Ordinanza n. 281 del 2012

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ORDINANZA N. 281

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Alfonso                  QUARANTA                                      Presidente

-    Franco                    GALLO                                                  Giudice

-    Luigi                      MAZZELLA                                               ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                                ”

-    Sabino                    CASSESE                                                   ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                  ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                          ”

-    Giuseppe                FRIGO                                                        ”

-    Alessandro             CRISCUOLO                                             ”

-    Paolo                      GROSSI                                                      ”

-    Giorgio                   LATTANZI                                                 ”

-    Aldo                       CAROSI                                                     ”

-    Marta                     CARTABIA                                                ”

-    Sergio                     MATTARELLA                                         ”

-    Mario Rosario        MORELLI                                                  ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 178, quarto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), promosso dal Tribunale ordinario di Milano, sezione fallimentare, nel procedimento vertente tra l’Arthemisia s.r.l., in liquidazione, e l’Agenzia delle Entrate ed altro, con ordinanza del 6 marzo 2012 iscritta al n. 159 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2012 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Milano, sezione fallimentare, con ordinanza depositata il 6 marzo 2012, ha sollevato, in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 178, quarto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), in seguito legge fallimentare, come modificato dall’art. 15, comma 3, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1952, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui, come riferito dal rimettente, «consente che nel termine di venti giorni successivi alla chiusura del verbale dell’adunanza dei creditori pervengano e siano utilmente conteggiate le sole adesioni, ossia i soli voti favorevoli alla proposta concordataria, e non anche i voti sfavorevoli»;

che il giudice a quo fa presente di essere chiamato a giudicare in ordine alla opposizione alla omologa del concordato preventivo della Arthemisia s.r.l. in liquidazione presentata dalla Agenzia delle Entrate;

che, riferisce il rimettente, quest’ultima, durante l’adunanza dei creditori – nel corso della quale alcuni creditori assentivano alla proposta mentre altri facevano pervenire il loro assenso, sino al raggiungimento della prescritta maggioranza, entro il termine di cui all’art. 178, quarto comma, della legge fallimentare – non aveva espresso alcun voto, avendo, però, fatto pervenire, entro il medesimo termine, voto contrario alla proposta di concordato preventivo, rappresentando la sussistenza di debiti per imposte in misura sensibilmente maggiore di quanto dichiarato dalla proponente;

che – avendo la società in liquidazione preliminarmente eccepito nel giudizio di opposizione alla omologa l’ammissibilità della opposizione, in quanto presentata da creditore che non aveva espresso in sede di adunanza il proprio dissenso rispetto alla proposta di concordato – il Tribunale di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 178, quarto comma, della legge fallimentare, nella parte in cui consente, nei venti giorni successivi allo svolgimento della adunanza dei creditori, la espressione solo dei voti favorevoli alla proposta di concordato preventivo;

che, sulla rilevanza della questione, il rimettente, ribadito che la Agenzia delle Entrate ha manifestato il proprio dissenso alla proposta di concordato preventivo dieci giorni dopo lo svolgimento della votazione in seno alla adunanza dei creditori ed alla relativa verbalizzazione, rileva che, solo in quanto la Agenzia possa essere validamente qualificata “creditore dissenziente”, le doglianze da essa presentate in ordine alla omologa del concordato preventivo potrebbero essere esaminate nel merito, in quanto ammissibili poiché provenienti da soggetto a ciò legittimato;

che alla attribuzione della predetta qualifica alla opponente osta il dettato dell’art. 178, quarto comma, della legge fallimentare il quale, stante il suo tenore letterale e significato logico, consente che, nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale dell’adunanza dei creditori, siano conteggiate, ai fini della integrazione della volontà della maggioranza dei creditori, le sole adesioni alla proposta di concordato e non anche le espressioni di dissenso all’accettazione della proposta;

che queste ultime, se formulate dopo l’adunanza dei creditori, sarebbero viziate e, perciò, inidonee ad attribuire al dichiarante la qualifica di “creditore dissenziente”;

che, per ciò che concerne la non manifesta infondatezza della questione, il rimettente ritiene siffatta lettura della disposizione censurata – insuscettibile di valide alternative ermeneutiche tali da ricondurla entro la legittimità costituzionale – in contrasto col principio di eguaglianza, sancito dall’art. 3 della Costituzione, a causa della ingiustificata ed illogica disparità di trattamento tra creditori;

che, ad avviso del giudice a quo, coloro i quali intendono esprimersi favorevolmente alla proposta di concordato possono farlo sia prima che durante che dopo la adunanza dei creditori, mentre quelli che intendono esprimere il proprio dissenso lo devono fare entro e non oltre la chiusura del verbale della adunanza;

che, sempre secondo il Tribunale di Milano, non vi è ragione alcuna per attribuire il più ampio spatium deliberandi alla sola ipotesi in cui l’approfondimento di riflessione svolto nel corso di esso si traduca in un voto favorevole e non al caso in cui il creditore voglia decidere di non aderire alla proposta, tanto più ove di consideri che solo in caso di espressione di voto contrario nel corso della adunanza dei creditori si è, poi, legittimati a proporre opposizione alla omologa del concordato;

che, aggiunge il rimettente, l’irragionevolezza della previsione normativa è resa evidente ove se ne esamini lo sviluppo diacronico; infatti, nel testo originario, l’art. 178 della legge fallimentare richiedeva, per l’approvazione della proposta di concordato preventivo, che nel corso della adunanza dei creditori fosse raggiunta la maggioranza numerica dei presenti favorevole alla proposta, e che, solo conseguita questa, si procedesse al computo della maggioranza quantitativa dei crediti;

che, rimossa, a seguito della entrata in vigore delle modifiche alla disciplina delle procedure concorsuali contenute nel decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, la condizione che subordinava l’accettazione della proposta di concordato alla duplice valutazione favorevole (per capita e per quantum), non ha più ragion d’essere la differenziazione fra voti (espressi per capita) ed adesioni (espresse per quantum), essendo rilevante la sola votazione per quantum;

che, pertanto, la differente disciplina applicabile alle modalità di espressione del voto favorevole e del voto sfavorevole appare ancor meno giustificabile, così come appare anche ingiustificabile la diversa disciplina dello ius poenitendi, essendo questo riconosciuto, entro il termine di venti giorni dalla adunanza, a chi abbia, nel corso di questa, espresso voto contrario e non essendo, invece, riconosciuto, negli stessi termini, a chi lo abbia espresso favorevole, sebbene, nel primo caso, il mutamento di opinione potrebbe aver trovato origine in accordi paraconcordatari medio tempore intervenuti fra il debitore e singolo creditore, non meritevoli di tutela;

che, quanto al contrasto con l’art. 24 della Costituzione, esso è rinvenuto dal rimettente nel fatto che il creditore, il quale necessiti di un maggior tempo per potere esprimere la propria valutazione, può efficacemente esprimerla solo nel senso della accettazione della proposta e non anche nel senso del rifiuto;

che tale situazione si sostanzia in un’inammissibile compressione del diritto di difesa, non giustificabile neppure sulla base del favor di cui pur gode il debitore che presenti una proposta concordataria, tenuto conto del fatto che il creditore che non abbia tempestivamente espresso il proprio dissenso sulla proposta di concordato è privato anche della possibilità di opporsi in giudizio alla omologa di quello.

Considerato che il Tribunale ordinario di Milano, sezione fallimentare, dubita, in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 178, quarto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui, nel testo vigente al momento in cui la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata, per un verso consente che, nel termine dei venti giorni successivi alla chiusura del verbale dell’adunanza dei creditori di cui all’art. 174 della legge fallimentare, pervengano e siano utilmente conteggiate i soli voti favorevoli alla proposta concordataria e non anche i voti sfavorevoli ed in quanto, per effetto del descritto meccanismo, rende possibile l’esercizio, nel predetto termine, dello ius poenitendi solo ai creditori che, avendo in sede di adunanza espresso voto contrario, vogliano poi mutarlo in favorevole e non anche a quelli che, espresso nella predetta sede voto favorevole, lo vogliano modificare in contrario;

che la descritta illegittimità costituzionale sarebbe resa più evidente dal fatto che solo il creditore che abbia espresso voto contrario alla approvazione della proposta di concordato è, poi, legittimato ad opporsi alla sua omologa;

che, successivamente alla proposizione della presente questione di legittimità costituzionale, la disposizione censurata dal Tribunale ordinario di Milano è stata profondamente modificata;

che, infatti, l’art. 33 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, nel variare talune disposizione della legge fallimentare, ha, in particolare – al comma 1, lettera d-bis), numero 3 – sostituito integralmente il quarto comma dell’art. 178 della legge fallimentare, prevedendo, per ciò che specificamente concerne la presente questione, la possibilità per i creditori che non abbiano espresso il proprio voto in seno alla adunanza di cui all’art. 174 della legge fallimentare di far pervenire, nei venti giorni successivi alla chiusura del relativo verbale, il proprio dissenso rispetto alla approvazione della proposta di concordato;

che siffatta sopravvenienza normativa – esaminata unitamente alla modifica apportata, sempre dal citato art. 33 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 134 del 2012, all’art. 179 della legge fallimentare, nel quale è stato inserito un secondo comma, per cui, ove il commissario liquidatore rilevi, dopo l’approvazione del concordato, il mutamento delle condizioni di fattibilità del piano, ne deve dare comunicazione ai creditori che possono costituirsi nel giudizio di omologazione e, in tale sede, modificare il voto da loro espresso – incidendo in maniera evidente sia sulla norma stessa oggetto del dubbio di costituzionalità formulato dal rimettente, sia sulla più generale disciplina dell’istituto, impone a questa Corte la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Milano, sezione fallimentare, affinché questa ne valuti i complessivi effetti in ordine alla perdurante attualità e rilevanza nel giudizio a quo della sollevata questione di legittimità costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Milano, sezione fallimentare.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 5 dicembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2012.