ORDINANZA N. 242
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli
10, comma 1, della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di
pace), e 51, secondo comma, del codice di procedura civile, promosso, nel
procedimento instaurato dalla Vorwerk Folletto
s.a.s., dal Giudice di pace di Milano con ordinanza del 25 gennaio 2013,
iscritta al n. 65 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Udito
nella camera di consiglio del 25 settembre 2013 il Giudice relatore Aldo Carosi.
Ritenuto che con ordinanza depositata il 25 gennaio 2013 il
Giudice di pace di Milano ha sollevato, in riferimento
agli articoli 3 e 111, secondo comma (rectius: secondo
comma, secondo periodo), della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 10, comma 1, della legge 21 novembre 1991, n. 374
(Istituzione del giudice di pace), e 51, secondo comma, del codice di procedura
civile, nella parte in cui prevedono che il giudice di pace debba astenersi
quando sussistono «gravi ragioni di convenienza» e quindi anche quando sussiste
un personale interesse del giudice correlato al regime di trattamento economico
fondato sul "cottimo”, ai sensi dell’art. 11, comma 3-bis, della legge n. 374
del 1991, cioè basato su un certo compenso per ogni decreto ingiuntivo emesso a
norma dell’art. 641 cod. proc. civ. o per ogni
domanda d’ingiunzione rigettata con provvedimento motivato;
che il rimettente – adito con ricorso
per decreto ingiuntivo da una società, con sede in Milano, che vende a rate, in
tutto il territorio nazionale, beni (piccoli elettrodomestici) di uso molto
comune – sostiene di poter rilevare d’ufficio la propria incompetenza e
respingere il ricorso – per essere competente, ai sensi dell’art. 33, comma 2,
lettera u), del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del
consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229), il
giudice del luogo di residenza o di domicilio dell’ingiunto, trattandosi di
controversia tra professionista e consumatore, nella fattispecie residente in
Calabria – ovvero accoglierlo, aderendo all’orientamento giurisprudenziale
prevalente nell’ufficio di appartenenza;
che, secondo il giudice a quo, entrambe le decisioni
sarebbero in grado di incidere sul «volume d’affari» di detto ufficio in ragione
dell’elevato numero di ricorsi per decreto ingiuntivo proposti mensilmente
dalla società ricorrente;
che, a suo avviso, ciò farebbe sorgere
nel giudicante un obiettivo interesse personale «ad evitare un calo e/o a
favorire un incremento del "volume di affari” dell’Ufficio», considerato quanto
previsto dall’art. 11, comma 3-bis, della legge n. 374 del 1991, secondo cui
«In materia civile è corrisposta altresì una indennità di euro 10,33 per ogni
decreto ingiuntivo o ordinanza ingiuntiva emessi, rispettivamente, a norma
degli articoli 641 e 186-ter del codice di procedura civile; l’indennità spetta
anche se la domanda di ingiunzione è rigettata con provvedimento motivato»;
che, pertanto, il rimettente sostiene che, secondo
l’interpretazione che assume essere prevalente, potrebbe chiedere al capo
dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi ai sensi dell’art. 51, secondo
comma, cod. proc. civ.;
che, tuttavia, il giudice a quo afferma di non
condividere detta interpretazione, ritenendo che la situazione in cui versa
integri un caso di astensione obbligatoria e non facoltativa;
che a tale conclusione giunge sia alla stregua della
sentenza della Corte di cassazione - sezioni unite 13 novembre 2012, n. 19704 –
secondo cui, in tutti i casi nei quali il giudice versi in una situazione
oggettiva di conflitto d’interessi potenzialmente idonea, secondo l’id quod plerumque accidit, a minare la condizione d’imparzialità in relazione
all’esercizio della sua funzione, la facoltà di astensione per gravi ragioni di
convenienza di cui all’art. 51, secondo comma, cod. proc.
civ. dovrebbe ritenersi abrogata per incompatibilità con l’art. 323 del codice
penale (come sostituito dall’art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234, recante
«Modifica dell’art. 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e
degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale») e sostituita dal
corrispondente obbligo – sia, a prescindere da essa, in ragione del particolare
regime di astensione previsto per il giudice di pace dall’art. 10 della legge
n. 374 del 1991, che avrebbe inteso sancire il dovere di astenersi anche quando
sussistono le «gravi ragioni di convenienza» di cui alla disposizione del
codice di rito;
che, pertanto, il giudice a quo ritiene di dover
sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli
artt. 10, comma 1, della legge n. 374 del 1991 e 51, secondo comma, cod. proc. civ. nella parte in cui prevedono che il giudice di
pace debba astenersi quando sussistono «gravi ragioni di convenienza» e quindi
anche quando sussiste un personale interesse del giudice correlato al regime di
trattamento economico fondato sul "cottimo”;
che, dichiarandosi consapevole del
difetto di rilevanza di una questione di legittimità costituzionale della norma
sul trattamento economico dei giudici di pace, il rimettente precisa che non
intende sollevarla, pur sollecitando questa Corte ad esercitare con riferimento
ad essa il potere di autorimessione in quanto
contraria ai principi costituzionali di ragionevolezza (art. 3 Cost.), di buon
andamento ed imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.) e del giusto
processo ed imparzialità del giudice (art. 111 Cost.);
che, quanto alla non manifesta infondatezza della
questione effettivamente proposta, l’art. 10, comma 1, della legge n. 374 del
1991 e l’art. 51, secondo comma, cod. proc. civ. –
nella parte censurata – sarebbero irrazionali, perché, se correttamente
applicati, provocherebbero «la paralisi della giurisdizione del giudice di
pace» e da ciò deriverebbe la violazione dell’art. 3 Cost. (espressivo del
canone di ragionevolezza) e dell’art. 111, secondo comma, secondo
periodo, Cost. (che prevede la ragionevole durata del processo);
che ad avviso del rimettente la questione sarebbe
rilevante in quanto le norme censurate gli imporrebbero di astenersi mentre,
ove dichiarate costituzionalmente illegittime, gli consentirebbero di decidere,
rigettando il ricorso per ragioni di rito o accogliendolo nel merito.
Considerato che il Giudice di pace di
Milano ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 111, secondo comma (rectius: secondo comma, secondo periodo), della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 10, comma 1,
della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), e 51,
secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui, alla luce
dell’interpretazione propugnata dal rimettente e diversa da quella che assume
essere prevalente, prevedono che il giudice di pace debba astenersi quando
sussistono «gravi ragioni di convenienza» e quindi anche quando sussiste un
personale interesse del giudice correlato al regime di trattamento economico
fondato sul "cottimo”, ai sensi dell’art. 11, comma 3-bis, della legge n. 374
del 1991, cioè basato su un certo compenso per ogni decreto ingiuntivo emesso a
norma dell’art. 641 cod. proc. civ. o per ogni
domanda d’ingiunzione rigettata con provvedimento motivato;
che il combinato disposto degli artt. 10, comma 1,
della legge n. 374 del 1991 e 51, secondo comma, cod. proc.
civ. – nella parte censurata – sarebbe irrazionale, perché, se correttamente
applicato, provocherebbe «la paralisi della giurisdizione del giudice di pace»
e da ciò deriverebbe la violazione dell’art. 3 Cost. (espressivo del canone di
ragionevolezza) e dell’art. 111, secondo comma, secondo
periodo, Cost. (che prevede la ragionevole durata del processo);
che un primo profilo di inammissibilità della questione
va ravvisato nella genericità delle argomentazioni con le quali il rimettente
deduce la violazione degli artt. 3 e 111, secondo comma, secondo periodo,
Cost.;
che, inoltre, pur negando implicitamente
la corrispondenza al diritto vivente dell’interpretazione delle disposizioni
censurate da lui propugnata – difforme da quella che afferma essere prevalente
– il rimettente si sottrae ad uno sforzo di esegesi diversa, che consenta di
superare i dubbi di costituzionalità o che sia costituzionalmente orientata,
esperendo un improprio tentativo di ottenere da questa Corte l’avallo
dell’interpretazione proposta, con un uso distorto dell’incidente di
costituzionalità;
che, infine, la prospettazione della questione è
contraddittoria, in quanto il rimettente assume che il trattamento economico
del giudice di pace, fondato sul "cottimo”, ne mini l’imparzialità ed al contempo
censura proprio le norme che, a suo dire, gli imporrebbero di astenersi per
salvaguardarla;
che pertanto la questione di legittimità costituzionale
sollevata è manifestamente inammissibile, restando assorbito ogni altro
profilo.
Visti
gli artt. 26,
secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
del combinato disposto degli articoli 10, comma 1, della legge 21 novembre
1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), e 51, secondo comma, del codice
di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo
comma, secondo periodo, della Costituzione, dal Giudice di pace di Milano con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2013.
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere