Ordinanza n. 248 del 2012

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ORDINANZA N. 248

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-                                Alfonso             QUARANTA                                          Presidente

-                                Franco                           GALLO                                        Giudice

-                                Luigi                             MAZZELLA                                     “

-                                Gaetano                        SILVESTRI                                       “

-                                Sabino                           CASSESE                                          “

-                                Giuseppe                       TESAURO                                         “

-                                Paolo Maria                  NAPOLITANO                                 “

-                                Giuseppe                       FRIGO                                               “

-                                Alessandro                    CRISCUOLO                                    “

-                                Paolo                             GROSSI                                             “

-                                Giorgio                         LATTANZI                                       “

-                                Aldo                             CAROSI                                            “

-                                Marta                            CARTABIA                                      “

-                                Sergio                           MATTARELLA                                “

-                                Mario Rosario              MORELLI                                         “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 4-bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), aggiunto dal comma 8 dell’art. 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Brindisi, nel procedimento vertente tra la s.r.l. Acque Chiare e l’Agenzia delle entrate di Brindisi, con ordinanza depositata il 1° dicembre 2011, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2012 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, nel corso di tre giudizi tributari di primo grado riuniti – nei quali una società a responsabilità limitata aveva impugnato gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione per gli anni dal 2004 al 2006, ai fini dell’IRES e dell’IRAP, i costi e le spese dichiarati dalla contribuente –, la Commissione tributaria provinciale di Brindisi, con ordinanza pronunciata il 3 novembre 2011 e depositata il 1° dicembre successivo, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale del comma 4-bis dell’art. 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), aggiunto dal comma 8 dell’art. 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), per il quale: «Nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti»;

che, secondo quanto osservato in punto di fatto dalla Commissione tributaria rimettente: a) l’Agenzia delle entrate aveva recuperato i costi e le spese dichiarati dalla contribuente sul presupposto della loro indeducibilità, in quanto la contribuente s.r.l Acque Chiare, nello svolgimento della propria attività di costruzione e vendita di fabbricati, aveva commesso il reato di lottizzazione abusiva previsto e punito dagli artt. 6, 18, e 20, lettera c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie); b) la ricorrente società a responsabilità limitata aveva: b.1.) negato «in fatto e in diritto» la sussistenza del suddetto reato; b.2.) affermato che la denunciata normativa riguarda solo le ipotesi di sequestro o confisca penale di proventi penalmente illeciti e che, comunque, si riferisce solo alle «operazioni penalmente illecite dirette all’ottenimento di vantaggi di natura fiscale e solo se già dichiarate penalmente illecite dal competente Giudice penale»;

che, secondo quanto osservato in punto di diritto dalla stessa Commissione tributaria, la norma denunciata – almeno «prima facie e salvo piú approfondito esame» – non è interpretabile nel senso indicato dalla contribuente;

che, con riguardo alla censura relativa all’art. 3 Cost., il giudice rimettente premette che, per «prassi contabile», le imprese edili – la cui attività riguarda opere con tempi di esecuzione ultrannuali – «adottano un sistema di contabilizzazione dei costi e delle rimanenze in virtú del quale i costi e le spese direttamente inerenti alla costruzione degli immobili vengono riportati in contabilità anche come rimanenze e quindi come componenti positivi del reddito»;

che pertanto, ad avviso del medesimo giudice, l’indeducibilità dei costi prevista dalla denunciata normativa comporterebbe, per le suddette imprese, due possibili ed opposti effetti, entrambi irragionevoli, cioè «o il contemporaneo azzeramento di costi e ricavi, o la tassazione di utili fittizi, perché del tutto inesistenti», con la conseguenza, nel primo caso, di vanificare completamente l’intento sanzionatorio-dissuasivo perseguito dal legislatore e, nel secondo caso, di applicare una sanzione «abnorme e irrazionale, perché svincolata da qualsiasi parametro idoneo a graduarne l’entità in funzione della gravità della violazione»;

che in ogni caso – prosegue il rimettente – l’applicazione dell’impugnato comma 4-bis dell’art. 14 della legge n. 537 del 1993 determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra attività imprenditoriali ugualmente illecite sul piano penale, a seconda dei sistemi di contabilizzazione impiegati in ciascun settore produttivo, diversificati in ragione della tipologia e dei differenti tempi di fabbricazione dei prodotti realizzati;

che, con riguardo alla censura relativa all’art. 27, secondo comma, Cost., il rimettente sottolinea la «grave ingiustizia cui può portare una norma che sanzioni in sede tributaria (il piú delle volte con effetti irreversibili sulla sopravvivenza dell’impresa) condotte che successivamente il Giudice penale può anche ritenere meritevoli di assoluzione», con conseguente «violazione del principio della presunzione di innocenza»;

che, in relazione, infine, alla censura relativa all’art. 53 Cost., il giudice a quo deduce che è «dubbio» che l’indeducibilità di costi «effettivamente sostenuti» possa essere prevista dal legislatore in base a logiche «repressivo/sanzionatorie e dissuasive», tali da escludere l’operatività dell’evocato parametro e consentire la tassazione di una capacità contributiva inesistente, in quanto calcolata al lordo dei costi suddetti (viene citata la sentenza della Corte costituzionale n. 103 del 1967);

che, quanto alla rilevanza delle questioni, la Commissione tributaria provinciale ne afferma «l’evidente ed inconfutabile» sussistenza.

che è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte restituisca gli atti al giudice a quo per un nuovo esame della perdurante rilevanza delle questioni, alla luce delle modificazioni apportate alla impugnata normativa dal sopravvenuto art. 8 del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44.

Considerato che, con ordinanza depositata il 1° dicembre 2011, la Commissione tributaria provinciale di Brindisi dubita della legittimità del comma 4-bis dell’art. 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), aggiunto dal comma 8 dell’art. 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), in forza del quale: «Nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti»;

che, ad avviso del giudice rimettente, il comma censurato víola: a) i princípi di razionalità ed uguaglianza espressi dall’art. 3 della Costituzione, perché: a.1) nel caso di imprese edilizie, come quella della ricorrente nel giudizio principale, i costi ultrannuali vengono contabilizzati come rimanenze finali e, quindi, come componenti positivi di reddito, con la conseguenza che la sancita indeducibilità dei costi derivanti da reato comporta o l’azzeramento dei ricavi e dei costi, vanificando cosí l’intento sanzionatorio-dissuasivo perseguito dal legislatore, oppure, alternativamente, la tassazione di utili inesistenti, tale da risolversi in una sanzione «abnorme e irrazionale, perché svincolata da qualsiasi parametro idoneo a graduarne l’entità in funzione della gravità della violazione»; a.2) comunque introduce una irragionevole disparità di trattamento tra attività imprenditoriali ugualmente illecite sul piano penale, a seconda dei sistemi di contabilizzazione impiegati in ciascun settore produttivo; b) il «principio della presunzione di innocenza» espresso dall’art. 27, secondo comma, Cost., perché, nel prevedere l’indeducibilità in sede tributaria di costi derivanti da reato, stabilisce una sanzione sul piano tributario di condotte che, successivamente, il giudice penale può anche ritenere meritevoli di assoluzione; c) il principio di capacità contributiva espresso dall’art. 53 Cost., perché l’indeducibilità di costi «effettivamente sostenuti», ancorché derivanti da reato, non può essere fondata su logiche «repressivo/sanzionatorie e dissuasive», tali da consentire la tassazione di una capacità contributiva inesistente, in quanto calcolata al lordo dei costi;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, è intervenuto il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, il quale, all’art. 8, comma 1, ha disposto la sostituzione del comma censurato;

che, con la nuova formulazione del censurato comma 4-bis, il legislatore, da un lato, ha ridotto l’àmbito dei componenti negativi connessi ad illeciti penali e non ammessi in deduzione nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), limitandolo ai «costi e [alle] spese direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo» e, dall’altro, ha richiesto che, in relazione a tale delitto, «il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, […] il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale […]»;

che il comma 3 dell’art. 8 del decreto-legge n. 16 del 2012, disciplinando l’applicazione nel tempo dei commi 1 e 2 dello stesso art. 8, ha previsto che essi «si applicano in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi»;

che, a séguito di tale ius superveniens – il quale incide direttamente sulla norma censurata ed è applicabile retroattivamente, ove più favorevole – spetta al giudice rimettente procedere ad una nuova valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate;

che, di conseguenza, deve essere disposta la restituzione degli atti al giudice a quo affinché proceda alla suddetta valutazione alla luce del nuovo quadro normativo (ex plurimis, ordinanze n. 190 e n. 24 del 2012, n. 326 e n. 311 del 2011).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla Commissione tributaria provinciale di Brindisi.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2012.