SENTENZA N. 65
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Luigi MAZZELLA Presidente
- Gaetano SILVESTRI Giudice
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 3 e 4 della legge della Regione Veneto 27 dicembre 2011, n. 30 (Disposizioni urgenti in materia di orari di apertura e chiusura delle attività di commercio al dettaglio e disposizioni transitorie in materia di autorizzazioni commerciali relative a grandi strutture di vendita e parchi commerciali), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 28 febbraio-1° marzo 2012, depositato in cancelleria il 1° marzo 2012 ed iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2012.
Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell'udienza pubblica del 12 marzo 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi l'avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Luigi Manzi e Bruno Barel per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 28 febbraio 2012 e depositato il successivo 1° marzo il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli articoli 3 e 4 della legge della Regione Veneto 27 dicembre 2011, n. 30 (Disposizioni urgenti in materia di orari di apertura e chiusura delle attività di commercio al dettaglio e disposizioni transitorie in materia di autorizzazioni commerciali relative a grandi strutture di vendita e parchi commerciali), in relazione agli articoli 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione.
1.1.– Il ricorrente premette, con riferimento all’art. 3 della legge reg. n. 30 del 2011, che tale norma, dopo aver previsto che «gli orari di apertura e di chiusura al pubblico delle attività di commercio al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo e dei criteri emanati dai comuni [...]», detta poi, ai successivi commi, una serie di rilevanti limitazioni e restrizioni quali: «Le attività di commercio al dettaglio possono restare aperte al pubblico in tutti i giorni della settimana dalle ore sette alle ore ventidue e osservano la chiusura domenicale e festiva. Nel rispetto di tali limiti, l’esercente può liberamente determinare l’orario di apertura e di chiusura del proprio esercizio» (comma 2); «Le attività di commercio al dettaglio derogano all’obbligo di chiusura settimanale e festiva di cui al comma 2 nel mese di dicembre, nonché, in via sperimentale, in ulteriori sedici giornate nel corso dell’anno, scelte dai comuni interessati entro il 30 novembre dell’anno precedente, sentite le organizzazioni di cui al comma 1 e favorendo la promozione di iniziative di marketing territoriale concertate con la piccola, media e grande distribuzione, finalizzate alla valorizzazione del tessuto commerciale urbano» (comma 4).
Ulteriori norme vincolistiche sono poi dettate con riferimento ai comuni a prevalente economia turistica e alle città d’arte per i quali si prevede che «gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva. I comuni possono individuare le zone del territorio e i periodi di maggiore afflusso turistico, nei quali gli esercenti possono esercitare la facoltà di cui al presente comma, secondo le modalità definite dalla medesima legge regionale 28 dicembre 1999, n. 62» (comma 6).
È stabilito altresì che «Fatta eccezione per le zone del territorio e i periodi di maggiore afflusso turistico dei comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte, individuati ai sensi della legge regionale 28 dicembre 1999, n. 62, è prevista la chiusura obbligatoria degli esercizi di vendita al dettaglio nelle seguenti festività: 1° gennaio, Pasqua, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, 25 dicembre» (comma 7).
Secondo il ricorrente l’art. 3, ora descritto, si porrebbe in contrasto con il quadro normativo vigente, risultante dall’art. 31, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
La norma ora citata, intervenendo sull’art. 3, comma 1, del decreto-legge 14 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha stabilito che le attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande siano svolte senza il limite del rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio. Tale modifica normativa, introdotta dal d.l. n. 201 del 2011, si qualifica come norma di liberalizzazione ed è direttamente vincolante anche nei confronti dei legislatori regionali.
Il ricorrente evidenzia che la materia «tutela della concorrenza» riservata dall’art. 117, comma 2, lettera e), Cost. alla potestà legislativa esclusiva dello Stato comprende anche le misure legislative promozionali «che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese» (sentenza n. 401 del 2007).
La norma regionale in esame, dunque, introducendo una serie di vincoli e restrizioni in termini di orari di apertura e di giornate di chiusura degli esercizi commerciali, lungi dal produrre effetti pro-concorrenziali, si porrebbe in aperto contrasto con la disciplina nazionale di liberalizzazione, e quindi violerebbe l’art. 117, comma 2, lettera e), Cost.
1.2.– Anche con riferimento all’art. 4 della legge reg. n.30 del 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta la violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), Cost.
La norma oggetto di censura prevede che, nelle more dell’approvazione della nuova normativa regionale in materia di commercio al dettaglio su area privata e, comunque, entro e non oltre il termine di un anno dalla sua entrata in vigore, tutti i procedimenti amministrativi per il rilascio di autorizzazioni commerciali relative a grandi strutture di vendita e parchi commerciali sono sospesi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della legge.
Secondo il ricorrente, la norma regionale determina una ingiustificata restrizione della concorrenza, posto che la sospensione del rilascio di nuovi provvedimenti autorizzatori ha il chiaro effetto di cristallizzare il mercato nel suo assetto esistente e si traduce nella sospensione per un anno della libertà, costituzionalmente garantita, di accesso al mercato.
L’illegittimità della norma discenderebbe anche dal contrasto con gli obiettivi e le previsioni della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno, la quale, proprio al fine di garantire un mercato interno dei servizi realmente integrato e funzionante, ha sottoposto a condizioni assai stringenti la possibilità per i legislatori di subordinare l’accesso ad un’attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione.
In particolare l’art. 9, par. 1, della direttiva citata dispone che: «gli Stati membri possono subordinare l’accesso ad una attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione soltanto se la necessità di un regime di autorizzazione è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale e se l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva».
Secondo il ricorrente, la normativa regionale violerebbe le disposizioni della citata direttiva, recepita nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), in quanto introdurrebbe una limitazione all’accesso ad un’attività di servizio che non si fonda sui motivi imperativi di interesse generale, cosi come disposto dall’art. 14 del suddetto decreto legislativo e, in ogni caso, non rispettosa del principio di proporzionalità.
In conclusione, la norma in esame, frapponendo un ostacolo alla libera esplicazione delle forze economiche nel mercato dei servizi, si porrebbe in contrasto con gli obiettivi e le previsioni della direttiva 2006/123/CE, e violerebbe, conseguentemente, l’art. 117, primo comma, Cost. che impone anche alle Regioni l’osservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, oltre ad interferire con la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di concorrenza riconosciuta dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
2.– In data 6 aprile 2012 si è costituita la Regione Veneto, concludendo nel senso dell’inammissibilità o dell’infondatezza delle questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.
La Regione effettua, innanzitutto, una ricostruzione del quadro normativo nella materia del commercio, al fine di chiarire i principi e le finalità che hanno ispirato il legislatore regionale e che sono esplicitamente richiamati all’art. 2 della legge impugnata.
La Regione precisa che, in attesa dell’approvazione di una legge organica nella materia del commercio, sono state approvate, in via sperimentale e transitoria, alcune misure urgenti relativamente a due specifici aspetti della materia, di particolare importanza sia per i consumatori che per gli operatori economici, come pure per il pubblico interesse, per eliminare un diffuso disorientamento che incide negativamente sull’efficienza del mercato e pregiudica valori meritevoli di tutela.
Di qui l’emanazione della legge n. 30 del 2011, in vigore dal 31 dicembre 2011.
2.1.– Preliminarmente, la Regione Veneto eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, perché il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 3 e 4 della legge reg. del Veneto n. 30 del 2011 senza impugnare anche l’art. 5, che così dispone: «Per quanto non espressamente disciplinato dalla presente legge trovano applicazione le disposizioni in materia di orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, come attuato dalla legge regionale 28 dicembre 1999, n. 62, e alla legge regionale 13 agosto 2004, n. 15».
Ne conseguirebbe che l’eventuale accoglimento del ricorso, con dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 3 e 4, avrebbe l’effetto di espandere la portata dell’art. 5 e così di far rivivere integralmente tutta la originaria disciplina, che è, però, più restrittiva di quella censurata e maggiormente difforme dall’obiettivo enunciato dal ricorrente.
2.2.– Nel merito, la Regione evidenzia che l’art. 3 impugnato riguarda la disciplina degli orari di apertura e chiusura delle attività commerciali al dettaglio, rimessa in un primo momento alla disciplina dettata dal legislatore statale di cui al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59), normativa richiamata anche dalla Regione Veneto allorché, dopo la riforma costituzionale del 2001, aveva esercitato la propria competenza legislativa in materia di commercio con la legge reg. 13 agosto 2004, n. 15 (Norme di programmazione per l’insediamento di attività commerciali nel Veneto).
Successivamente, il legislatore statale, con l’art. 3 del d.l. n. 223 del 2006, stabiliva quali fossero i limiti e le prescrizioni alle quali non dovevano più considerarsi soggette le attività commerciali, non menzionando l’obbligo della chiusura domenicale e festiva.
La norma ora citata ha subito nel corso del 2011 due modifiche. Con la prima, introdotta dall’art. 35, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria convertito con modifiche dalla legge 15 luglio 2011 n. 111), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 216, l’obbligo è stato eliminato per le attività commerciali situate «nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte». Con la seconda, introdotta dall’art. 31, comma l, del d.l. n.201 del 2011, è stata eliminata anche quest’ultima restrizione, sopprimendo del tutto l’obbligo di chiusura domenicale e festiva.
Secondo la Regione, l’art. 3 della legge reg. n. 30 del 2011 si limita ad introdurre alcuni elementi di flessibilità e di maggiore concorrenzialità nella vigente disciplina.
Tale disposizione fa proprio il principio generale della libera determinazione degli orari da parte degli operatori economici ed innova rispetto al passato col sopprimere due limiti: la fissazione dell’orario massimo giornaliero di tredici ore e l’obbligo della chiusura infrasettimanale. L’unico limite non soppresso riguarda la fascia oraria di apertura, tra le sette e le ventidue, e quindi l’obbligo di chiusura notturna legato anche a valutazioni di sicurezza pubblica e di tutela della pubblica quiete.
Anche per quanto concerne la regolamentazione delle aperture domenicali e festive, l’art. 3 avrebbe accresciuto la flessibilità rispetto al passato, avviando una fase sperimentale della durata di un anno, nella quale si passa da otto giornate di apertura, oltre a quelle del mese di dicembre, a sedici giornate, sempre in aggiunta a quelle di dicembre. Decorsa la suddetta fase sperimentale e sulla base degli esiti della stessa, l’individuazione del numero delle giornate di apertura domenicale e festiva è demandata alla Giunta regionale, sentita la competente Commissione consiliare.
Nell’ambito di tale fase sperimentale, l’individuazione delle giornate di apertura domenicale e festiva è demandata ai Comuni, sentite le organizzazioni di categoria, dei consumatori e dei lavoratori dipendenti, conformemente al criterio generale di favorire iniziative di promozione di marketing territoriale e la rivitalizzazione delle attività commerciali inserite nel contesto urbano.
Viene poi sostanzialmente confermato, per i Comuni a prevalente economia turistica e per le città d’arte, il regime di favore per le aperture anche domenicali e festive, secondo le modalità già individuate dalla legge della Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62 (Individuazione dei comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte ai fini delle deroghe agli orari di vendita).
La disciplina regionale viene censurata sotto un unico profilo, rappresentato dal presunto contrasto con la legislazione statale sulla tutela della concorrenza, identificata nella specie nell’art. 3, comma l, del d.l. n. 223 del 2006, come da ultimo modificato dall’art. 31, comma l, del d.l. n. 201 del 2011.
Secondo questa prospettazione, l’invocata novella statale assunta a parametro di legittimità costituzionale della legislazione regionale costituirebbe una norma direttamente e totalmente vincolante nei confronti del legislatore regionale che non ammetterebbe alcun margine di intervento regionale.
La Regione Veneto contesta una tale interpretazione dell’art. 31, comma l, del d.l. n. 201 del 2011 affermando che la stessa non è l’unica possibile, né la più coerente con l’assetto ordinamentale attuale. In tal modo, infatti, si finirebbe con l’attribuire all’iniziativa legislativa statale, nel nome della tutela della concorrenza, una portata talmente ampia e radicale da svuotare totalmente la competenza regionale esclusiva in materia di commercio, relativamente ad uno degli aspetti più rilevanti come quello della disciplina degli orari e giorni di apertura. Di fronte alla portata perentoria e assoluta attribuita alla disposizione statale, le Regioni verrebbero ad essere private di ogni competenza perfino in ordine all’adozione di eventuali misure di contemperamento a salvaguardia di altri valori primari.
Secondo la resistente, la materia «tutela della concorrenza», pur configurandosi come trasversale, non può essere intesa in maniera tanto ampia da esaurire il contenuto della materia «commercio», vanificando così la potestà legislativa esclusiva regionale, di talché ben possono le Regioni dettare norme che, indirettamente, producano effetti pro-concorrenziali (Corte cost. sent. n. 150 del 2011). Sarebbero, dunque, consentite alla regione non solo norme pro-concorrenziali ma anche norme che garantiscano il contemperamento con altri valori qualificabili come motivi imperativi di interesse generale, tanto più allorché l’intervento statale abbia omesso di dettare al medesimo scopo una propria disciplina.
La disciplina introdotta dall’art. 3 della legge reg. n. 30 del 2011, malgrado riduca la portata della liberalizzazione degli orari e giorni di apertura, in realtà costituirebbe una misura volta ad assicurare uno sviluppo equilibrato delle diverse tipologie distributive presenti nel territorio, evitando effetti distorsivi della concorrenza causati dalla forza economica della grande distribuzione, tanto più incisivi e pregiudizievoli a causa della improvvisa accelerazione del processo di liberalizzazione.
Alla finalità di porre rimedio a situazioni di squilibrio economico e sociale si aggiungono quelle, parimenti imprescindibili, della tutela del consumatore, con speciale riguardo alla possibilità di approvvigionamento, della salvaguardia del territorio e della funzione sociale svolta dai servizi commerciali di prossimità, in modo particolare i piccoli negozi nei centri storici e nel tessuto urbano consolidato.
La Regione propone, dunque, una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, dell’art. 31, comma l, del d.l. n. 201 del 2011, nel senso di ravvisarvi un principio generale, suscettibile di differenti declinazioni a livello regionale a fini pro-concorrenziali e che sia contemperabile con altri valori meritevoli anch’essi di tutela, in presenza di motivi imperativi di interesse generale.
In alternativa la Regione Veneto, ove si condivida l’interpretazione data alla disposizione statale dalla parte ricorrente, ripropone in questa sede, in via pregiudiziale e incidentale, le medesime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma l, sopra citato, già sollevata in via principale.
2.3.– Con riferimento alla seconda questione, relativa all’art. 4 della legge reg. n. 30 del 2011, la Regione precisa che la norma affronta il tema dell’apertura di nuove grandi strutture di vendita e parchi commerciali (assimilati alle prime dalla legge reg. n. 15 del 2004).
Più precisamente, la Regione, nell’accingersi a riformare strutturalmente la vigente legge reg. n. 15 del 2004 sulla distribuzione commerciale, in coerenza con le indicazioni della direttiva servizi, si sarebbe limitata ad introdurre una norma-ponte, di carattere esplicitamente transitorio – rafforzata dalla previsione di un termine finale massimo di operatività – in modo da evitare che, nella fase di transizione, si potessero determinare fenomeni distorsivi del mercato, irreversibili e pregiudizievoli tanto per il pubblico interesse quanto per consumatori e operatori economici.
La Regione precisa che la misura adottata: a) è di mera sospensione dei procedimenti, non di diniego ex lege delle istanze private; b) riguarda solo nuove aperture di grandi strutture di vendita e parchi commerciali, ossia quelle a maggiore impatto ambientale, mentre non pregiudica né l’apertura di nuove strutture di minori dimensioni, né trasferimenti di sede, né modifiche strutturali e di ripartizione interna di strutture operanti; c) è finalizzata a contemperare diversi interessi, evitando che una liberalizzazione istantanea, non accompagnata da una contestuale considerazione anche delle altre esigenze da salvaguardare, finisca col restringere o falsare il mercato pregiudicando un’articolazione della rete distributiva funzionale al soddisfacimento dei differenti bisogni delle varie tipologie di consumatori.
Si tratterebbe di una moratoria assolutamente temporanea, limitata ad una sola tipologia di strutture di vendita, quella di maggiore impatto ambientale, e circoscritta soltanto alle nuove aperture.
Inoltre non vi sarebbe un rigetto delle domande, né alcuna anticipazione del nuovo regime, neppure sul punto della subordinazione dell’accesso al mercato ad un regime di previa autorizzazione che peraltro è ammesso ove risulti giustificato.
La Regione cita la sentenza n. 176 del 2004 con la quale si è ritenuta compatibile con la Costituzione una disposizione regionale che sospendeva il rilascio di nuove autorizzazioni per l’apertura di grandi strutture di vendita fino all’adozione di un piano di coordinamento territoriale.
In conformità con quanto stabilito nel precedente citato, la norma impugnata pone un termine massimo preciso e certo per la sospensione dei procedimenti, finalizzato proprio all’introduzione di una riforma organica che contemperi il valore della libertà di iniziativa economica privata e della liberalizzazione delle aperture degli esercizi commerciali, di giorno e di notte, nelle festività religiose e civili, con altri valori non meno rilevanti.
3.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza la Regione Veneto ribadisce le proprie argomentazioni e insiste per il rigetto del ricorso.
In particolare, quanto all’art. 3 della legge reg. n. 30 del 2011 la Regione ribadisce le proprie argomentazioni affermando che anche dopo la sentenza n. 299 del 2012, con la quale si è ritenuta infondata la censura della norma statale di liberalizzazione, rimane comunque possibile l’interpretazione costituzionalmente orientata prospettata nell’atto di costituzione, secondo la quale alla Regione è permesso mitigare la portata liberalizzatrice della norma statale per la tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti in assenza di un contemperamento a livello centrale.
Con riferimento all’art. 4 della legge reg. n. 30 del 2011, la Regione evidenzia che la norma è stata abrogata dall’art. 30, comma 1, lettera f), della legge reg. 28 dicembre 2012, n. 50 (Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nelle Regione del Veneto).
Secondo la parte resistente, l’abrogazione avrebbe fatto venir meno l’interesse al ricorso.
In ogni caso la breve durata della sospensione dei procedimenti amministrativi, i quali dal 1° gennaio 2013 hanno ripreso il loro corso, dimostrerebbe l’infondatezza della censura in conformità con quanto affermato nella sentenza n. 176 del 2006.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale degli articoli 3 e 4 della legge della Regione Veneto 27 dicembre 2011, n. 30, (Disposizioni urgenti in materia di orari di apertura e chiusura delle attività di commercio al dettaglio e disposizioni transitorie in materia di autorizzazioni commerciali relative a grandi strutture di vendita e parchi commerciali), in relazione all’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione.
In particolare, il ricorrente ritiene che l’art. 3, nella parte in cui introduce nuovi limiti agli orari degli esercizi di commercio al dettaglio in sede fissa e reintroduce l’obbligo di chiusura domenicale e festiva, violi l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della tutela della concorrenza, competenza esercitata mediante l’approvazione dell’art. 31, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha eliminato i limiti e le prescrizioni agli orari e alle giornate di apertura degli esercizi commerciali.
L’art. 4, invece, è impugnato nella parte in cui, nelle more dell'approvazione della nuova normativa regionale in materia di commercio al dettaglio su area privata e comunque entro e non oltre il termine di un anno dall'entrata in vigore della legge, sospende i procedimenti amministrativi per il rilascio di autorizzazioni commerciali relativi a grandi strutture di vendita e parchi commerciali, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per le ipotesi di trasferimento di sede e di modificazione delle autorizzazioni rilasciate.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la norma violerebbe l’art.117, primo e secondo comma, lettera e), Cost., ponendosi in contrasto con la direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno, recepita nell'ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), in quanto introdurrebbe una limitazione all'accesso ad un'attività di servizio che non si fonda sui motivi, imperativi di interesse generale, cosi come disposto dall’art. 9, comma 1, della citata direttiva e dall’art. 14 del suddetto decreto legislativo di recepimento e, in ogni caso, non rispettosa del principio di proporzionalità.
1.1.– Preliminarmente la Regione Veneto, con riferimento alla questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 3 della legge reg. n. 30 del 2011, eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse perché il Presidente del Consiglio dei ministri non ha impugnato anche l’art. 5 della medesima legge che così dispone: «Per quanto non espressamente disciplinato dalla presente legge trovano applicazione le disposizioni in materia di orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, come attuato dalla legge regionale 28 dicembre 1999, n. 62, e alla legge regionale 13 agosto 2004, n. 15».
Secondo la parte resistente, nell’ipotesi di un eventuale accoglimento del ricorso, a causa della mancata impugnativa dell’art. 5, si determinerebbe l’effetto di far rivivere integralmente la originaria disciplina, più restrittiva della concorrenza di quella censurata.
L’eccezione non è fondata perché, quanto alla legge reg. 13 agosto 2004, n. 15 (Norme di programmazione per l’insediamento di attività commerciali nel Veneto), si rileva che essa è stata abrogata dall’art. 30, comma 1, lettera a), della legge reg. 28 dicembre 2012, n. 50 (Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto), mentre l’ulteriore richiamo alla legge reg. 28 dicembre 1999, n. 62 (Individuazione dei comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte ai fini delle deroghe agli orari di vendita), non ha più alcuna significato residuo, in quanto tale legge aveva ad oggetto esclusivamente la delega alle province dell’individuazione dei comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte ai fini delle deroghe agli orari di vendita, con la contemporanea fissazione dei criteri per l’esercizio della delega.
1.2.– Sempre in via preliminare, con riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. n. 30 del 2011, la Regione eccepisce l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, perché la norma è stata abrogata dall’art. 30, comma 1, lettera f), della legge reg. n. 50 del 2012, così che i procedimenti amministrativi volti al rilascio di autorizzazioni commerciali per grandi strutture di vendita e parchi commerciali hanno ripreso il loro corso.
Anche in questo caso l’eccezione non è fondata perché la norma in oggetto è stata in vigore per circa un anno e non può affermarsi che essa non abbia avuto applicazione, trattandosi di una norma di sospensione dei procedimenti amministrativi, per il rilascio di autorizzazioni commerciali, relativi a grandi strutture di vendita e parchi commerciali che non necessitava di alcun ulteriore atto di esecuzione.
2.– La questione relativa all’art. 3 della legge reg. n. 30 del 2011 è fondata.
La norma impugnata detta una serie di rilevanti limitazioni e restrizioni degli orari e delle giornate di apertura e di chiusura al pubblico delle attività di commercio al dettaglio. Essa, infatti, prevede che «Le attività di commercio al dettaglio possono restare aperte al pubblico in tutti i giorni della settimana dalle ore sette alle ore ventidue e osservano la chiusura domenicale e festiva. Nel rispetto di tali limiti, l’esercente può liberamente determinare l’orario di apertura e di chiusura del proprio esercizio» (comma 2); «Le attività di commercio al dettaglio derogano all’obbligo di chiusura settimanale e festiva di cui al comma 2 nel mese di dicembre, nonché, in via sperimentale, in ulteriori sedici giornate nel corso dell’anno, scelte dai comuni interessati entro il 30 novembre dell’anno precedente, sentite le organizzazioni di cui al comma 1 e favorendo la promozione di iniziative di marketing territoriale concertate con la piccola, media e grande distribuzione, finalizzate alla valorizzazione del tessuto commerciale urbano» (comma 4).
Tali disposizioni si pongono in contrasto con la disciplina statale in materia di orari e giornate di apertura e chiusura degli esercizi commerciali e, in particolare, con l’art. 3, comma 1, lettera d-bis), del d.l. 14 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, così come modificato dall’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, che ha stabilito che le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), e di somministrazione di alimenti e bevande siano svolte senza il limite del rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio.
Tale ultima modifica è stata oggetto di impugnazione da parte di numerose Regioni che hanno lamentato la violazione della competenza legislativa residuale in materia di commercio ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
Questa Corte, con sentenza n. 299 del 2012, ha ritenuto non fondate le questioni di costituzionalità sollevate dalle Regioni ricorrenti, dovendosi inquadrare l’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011 nella materia «tutela della concorrenza».
Ne consegue che l’art. 3 della legge reg. n. 30 del 2011 viola l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
3.– La questione relativa all’art. 4 della legge reg. n. 30 del 2011 non è fondata.
Le censure del Presidente del Consiglio, che lamenta la violazione del primo e del secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost. attengono, in realtà, non solo a due diversi parametri, ma a due diverse prospettazioni, una di competenza ed una di merito.
3.1.– Per ciò che riguarda l’aspetto della competenza, vale a dire la ritenuta violazione del secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost., occorre precisare che è stata la stessa legge statale che ha previsto, con l’art. 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, il termine del 30 settembre 2012 per l’adeguamento da parte di Comuni, Province, Regioni e Stato, dei rispettivi ordinamenti, al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge. Successivamente, l’art. 1 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nell’introdurre norme di liberalizzazione delle attività economiche e di riduzione degli oneri amministrativi per le imprese, ha disposto che: «I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni si adeguano ai principi e alle regole di cui ai commi1, 2 e 3 entro il 31 dicembre 2012, fermi restando i poteri sostitutivi dello Stato ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione».
Quindi è la stessa normativa statale a rendere necessario l’intervento del legislatore regionale in materia. Mentre, per ciò che riguarda la questione innanzi esaminata del contenuto dell’art. 3, il legislatore statale ha, successivamente al d.l. n. 138 del 2011, disposto, con l’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, una disciplina di immediata applicazione che veniva a superare la precedente normativa, ciò non è avvenuto per il contenuto dell’art. 4 della legge regionale in cui, anzi, l’obbligo dell’adeguamento è stato ribadito dal d.l. n. 1 del 2012. Quindi non è fondata la censura relativa alla competenza in quanto non tiene conto che l’intervento legislativo regionale avviene (prescindendo, per ciò che riguarda questo tipo di censura, dal suo contenuto) in adempimento di quanto previsto dalla normativa statale.
3.2.– La seconda censura è, invece, di carattere sostanziale, in quanto la sospensione del rilascio di nuovi provvedimenti autorizzatori cristallizzerebbe il mercato nel suo assetto esistente e contrasterebbe anche con gli obiettivi e le previsioni della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno.
In particolare, contrasterebbe con l’art. 9, par. 1, della direttiva citata, recepita nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), la quale dispone che: «gli Stati membri possono subordinare l’accesso ad una attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione soltanto se la necessità di un regime di autorizzazione è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale e se l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva».
Come si è detto, la norma impugnata ha sospeso, nelle more dell'approvazione della nuova disciplina regionale in materia di commercio al dettaglio su area privata e, comunque, entro e non oltre il termine di un anno dall'entrata in vigore della legge, i procedimenti amministrativi, per il rilascio di autorizzazioni commerciali, relativi a grandi strutture di vendita e parchi commerciali, ivi compresi i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge in questione, fatta eccezione per le ipotesi di trasferimento di sede e di modificazione delle autorizzazioni rilasciate.
La nuova normativa regionale di riforma del commercio al dettaglio è stata successivamente approvata con la legge reg. n. 50 del 2012 e la norma impugnata è stata abrogata dall’art. 30, comma 1, lettera f), della legge citata.
Occorre, quindi, valutare, nel concreto, se tale normativa risponda ai requisiti che, alla luce del contenuto della direttiva, giustificano la sospensione, per il limite massimo di un anno, del rilascio di nuove autorizzazioni commerciali per le grandi strutture di vendita e per i parchi commerciali.
Questa Corte ha già ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale di una disposizione regionale con la quale venivano sospesi i procedimenti per il rilascio di nuove autorizzazioni per l’apertura di grandi strutture di vendita fino alla conclusione dei procedimenti di pianificazione territoriale previsti dalla medesima legge regionale allora impugnata (sentenza n. 176 del 2004). In tale occasione si è ritenuto che la presenza di un termine finale certo entro il quale veniva a cessare il periodo di sospensione rendeva non irragionevole il limite all'iniziativa economica privata per la salvaguardia di un bene di rilievo costituzionale (in quel caso il governo del territorio).
Orbene, nel caso in esame la sospensione dei procedimenti autorizzatori è funzionalmente e temporalmente collegata all’esigenza di adeguare la normativa regionale ai principi dettati dal legislatore statale con le riforme di liberalizzazione succedutesi in un arco temporale molto limitato.
L’adozione di una misura meno restrittiva avrebbe potuto determinare il rischio di autorizzare grandi strutture di vendita, in contrasto con le successive misure che sarebbero state approvate.
Deve sottolinearsi, d’altra parte, che la norma impugnata ha ad oggetto i soli procedimenti relativi alle grandi strutture di vendita, ovvero quei procedimenti autorizzatori che, in relazione alla particolare tipologia di esercizi commerciali di grandi dimensioni, vedono coinvolti in modo più rilevante anche altri interessi quali quelli urbanistici, edilizi, di impatto sulla viabilità e, in alcuni casi, anche ambientali.
Ne consegue che la sospensione dei procedimenti, limitatamente al rilascio di autorizzazioni relative a grandi strutture di vendita e parchi commerciali nelle more di una riforma organica della materia, stante, in ogni caso, la previsione del termine massimo di un anno di operatività della sospensione stessa, non costituisce un irragionevole limite all'iniziativa economica privata.
In definitiva, l’art. 4 della legge reg. n. 30 del 2012 non viola né l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. per il motivo già precisato, né l’art. 117, primo comma, Cost., perché la previsione di un termine finale certo e proporzionato giustifica, sotto il profilo dell’interesse generale, la necessità di sospendere il rilascio di autorizzazioni per le grandi strutture di vendita e per gli esercizi ad esse equiparati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge della Regione Veneto 27 dicembre 2011, n. 30 (Disposizioni urgenti in materia di orari di apertura e chiusura delle attività di commercio al dettaglio e disposizioni transitorie in materia di autorizzazioni commerciali relative a grandi strutture di vendita e parchi commerciali);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge della Regione Veneto n. 30 del 2011 sollevata, in riferimento all’articolo 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 2013.
F.to:
Luigi MAZZELLA, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2013.