Sentenza n. 216 del 2012

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ORDINANZA N. 216

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                              Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                           ”

-           Gaetano                       SILVESTRI                                            ”

-           Sabino                         CASSESE                                               ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                              ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                      ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                    ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                         ”

-           Paolo                           GROSSI                                                  ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                             ”

-           Aldo                            CAROSI                                                  ”

-           Marta                           CARTABIA                                            ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                                 ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                               ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2-bis, comma 6-bis, e 2-ter, comma 11, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), promosso dal Tribunale di Agrigento nel procedimento penale a carico di G.M.G. ed altri, con ordinanza depositata il 29 settembre 2011, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento, fuori termine, del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 giugno 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto che il Tribunale di Agrigento con ordinanza depositata il 29 settembre 2011, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, del 4 aprile 2012 (r.o. n. 49 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 24, primo e secondo comma, e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2-bis, comma 6-bis, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), «nella parte in cui consente di attivare la procedura di prevenzione patrimoniale nei confronti di un soggetto deceduto prima della formulazione della richiesta», e dell’articolo 2-ter, comma 11, della medesima legge n. 575 del 1965;

che il Tribunale rimettente premette di essere stato investito della proposta, in data 8 aprile 2009 (recte: 8 aprile 2010), con la quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ha richiesto, in base all’art. 2-ter, comma 11, della legge n. 575 del 1965, il sequestro e la successiva confisca dei beni nella disponibilità di un soggetto deceduto il 13 aprile 2008, nei confronti del quale era stata disposta la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, essendo stata ritenuta la sua appartenenza all’organizzazione di stampo mafioso denominata “Cosa Nostra”, ed erano state pronunciate sentenze di condanna per vari reati (tra i quali quello previsto dall’art. 416-bis del codice penale);

che il pubblico ministero aveva individuato come eredi la moglie e i figli della persona deceduta e aveva chiesto il sequestro anticipato di numerosi beni ad essi intestati ed acquisiti iure successionis, per donazione dal de cuius o acquistati da terzi estranei;

che la richiesta era stata parzialmente accolta dal Tribunale;

che nel corso del procedimento camerale i difensori degli eredi avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’intero comma 6-bis dell’art. 2-bis della legge n. 575 del 1965, in riferimento agli artt. 24, 27, 42 e 111 Cost.;

che il rimettente ha ritenuto di dover sollevare, in riferimento ai  soli artt. 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale della disposizione indicata, «nella parte in cui consente di attivare la procedura di prevenzione patrimoniale nei confronti di un soggetto deceduto prima della formulazione della richiesta», osservando però che «la disposizione ritenuta illegittima dalla difesa è solo in parte riferibile al caso di specie, posto che essa contiene l’enunciazione generale della possibile applicazione disgiunta delle misure di prevenzione personale e patrimoniale, della quale la proposta d’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale agli eredi costituisce una delle ipotesi conseguenti»;

che il caso in esame riguarda questa ipotesi ed è limitatamente ad essa che il rimettente «ritiene di restringere la portata della eccezione sollevata dalla difesa e di considerarne la rilevanza», precisando che la «specifica fattispecie di applicazione disgiunta della misura patrimoniale che viene qui in rilievo è specificamente contemplata e disciplinata da altra disposizione che la difesa non considera», ossia dall’art. 2-ter, comma 11, della legge n. 575 del 1965, del quale anche solleva questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 24 e 111 Cost.;

che il rimettente dà atto che la questione di legittimità costituzionale di quest’ultima disposizione è già stata sollevata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con ordinanza del 3 marzo 2011, sulla base di argomentazioni che dichiara di condividere integralmente;

che, al fine di chiarire la rilevanza della questione di legittimità costituzionale delle due disposizioni censurate, il rimettente ricorda che fino alle modifiche introdotte nel 2008 (decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125) e nel 2009 (legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica») l’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 prevedeva «un rapporto di pregiudizialità necessaria tra misure di prevenzione personali e patrimoniali, posto che permetteva il sequestro dei beni dei soggetti indiziati di appartenere ad associazioni criminali di stampo mafioso, solo nell’ambito di un procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione personali»;

che il rimettente, richiamate l’ordinanza n. 721 del 1988 della Corte costituzionale e alcune pronunce della Corte di cassazione, rileva che le disposizioni di cui al settimo e all’ottavo comma dell’art. 2-ter, non modificate dalle recenti riforme, non giungono a «contemplare l’applicazione formalmente disgiunta delle due misure (anche se, di fatto, arrivano a tale risultato)», laddove tale separazione è stata formalizzata dagli interventi legislativi del 2008 e del 2009, i quali hanno esplicitamente stabilito che «le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente, che le misure patrimoniali possano essere applicate anche in caso di cessazione della pericolosità sociale del proposto al momento della loro richiesta, che possano disporsi anche in caso di morte del soggetto proposto e che, in caso di morte intervenuta nelle more della procedura, il procedimento prosegua nei confronti di eredi ed aventi causa»;

che, precisa ancora il rimettente, «in ulteriore esplicitazione di tale principio è stato introdotto anche il  c. 11 dell’art. 2-ter L. 575/65, che prevede la possibilità di proporre la confisca entro cinque anni dalla morte del soggetto e che il procedimento riguardi i successori a titolo universale e particolare»;

che con la riforma legislativa sarebbe venuto meno non già il requisito della pericolosità sociale, che è pur sempre elemento costitutivo dell’applicazione di tutte le misure di prevenzione, comprese quelle patrimoniali, bensì quello della «attualità della pericolosità sociale» e non vi sarebbe più «la necessità di attivare (sempre) il procedimento per l’applicazione della misura personale, anche quando esso ha il solo scopo di consentire la applicazione di quella patrimoniale, come nei casi (…) contemplati dai commi 7 e 8 dell’art. 2-ter L. 575/1965»;

che tale disciplina determinerebbe «una lesione del diritto di difesa, posto che il giudice della prevenzione è chiamato a formulare un giudizio di pericolosità sociale nei confronti di una persona che non è più in vita e, dunque, non può intervenire nel procedimento ed instaurare il contraddittorio sulla propria qualificazione soggettiva o sulla provenienza dei propri beni»;

che la questione, oltre che rilevante, sarebbe non manifestamente infondata, in quanto da varie pronunce della Corte costituzionale emergerebbe «la necessità che il sistema della prevenzione, pienamente legittimo, si basi sull’accertamento di fatti specifici, individuati con sufficiente grado di determinatezza dal legislatore, tali da consentire al giudice di formulare su basi obiettive il giudizio prognostico sui comportamenti del soggetto e di valutarne in tal modo la pericolosità sociale, sempre nel rispetto delle garanzie giurisdizionali e del principio del contraddittorio»;

che anche sul tema dei rapporti tra le misure di prevenzione personali e patrimoniali il rimettente richiama alcune decisioni della giurisprudenza costituzionale e di quella di legittimità (tra le quali, in particolare, la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 18 del 3 luglio 1996), sottolineando che sia l’ipotesi del decesso intervenuto prima della definitività della confisca, sia le ipotesi dell’assenza, dimora o residenza all’estero del proposto «non prescindono dalla verifica della pericolosità sociale, quanto dalla possibilità della sua concreta applicazione» e che pure nelle ipotesi in cui la misura patrimoniale non è applicata contemporaneamente a quella personale, è richiesto l’accertamento, nel contraddittorio delle parti, dei presupposti per l’applicazione delle misure sia personali che patrimoniali;

che «in tutti questi casi il proposto è messo in condizione di conoscere l’esistenza del procedimento di prevenzione a suo carico, è comunque assistito da un difensore (di sua fiducia o d’ufficio), può scegliere se e con quali mezzi intervenire e, da ultimo, anche optare per un rito (udienza pubblica) invece che un altro (camera di consiglio)»;

che nel quadro descritto si inserirebbero le modifiche introdotte dal legislatore del 2008 e del 2009 con il comma 6-bis dell’art. 2-bis e con il comma 11 dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965;

che un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della prima disposizione «induce a ritenere non che si debba prescindere dalla verifica della pericolosità sociale del proposto, ma che si possano applicare le misure patrimoniali anche in caso di pericolosità sociale non più attuale, ovvero in caso di completa esecuzione della misura personale», ferma restando «la necessità di verificare se il soggetto sia o sia stato socialmente pericoloso» ai sensi della legge n. 575 del 1965, verifica, questa, che «non può che intervenire nel contraddittorio delle parti», in applicazione dei princìpi del “giusto processo” sanciti dall’art. 111 Cost.;

che sotto il profilo del rispetto del diritto al contraddittorio la disciplina di cui all’art. 2-bis, comma 6-bis (nella parte relativa alla possibilità di instaurare il procedimento nei confronti degli eredi) e 2-ter, comma 11, della legge n. 575 del 1965 sarebbe in contrasto con l’art. 111 Cost., in quanto l’instaurazione del procedimento di applicazione della misura patrimoniale nei confronti degli eredi, «implica, necessariamente una valutazione dei profili di pericolosità sociale ed illecita origine dei beni che non si riferiscono ai soggetti chiamati ad intervenire nel procedimento, bensì ad un soggetto che è deceduto e, dunque, che non può più intervenirvi»;

che, ad avviso del giudice a quo, la possibilità di assicurare la partecipazione personale al procedimento di prevenzione avrebbe un valore fondamentale incidendo sui diritti della persona (e, in primo luogo, sul diritto di difesa) e sulla stessa legittimità della procedura, essendo la necessità del contraddittorio cristallizzata nell’art. 111 Cost., a norma del quale in ogni procedimento deve essere assicurata «la possibilità di partecipazione dello stesso soggetto destinatario del giudizio», laddove, nel caso del procedimento nei confronti degli eredi, «il giudizio viene formulato con riferimento ad una persona che non può parteciparvi ed i suoi effetti vengono a prodursi su soggetti che, a loro volta, sono sì chiamati a partecipare al procedimento, ma sono totalmente estranei a qualunque valutazione che li riguardi»;

che il rimettente, richiamati i diritti riconosciuti a qualsiasi persona sottoposta a processo dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848) e alcune decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla partecipazione personale al processo, nonché la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 13426 del 25 marzo 2010, in tema di inutilizzabilità, nel giudizio di prevenzione, delle intercettazioni dichiarate inutilizzabili nel giudizio penale di cognizione e la sentenza n. 93 del 2010 della Corte costituzionale, osserva che nel procedimento instaurato nei confronti degli eredi della persona deceduta il diritto al contraddittorio «appare pretermesso, posto che non è fisicamente possibile la partecipazione diretta del soggetto al procedimento, né può ritenersi tale principio rispettato dalla partecipazione al giudizio di un eventuale difensore del de cuius» alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul processo contumaciale;

che nella situazione considerata «nessun contraddittorio vi è mai stato con riferimento agli accertamenti patrimoniali ed il giudizio in ordine alla sussistenza degli elementi alla base della confisca (disponibilità, sproporzione, provenienza dei beni) viene a svolgersi in base ad elementi raccolti dopo la morte del soggetto e senza che a costui sia mai stato possibile conoscere tali elementi e svolgere le proprie difese sui fatti dimostrati dall’accusa», con violazione dell’art. 24 e dell’art. 111, primo comma, Cost.;

che i principi costituzionali indicati non sarebbero adeguatamente rispettati con riguardo agli eredi, chiamati a partecipare al procedimento in una posizione del tutto analoga a quella del de cuius e ad esplicare le proprie difese non in ordine agli elementi di giudizio che li riguardano, ma su fatti e circostanze concernenti un’altra persona;

che «gli eredi (che durante la esistenza in vita del soggetto potrebbero assumere nel procedimento, al più, la veste di terzi) si vengono, dunque, a trovare in una posizione processuale del tutto peculiare, poiché essi si debbono difendere “come se” fossero il de cuius, non essendo sufficiente ad escludere il provvedimento ablatorio la dimostrazione degli elementi di fatto che costituiscono le normali difese dei terzi interessati, che possono dimostrare che il bene si trova nella loro piena disponibilità e non in quella del proposto, o che lo hanno acquistato in buona fede. Gli eredi, in questo caso, non sono considerati terzi, ma i diretti destinatari del procedimento di prevenzione patrimoniale che, però, va a colpire i beni da essi ricevuti in ragione della loro precedente appartenenza ad un soggetto non più in vita»;

che, ad avviso del rimettente, gli eredi non potrebbero difendersi dimostrando che il bene è nella loro disponibilità e non già in quella indiretta del proposto, né potrebbero provare la buona fede dell’acquisto: «possono solo dimostrare la non riconducibilità del bene alle attività delittuose del de cuius, prova che – dunque – concerne fatti e circostanze che riguardano una persona diversa da loro stessi ed in relazione ai quali essi subiscono gli effetti»;

che con atto depositato il 3 maggio 2012 è intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata alla luce della sentenza n. 21 del 2012 della Corte costituzionale.

Considerato che il Tribunale di Agrigento dubita, in riferimento agli articoli 24, primo e secondo comma, e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 2-bis, comma 6-bis, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), «nella parte in cui consente di attivare la procedura di prevenzione patrimoniale nei confronti di un soggetto deceduto prima della formulazione della richiesta», e dell’articolo 2-ter, comma 11, della medesima legge n. 575 del 1965;

che ad avviso del giudice a quo nel caso di procedimento instaurato nei confronti degli eredi di un soggetto deceduto «non è fisicamente possibile la partecipazione diretta del soggetto al procedimento», né, alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul processo contumaciale, i principi del giusto processo e, in particolare, il diritto al contraddittorio, possono ritenersi rispettati «dalla partecipazione al giudizio di un eventuale difensore del de cuius»;

che l’instaurazione del procedimento di applicazione della misura patrimoniale nei confronti degli eredi implicherebbe «necessariamente una valutazione dei profili di pericolosità sociale ed illecita origine dei beni che non si riferiscono ai soggetti chiamati ad intervenire nel procedimento, bensì ad un soggetto che è deceduto e, dunque, che non può più intervenirvi», sicché, in violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, «il giudizio viene formulato con riferimento ad una persona che non può parteciparvi ed i suoi effetti vengono a prodursi su soggetti che, a loro volta, sono sì chiamati a partecipare al procedimento, ma sono totalmente estranei a qualunque valutazione che li riguardi»;

che gli eredi si troverebbero in «una posizione processuale del tutto peculiare, poiché essi si debbono difendere “come se” fossero il de cuius, non essendo sufficiente ad escludere il provvedimento ablatorio la dimostrazione degli elementi di fatto che costituiscono le normali difese dei terzi interessati, che possono dimostrare che il bene si trova nella loro piena disponibilità e non in quella del proposto, o che lo hanno acquistato in buona fede»;

che, in via preliminare, deve rilevarsi l’inammissibilità dell’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

che infatti l’ordinanza di rimessione è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, del 4 aprile 2012 e l’atto di intervento è stato depositato il 3 maggio 2012, oltre il termine stabilito dall’art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, al quale la giurisprudenza di questa Corte riconosce natura perentoria (ex plurimis, sentenza n. 81 del 2012);

che, sempre in via preliminare, deve rilevarsi che successivamente alla deliberazione dell’ordinanza di rimessione (21 giugno 2011, mentre il deposito è intervenuto il 29 settembre 2011), è stato emanato il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), che ha abrogato la legge n. 575 del 1965 (art. 120, comma 1, lettera b) e all’art. 18 – inserito nel Titolo II (Le misure di prevenzione patrimoniali) del Libro I (Le misure di prevenzione) – riproduce, con alcune variazioni lessicali, le disposizioni censurate;

che, a norma dell’art. 117, comma 1, del citato d.lgs. n. 159 del 2011, la nuova normativa non trova applicazione nel caso in esame, perché al momento della sua entrata in vigore era «già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione»;

che il riferimento contenuto nell’ordinanza di rimessione alla violazione dell’art. 24, primo comma, Cost. non è accompagnato da alcuna motivazione sulla relativa questione e che perciò questa è manifestamente inammissibile;

che la censura relativa all’art. 2-bis, comma 6-bis, della legge n. 575 del 1965, «nella parte in cui consente di attivare la procedura di prevenzione patrimoniale nei confronti di un soggetto deceduto prima della formulazione della richiesta» (secondo la specificazione contenuta nel dispositivo) è manifestamente infondata;

che, nell’esaminare un’analoga questione sollevata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, relativa al solo art. 2-ter, comma 11, della legge n. 575 del 1965, questa Corte nella sentenza n. 21 del 2012 ha rilevato che nel procedimento in esame parti sono i «successori a titolo universale o particolare» del «soggetto nei confronti del quale [la confisca] potrebbe essere disposta», e non quest’ultimo, sicché sono «del tutto prive di fondamento le argomentazioni volte a riferire le ipotizzate violazioni del diritto di difesa e del principio del contraddittorio al soggetto deceduto e non ai suoi successori, senza dire dell’erroneità dell’attribuzione ad una persona defunta della titolarità di una posizione processuale propria»;

che le altre censure del rimettente ruotano intorno a un nucleo comune, rappresentato dal riferimento, per un verso, alla mancata partecipazione «personale» – «fisicamente» impossibile – del soggetto «destinatario del giudizio», ossia del «soggetto nei confronti del quale [la confisca] potrebbe essere disposta», e, per altro verso, all’instaurazione del procedimento nei confronti dei successori, ossia di soggetti «totalmente estranei» a qualsiasi valutazione che li riguardi;

che si tratta di censure infondate perché «al successore sono assicurati, nel procedimento in questione, i mezzi probatori e i rimedi impugnatori previsti per il de cuius, sicché ciò che può mutare è solo il rapporto di conoscenza che lega il successore stesso ai fatti oggetto del giudizio e in particolare, nella specie, a quelli integranti i presupposti della confisca» (sentenza n. 21 del 2012), la cui disciplina però non è oggetto della questione in esame, che investe, oltre al già menzionato comma 6-bis dell’art. 2-bis, il comma 11 dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 e, dunque, solo la «possibilità di procedere nei confronti dei successori, prevista dalla disposizione censurata» (sentenza n. 21 del 2012);

che la tesi del rimettente circa il vulnus al diritto di difesa e al principio del contraddittorio che deriverebbe da un giudizio «formulato con riferimento ad una persona che non può parteciparvi» è viziata «dall’impropria sovrapposizione dei connotati del procedimento penale a quelli del procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale» (sentenza n. 21 del 2012);

che è erroneo l’ultimo rilievo del rimettente, secondo il quale gli eredi si troverebbero in «una posizione processuale del tutto peculiare, poiché essi si debbono difendere “come se” fossero il de cuius, non essendo sufficiente ad escludere il provvedimento ablatorio la dimostrazione degli elementi di fatto che costituiscono le normali difese dei terzi interessati, che possono dimostrare che il bene si trova nella loro piena disponibilità e non in quella del proposto, o che lo hanno acquistato in buona fede»;

che secondo il rimettente, dunque, gli eredi non potrebbero difendersi «dimostrando che il bene non è nella disponibilità indiretta del proposto (che è uno dei presupposti imprescindibili dell’ablazione reale)»;

che questa asserzione, riferita ai beni pervenuti ai successori prima del decesso del «soggetto nei confronti del quale [la confisca] potrebbe essere disposta», non è fondata, in quanto non sussiste alcuna ragione giuridica per escludere che, allo scopo di impedire la confisca, i successori possano far valere i propri diritti legittimamente acquisiti e, dunque, il fatto che i beni da confiscare neanche indirettamente appartenevano al de cuius;

che, pertanto, la qualità di successore non preclude la possibilità di far valere il proprio autonomo diritto sul bene oggetto della proposta di confisca, sicché anche sotto questo profilo la questione è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2-bis, comma 6-bis, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), «nella parte in cui consente di attivare la procedura di prevenzione patrimoniale nei confronti di un soggetto deceduto prima della formulazione della richiesta», e dell’articolo 2-ter, comma 11, della medesima legge n. 575 del 1965 sollevata, in riferimento all’articolo 24, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Agrigento con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2-bis, comma 6-bis, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), «nella parte in cui consente di attivare la procedura di prevenzione patrimoniale nei confronti di un soggetto deceduto prima della formulazione della richiesta», e dell’articolo 2-ter, comma 11, della medesima legge n. 575 del 1965 sollevata, in riferimento agli articoli 24, secondo comma, e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Agrigento con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2012.