezza» rispetto allo scopo dichiarato di riequilibrare la situazione finanziaria degli enti debitori, rimanendo i debiti in questione in carico all’ente, costituendo la massa passiva del suo bilancio;
che, inoltre, nel bilanciamento degli interessi (quello del privato di ricevere quanto a lui dovuto e quello pubblico teso al ristabilimento finanziario della azienda sanitaria) il primo viene sacrificato senza «una reale contropartita, in favore del secondo»;
che, quanto al dedotto contrasto con l’art. 41 Cost., osserva il rimettente che il soggetto imprenditore che intrattenga rapporti economici con le amministrazioni del comparto sanità, non potendo fare affidamento sulla puntualità del debitore nell’adempimento delle sue obbligazioni, non può programmare la sua attività d’impresa ed è costretto, onde far fronte alle proprie scadenze, a ricorrere ad onerosi finanziamenti bancari;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo nel merito per l’infondatezza della questione, ma facendo presente che il mutamento del quadro normativo − stante l’entrata in vigore del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, col quale sono state emanate norme per sbloccare i pagamenti dei debiti degli enti locali − dovrebbe indurre la Corte a restituire gli atti al rimettente per la valutazione della perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza della questione;
che, aggiunge la difesa pubblica, la questione sarebbe comunque infondata in quanto la disposizione della cui legittimità costituzionale si dubita ha l’obiettivo di «garantire una temporanea “sospensione” del contenzioso», sì da permettere la ricostruzione delle posizioni debitorie da ristorare integralmente per poter, quindi, raggiungere il fine strutturale di razionalizzare la spesa e regolarizzare i pagamenti;
che, con riferimento alle singole censure, la difesa erariale esclude la violazione dell’art. 3 Cost, in quanto la norma si è resa necessaria per consentire, a fronte dell’eccezionale gravità del dissesto finanziario regionale, il risanamento del disavanzo attraverso l’adozione di specifici piani di rientro incompatibili con l’esperimento di azioni esecutive individuali, in quanto sarebbe impossibile garantire la par condicio creditorum se si consentisse a ciascun creditore di agire per soddisfare il proprio credito;
che la disposizione impugnata, eccezionale e temporanea, persegue, perciò, il duplice fine di consentire il risanamento dell’ente garantendone i compiti istituzionali e di assicurare il pagamento dei debiti nel rispetto della par condicio fra i creditori;
che neppure sarebbero violati gli artt. 24, commi primo e secondo, e 111, comma secondo, Cost. poiché, per un verso, l’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010 consentirebbe la soddisfazione di tutti i creditori e non solo di quelli che per primi hanno agito in executivis, e, per altro verso, la sospensione delle azioni esecutive da essa prevista ha durata limitata nel tempo;
che a tal riguardo è ricordata la giurisprudenza della Corte con la quale è stata riconosciuta la legittimità della normativa con la quale è stata disposta la sospensione «per un periodo transitorio ed essenzialmente limitato» della esecuzione degli sfratti;
che, quanto alla lamentata violazione dell’art. 41 Cost., la difesa pubblica ne nega la sussistenza osservando che la disciplina censurata si limita a regolamentare l’ipotesi, riconducibile al normale rischio di impresa, connessa alla insolvenza del debitore, indirizzandosi verso l’instaurazione di un regime di spesa che consenta il risanamento della condizione di questo, in tal modo non pregiudicando ma, anzi, garantendo l’esercizio del diritto di impresa, che, invece, sarebbe pregiudicato dal protrarsi della situazione di dissesto;
che, con ordinanza depositata in data 18 dicembre 2012, emessa dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 1, comma 51, della legge 220 del 2010, in riferimento agli artt. 3, comma primo, 24, comma primo, e 111, comma secondo, Cost.;
che dinanzi al rimettente pende giudizio di opposizione avverso l’ordinanza con la quale era stata dichiarata la improcedibilità di un’esecuzione mobiliare presso terzi;
che il rimettente, illustrati i precedenti interventi normativi aventi contenuto analogo alla disposizione censurata, rileva che la ratio di questa è il blocco delle azioni esecutive quale misura che dovrebbe consentire la realizzazione dei piani di rientro dai disavanzi sanitari predisposti dalle Regioni commissariate al fine non solo di ottenere il riequilibrio finanziario del settore sanitario, ma anche di assicurare la riorganizzazione dei relativi servizi nel rispetto della tutela della salute e delle modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie;
che, tuttavia, ad avviso dello stesso rimettente, le modalità attuative di tali intenti confliggono con diversi principi costituzionali;
che, in primo luogo, il giudice a quo dubita della ragionevolezza dell’intervento legislativo nella parte in cui esso prevede che «l’esonero dall’aggressione esecutiva» riguardi le aziende sanitarie ed ospedaliere per il solo fatto che esse appartengano a Regioni in situazione di dissesto sanitario, senza che esso sia subordinato alla verifica dell’inizio della procedura prevista dalla legge per il ripianamento dei disavanzi, ovvero alla adozione di un piano di ricognizione dei debiti, permanendo, in tal modo, l’esenzione anche nell’ipotesi in cui l’azienda destinasse il proprio patrimonio, non più oggetto di vincolo pignoratizio, a fini diversi dal soddisfacimento dei crediti pregressi;
che, per altro verso, il rimettente dubita della compatibilità della disposizione censurata con l’art. 24 Cost. in quanto essa prevede la sanzione della inammissibilità o della improcedibilità della procedure esecutive, con conseguente loro chiusura con provvedimento definitivo non satisfattivo delle ragioni del creditore, e non la sola sospensione di esse;
che, inoltre, contrasterebbe col diritto di azione, tutelato dall’art. 24 Cost., sia il fatto che la dispensa dall’azione esecutiva non riguardi singoli beni, ma l’intero patrimonio delle aziende sanitarie debitrici, sia il fatto che essa si protragga per un considerevole periodo di tempo, sia che essa abbia come presupposto soggettivo la mera appartenenza della azienda sanitaria ad una delle Regioni commissariate;
che, rileva ancora il rimettente, la chiusura «per edictum principis» della procedura esecutiva comporta l’inutile assoggettamento definitivo del creditore procedente agli esborsi affrontati per il compimento degli atti processuali già eseguiti;
che, riguardo alla violazione del principio di uguaglianza, il giudice a quo osserva che la disposizione censurata crea una ingiustificata discriminazione rispetto al trattamento riservato ai creditori di aziende sanitarie ubicate in Regioni non commissariate, realizzando peraltro anche uno status privilegiato in favore delle aziende sanitarie aventi sede in Regioni commissariate, senza che sia eseguita una verifica sul fatto che esse stesse si trovino in difficoltà finanziaria;
che in relazione alla prospettata violazione dell’art. 111 Cost., osserva che la disposizione censurata, vietando le azioni esecutive, violerebbe sia il principio di parità delle armi fra i contraddittori, attribuendo un ingiustificato privilegio alla pubblica amministrazione esecutata, sia quello di ragionevole durata del processo, tenuto conto che questa va valutata in funzione del tempo occorrente per la realizzazione del bene per il quale si è invocata la tutela giurisdizionale;
che, infine, con riferimento alla rilevanza della questione, il rimettente osserva che, vertendo il giudizio a quo sulla correttezza dell’ordinanza con cui è stata dichiarata la improcedibilità di un’azione esecutiva ai sensi della disposizione censurata, all’accoglimento della questione di legittimità costituzionale conseguirebbe l’annullamento della detta ordinanza che, viceversa, resterebbe integra nel caso in cui la questione fosse dichiarata non fondata;
che è intervenuto nel giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l’infondatezza della questione sulla base di argomentazioni analoghe a quelle già svolte nella precedente comparsa di costituzione;
che si sono, altresì, costituite in giudizio la DA.MO. s.a.s. e la Emotest s.r.l., creditrici procedenti nel giudizio a quo, le quali hanno concluso per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
Considerato che sia Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, che il Tribunale ordinario di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, dubitano, con riferimento agli articoli 3, comma primo, 24, commi primo e secondo, 41 e 111, comma secondo, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale – legge di stabilità 2011), così come modificato ed integrato sia dall’art. 17 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sia dall’art. 6-bis del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, in quanto prevede che, nelle Regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano di rientro dal disavanzo sanitario ai sensi della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale – legge finanziaria 2005), non possano essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31 dicembre 2013, che i pignoramenti e le prenotazioni a debito in danno delle predette aziende siano estinti di diritto e che cessino i doveri di custodia sulle somme pignorate con obbligo per i custodi di renderle, senza previa pronunzia giurisdizionale, disponibili per il pagamento dei debiti riconosciuti e per l’espletamento delle funzioni istituzionali delle predette aziende;
che, con le due ordinanze in esame, è sollevata questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione legislativa in base ad argomentazioni fra loro strettamente connesse e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti affinché possano essere definiti con un’unica pronunzia;
che, successivamente alla proposizione della questione, questa Corte ha scrutinato l’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, e, con la sentenza n. 186 del 2013, ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale sia nel testo risultante a seguito delle modificazioni introdotte dall’art. 17, comma 4, lettera e), del d.l. n. 98 del 2011, sia nel testo risultante a seguito delle modificazioni introdotte dall’art. 6-bis, comma 2, lettere a) e b), del d.l. n. 158 del 2012;
che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale in esame è divenuta priva di oggetto e, quindi, va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010 n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), così come modificato ed integrato sia dall’art. 17 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sia dall’art. 6-bis del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, sollevata, in riferimento agli articoli 3, comma primo, 24, commi primo e secondo, 41 e 111, comma secondo, dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, e dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte , Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2013.