ORDINANZA N. 92
ANNO 2012
Commento alla decisione di
Daniela Morgante
Il principio di copertura finanziaria nella recente giurisprudenza costituzionale
(per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), promosso dalla Corte d’appello di Brescia nel procedimento vertente tra il Comune di Spino d’Adda e l’Immobiliare Cà Nova s.r.l. ed altri, con ordinanza del 30 maggio 2011, iscritta al n. 194 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visti l’atto di costituzione del Comune di Spino d’Adda, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
uditi l’avvocato Claudio Linzola per il Comune di Spino d’Adda e l’avvocato dello Stato Maurizio Di Carlo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con ordinanza depositata il 30 maggio 2011, la Corte d’appello di Brescia ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui – sostituendo l’art. 3, comma 99, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) – ha fissato in quindici giorni, anziché in sessanta giorni, il termine, decorrente dalla comunicazione dell’amministrazione finanziaria, per l’esercizio del diritto di prelazione da parte del Comune previsto dal comma 113 del medesimo art. 3;
che la Corte rimettente premette che il comma 99 dell’art. 3 della legge n. 662 del 1996, come sostituito dall’art. 14, comma 12, della legge n. 449 del 1997, stabilisce che «i beni immobili ed i diritti reali immobiliari appartenenti allo Stato non conferiti nei fondi di cui al comma 86, possono essere alienati dall’Amministrazione finanziaria quando il loro valore di stima, determinato sulla base del miglior prezzo di mercato, non superi i 300 milioni di lire, a trattativa privata, ovvero, per importi superiori, mediante asta pubblica e, qualora quest’ultima vada deserta, mediante trattativa privata»;
che la medesima disposizione prevede, altresì, che, nel caso di vendita a trattativa privata, l’amministrazione finanziaria debba «informare della determinazione di vendere e delle relative condizioni il comune dove il bene è situato», al fine di consentire l’esercizio del diritto di prelazione previsto dal comma 113 del medesimo art. 3, soggiungendo che «L’esercizio del diritto da parte del comune deve avvenire entro i quindici giorni successivi al ricevimento della comunicazione»;
che, nella fattispecie oggetto del giudizio a quo, il Ministero delle finanze – Dipartimento del territorio aveva indetto il 18 novembre 1998 un’asta pubblica per la vendita di un terreno sito in Comune di Spino d’Adda, appartenente al patrimonio disponibile dello Stato;
che, essendo andata deserta l’asta, il 26 giugno 2000 il Ministero aveva pubblicato un avviso di vendita del bene a trattativa privata, nel quale si precisava che l’aggiudicazione non avrebbe potuto considerarsi definitiva, rimanendo condizionata all’eventuale esercizio del diritto di prelazione spettante agli enti territoriali, ai sensi dell’art. 3, comma 113, della legge n. 662 del 1996 e dell’art. 14 della legge n. 449 del 1997; prelazione da esercitare «entro quindici giorni successivi al ricevimento della comunicazione» da parte dell’ufficio procedente, «mediante specifica delibera consigliare»;
che il 28 luglio 2000 il bene era stato aggiudicato a una società, quale migliore offerente, fatto salvo il suddetto diritto di prelazione;
che il Ministero aveva dato, quindi, comunicazione al Comune di Spino d’Adda dell’avvenuta aggiudicazione il 1° agosto 2000;
che, con delibera del 7 agosto 2000, la Giunta comunale di Spino d’Adda aveva espresso la volontà di esercitare il diritto di prelazione;
che la società aggiudicataria aveva, peraltro, contestato l’idoneità di detta delibera allo scopo, in quanto emessa da organo incompetente, dovendo l’esercizio del diritto di prelazione essere deliberato dal Consiglio comunale;
che, a fronte di ciò, il Consiglio comunale di Spino d’Adda, con atto del 26 settembre 2000, aveva nuovamente deliberato di procedere all’acquisto del terreno al prezzo di aggiudicazione;
che – contestando l’efficacia anche di tale ulteriore delibera, in quanto intervenuta successivamente alla scadenza del termine previsto dalla norma censurata – la società aggiudicataria aveva convenuto in giudizio il Ministero delle finanze e il Comune di Spino d’Adda, chiedendo che venisse dichiarato l’avvenuto perfezionamento del contratto di vendita tra il Ministero convenuto e la società attrice;
che, con sentenza del 26 maggio 2005, l’adito Tribunale di Brescia aveva accolto la domanda;
che avverso la sentenza aveva proposto appello il Comune di Spino d’Adda, reiterando l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 12, della legge n. 449 del 1997, già disattesa dal giudice di primo grado;
che, ad avviso della Corte rimettente, la questione di legittimità costituzionale prospettata dall’appellante sarebbe rilevante e non manifestamente infondata;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo assume che la norma censurata stabilirebbe, per l’esercizio del diritto di prelazione da parte dell’ente territoriale, «un termine troppo ristretto, che vanifica lo scopo della norma stessa e pregiudica di fatto l’esercizio del diritto»;
che la volontà dell’ente locale di avvalersi della prelazione potrebbe essere, infatti, manifestata unicamente dal Consiglio comunale, posto che gli acquisti immobiliari rientrano tra gli «atti fondamentali» rimessi alla competenza esclusiva di tale organo dall’art. 42 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali);
che nel breve termine di quindici giorni il Comune dovrebbe, d’altra parte, non soltanto convocare il Consiglio, ma anche espletare tutta l’attività preliminare alla relativa deliberazione, verificando la possibilità di copertura della spesa, prevedendo le eventuali modifiche al bilancio e svolgendo una indispensabile indagine di fatto, intesa a valutare la convenienza e l’interesse pubblico all’acquisto;
che la ristrettezza del termine non potrebbe ritenersi giustificata né dall’esigenza di concludere in tempi rapidi il procedimento di dismissione del bene immobile da parte dello Stato, posto che la disciplina di detto procedimento non prevede alcun altro termine acceleratorio, oltre a quello censurato; né dall’avvenuta pubblicazione, in precedenza, dell’avviso di vendita a trattativa privata, trattandosi di adempimento inidoneo a permettere lo svolgimento del procedimento finalizzato all’adozione della delibera del Consiglio comunale, in quanto l’opportunità dell’esercizio del diritto di prelazione può essere valutata solo allorché – a seguito della comunicazione dell’aggiudicazione – siano resi noti il prezzo e le condizioni del contratto nel quale l’ente dovrebbe subentrare;
che la previsione di un termine tanto breve, non imposta da ragioni di urgenza, si porrebbe, dunque, in contrasto con l’art. 97 Cost., in forza del quale il legislatore deve assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione, garantendo alla stessa le condizioni per poter utilmente operare nel pubblico interesse;
che la disposizione censurata violerebbe, altresì, l’art. 3 Cost., prevedendo un termine irrazionalmente più ristretto di quello stabilito in rapporto ad altre ipotesi analoghe di esercizio del diritto di prelazione, previste dall’ordinamento sia in favore dei privati (ad esempio, in tema di contratti agrari, di divisione ereditaria o di locazioni immobiliari); sia – e soprattutto – in favore di enti pubblici, ai quali, proprio in considerazione del maggior tempo del quale gli stessi necessitano per formalizzare la volontà di esercitare il diritto in questione, verrebbe, in generale, accordato un termine di almeno due mesi;
che particolarmente significativo, in proposito, sarebbe il termine di sessanta giorni per l’esercizio del diritto di prelazione nell’acquisto di beni culturali, stabilito dall’art. 61 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 13), sia perché si tratterebbe di istituto sorretto da una ratio analoga a quella della prelazione in esame, sia perché detto termine è previsto non solo a favore dello Stato, ma anche degli enti territoriali (art. 62);
che anche per l’ipotesi che qui interessa il termine dovrebbe essere, dunque, stabilito in sessanta giorni, trattandosi di uno spazio temporale coerente con quello previsto in casi analoghi e idoneo a soddisfare le esigenze dell’ente territoriale, senza dilatare eccessivamente i tempi del procedimento;
che la questione sarebbe, altresì, rilevante nel giudizio a quo, nel quale, da un lato, non risulta contestata la competenza esclusiva del Consiglio comunale a decidere sull’esercizio del diritto di prelazione, e, dall’altro, la delibera del Consiglio comunale di Spino d’Adda – intervenuta tardivamente rispetto al breve termine stabilito dalla norma censurata – risulterebbe viceversa tempestiva ove lo stesso venisse sostituito con quello di sessanta giorni;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità della questione per inesatta identificazione da parte della Corte rimettente delle norme da sottoporre a scrutinio, e ha chiesto, altresì, nel merito, che la questione venga dichiarata infondata;
che si è costituito il Comune di Spino d’Adda, che ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata nei termini indicati nell’ordinanza di rimessione.
Considerato che la Corte d’appello di Brescia dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui – sostituendo l’art. 3, comma 99, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) – ha stabilito in quindici giorni, anziché in sessanta giorni, il termine, decorrente dalla comunicazione dell’amministrazione finanziaria, entro il quale il Comune può esercitare il diritto di prelazione previsto dal comma 113 del citato art. 3, nell’ambito del procedimento di dismissione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari appartenenti allo Stato;
che, ad avviso della Corte rimettente, la disposizione censurata violerebbe il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, sancito dall’art. 97 della Costituzione, in quanto prevederebbe un termine manifestamente inadeguato per difetto, avuto riguardo ai tempi necessari per la convocazione del Consiglio comunale – unico organo competente a deliberare l’esercizio del diritto di prelazione – e per lo svolgimento dell’attività istruttoria preliminare alla delibera, impedendo, così, all’amministrazione municipale di «operare utilmente nel pubblico interesse»;
che risulterebbe, inoltre, violato l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento rispetto ad analoghe ipotesi di esercizio del diritto di prelazione riconosciuto ad enti pubblici, e particolarmente alla prelazione in materia di acquisito dei beni culturali disciplinata dagli artt. 61 e 62 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 13), prelazione per il cui esercizio è previsto un più congruo termine di sessanta giorni;
che la questione è manifestamente inammissibile;
che il giudice a quo sottopone, infatti, a scrutinio l’art. 3, comma 99, della legge n. 662 del 1996, nel testo risultante a seguito della sostituzione operata dall’art. 14, comma 12, della legge n. 449 del 1997;
che, peraltro, prima ancora della pubblicazione dell’avviso della vendita a trattativa privata che ha originato il giudizio a quo (pubblicazione avvenuta, secondo quanto riferisce la Corte rimettente, il 26 giugno 2000), il citato art. 3, comma 99, della legge n. 662 del 1996 era già stato oggetto di una ulteriore, integrale sostituzione ad opera dell’art. 4, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (finanziaria 2000)», in vigore dal 1° gennaio 2000;
che, a seguito di tale ulteriore novella legislativa, la norma in discussione non prevede più il censurato termine di quindici giorni, ma demanda, senza ulteriori specificazioni, la determinazione delle «modalità di esercizio» del diritto di prelazione previsto dal comma 113 dell’art. 3 agli appositi programmi di alienazione dei beni immobili dello Stato, definiti dal Ministro competente;
che successive disposizioni – posteriori, peraltro, alla vicenda oggetto del giudizio a quo: in particolare, i commi 436 e 437 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», poi sostituiti dall’art. 2, comma 223, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (finanziaria 2010)» – nel regolare le procedure di dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato, hanno nuovamente previsto un termine di quindici giorni per l’esercizio del diritto di prelazione da parte degli enti territoriali, identificandone, tuttavia, in modo diverso la data di decorrenza (in base all’art. 1, comma 437, della legge n. 311 del 2004, come sostituito dalla novella del 2009, detto termine decorre, in specie, «dal ricevimento della determinazione a vendere comunicata dall’Agenzia del demanio prima dell’avvio delle procedure»);
che la Corte rimettente non fa, tuttavia, alcun riferimento alle ricordate modifiche normative – e, in particolare, a quella operata dall’art. 4, comma 3, della legge n. 488 del 1999 – omettendo correlativamente di chiarire per quali ragioni ritenga applicabile, nel giudizio a quo, una disposizione che, non soltanto alla data dell’ordinanza di rimessione, ma già all’epoca dell’esercizio del diritto di prelazione di cui si discute, risultava sostituita da altra priva della previsione della cui legittimità costituzionale si dubita;
che tale onere motivazionale non viene meno a fronte della circostanza – riferita dal giudice a quo – che nell’avviso di vendita il Ministero delle finanze avesse indicato in quindici giorni, a decorrere dalla comunicazione dell’ufficio procedente, il termine per l’esercizio del diritto di prelazione da parte degli enti territoriali, citando specificamente anche l’art. 14 della legge n. 449 del 1997: è evidente, infatti, che il mero (e non motivato) riferimento dell’amministrazione finanziaria a una disciplina normativa già in precedenza sostituita non esclude che il rimettente debba verificare se detta disciplina sia realmente operante in rapporto al caso di specie, esplicitandone, nel caso di conclusione affermativa, i motivi;
che, pertanto ‒ indipendentemente dall’ulteriore eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato e a prescindere, altresì, da ogni rilievo in ordine al merito della questione, sia per quanto attiene alla pretesa impossibilità, per il Comune, di esercitare il diritto di prelazione nel termine in discussione, sia per quel che concerne la discrezionalità, che al legislatore va riconosciuta, nel bilanciamento tra i diversi interessi coinvolti nelle procedure di cui si tratta (quello dello Stato al conseguimento di risorse finanziarie, quello del Comune a beneficiare la comunità territoriale e quello dell’aggiudicatario alla certezza del proprio acquisto) – l’omessa verifica dell’incidenza delle ricordate modifiche legislative, risolvendosi in una insufficiente ponderazione del quadro normativo e in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione sollevata, contempla la manifesta inammissibilità di quest’ultima (ex plurimis, ordinanze n. 341 del 2011 e n. 76 del 2010).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Brescia con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2012.