ORDINANZA N. 25
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunto dall’art. 35, comma 7, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, promosso dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di H.N., con ordinanza del 10 marzo 2011, iscritta al n. 201 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.
Ritenuto che, con ordinanza del 10 marzo 2011, il Tribunale di Torino, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunto dall’art. 35, comma 7, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, «limitatamente alle omissioni […] relative all’anno 2005»;
che il giudice a quo rileva come la norma denunciata punisca con la pena indicata dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 chiunque non versa, nei limiti ivi previsti, l’imposta sul valore aggiunto (IVA), dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo;
che, alla luce della disciplina tributaria concernente tale versamento in acconto – e, in particolare, dell’art. 6, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 405, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1991)» – il reato in esame si consuma, quindi, nel mese di dicembre (segnatamente, il 27 dicembre) dell’anno successivo a quello cui si riferisce l’imposta dovuta: sicché, in pratica, il soggetto che, in base alla dichiarazione annuale, risulti debitore per IVA in misura superiore a 50.000 euro (costituente la soglia di punibilità prevista dal richiamato art. 10-bis), fruirebbe di un termine di dodici mesi per corrispondere il tributo, al fine di non incorrere in responsabilità penale;
che, con riferimento all’imposta dovuta per l’anno 2005, detto termine risulterebbe, di contro, assai più breve: essendo stata la norma incriminatrice introdotta dal decreto-legge n. 223 del 2006 – entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione (4 luglio 2006) e non recante alcuna disposizione transitoria relativa alla fattispecie criminosa in questione – il contribuente avrebbe avuto, infatti, a disposizione, per eseguire il versamento, solo il periodo intercorrente tra luglio e dicembre 2006;
che la norma censurata si porrebbe, di conseguenza, in contrasto con il principio di eguaglianza, in quanto punirebbe allo stesso modo due condotte differenti: vale a dire, tanto quella di chi ometta il versamento dell’IVA per l’anno 2005, avendo a disposizione solo il più ristretto termine dianzi indicato; quanto quella di chi ometta il versamento dell’imposta per gli anni successivi, fruendo dell’ordinario termine annuale;
che la questione sarebbe, altresì, rilevante nel giudizio a quo, nel quale l’imputato è chiamato a rispondere del reato previsto dalla norma censurata proprio per avere omesso il pagamento dell’IVA dovuta, in base alla dichiarazione annuale, per l’anno 2005, per un importo di euro 79.177;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per oscurità del petitum e insufficiente motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza, o, comunque, manifestamente infondata nel merito.
Considerato che la questione di legittimità costituzionale, oggetto dell’odierno scrutinio, è identica – anche nel tenore letterale delle argomentazioni di supporto – a quella precedentemente sollevata dallo stesso Tribunale di Torino e decisa da questa Corte con ordinanza n. 224 del 2011;
che le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura dello Stato non sono fondate, conformemente a quanto già deciso con la citata ordinanza in rapporto ad eccezioni omologhe;
che quanto, infatti, all’asserita oscurità del petitum, deve rilevarsi come dal tenore del dispositivo e della motivazione dell’ordinanza di rimessione emerga, in realtà, in modo sufficientemente chiaro che il giudice a quo chiede a questa Corte una pronuncia che escluda l’applicabilità della norma incriminatrice censurata all’omesso versamento dell’IVA relativa all’anno 2005;
che neppure è ravvisabile il denunciato difetto di motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza: il rimettente motiva, infatti, adeguatamente la prima, riferendo che all’imputato nel giudizio principale è contestato il reato di omesso versamento dell’IVA proprio in relazione all’anno di imposta 2005, per un importo superiore alla soglia di punibilità prevista, ed enuncia in modo parimenti chiaro la ragione che, a suo avviso, renderebbe la norma censurata contrastante, in parte qua, col parametro costituzionale evocato (ossia il fatto che vengano sottoposti alla medesima pena soggetti che fruiscono di un termine sensibilmente differenziato per eseguire il versamento di imposta penalmente rilevante);
che la questione – se pure ammissibile – è, tuttavia, manifestamente infondata nel merito;
che, con la citata ordinanza n. 224 del 2011, questa Corte ha, infatti, rilevato come, in base alla propria costante giurisprudenza, non contrasti, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo costituisce un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche;
che, di conseguenza, la circostanza che – in base alla ricostruzione operata dal giudice a quo – per ragioni collegate alle meccaniche di entrata in vigore della norma incriminatrice, il debitore di IVA per l’anno 2005 venga a disporre, al fine di eseguire il versamento – o, meglio, per decidere se effettuarlo o meno con la consapevolezza che la sua omissione avrà conseguenze penali (essendo il pagamento doveroso, in base alla normativa tributaria, già prima e indipendentemente dall’introduzione della nuova incriminazione) – di un termine minore di quello accordato ai contribuenti per gli anni successivi, non può ritenersi, di per sé, lesiva del parametro costituzionale evocato;
che, d’altro canto, il termine di oltre cinque mesi e mezzo (dal 4 luglio 2006 al 27 dicembre 2006), riconosciuto al soggetto in questione (in luogo dei quasi dodici mesi “ordinari”), non può ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia talmente breve da pregiudicare o da rappresentare, di per sé, un serio ostacolo all’adempimento;
che, correlativamente, neppure può considerarsi lesivo del principio di eguaglianza il fatto che la norma censurata sottoponga allo stesso trattamento sanzionatorio soggetti che fruiscono di termini comunque differenti per il versamento idoneo ad evitare la responsabilità penale;
che al legislatore è, infatti, consentito includere in uno stesso paradigma punitivo una pluralità di fattispecie diverse per struttura e disvalore, spettando, in tali casi, al giudice far emergere la differenza tra le varie condotte tramite la graduazione della pena nell’ambito della forbice edittale, nella specie sufficientemente divaricata a tal fine (da sei mesi a due anni di reclusione);
che, non essendo stati prospettati argomenti nuovi e ulteriori rispetto a quelli già esaminati, anche l’odierna questione va, dunque, dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunto dall’art. 35, comma 7, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 febbraio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2012.