ORDINANZA N. 3
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 2-bis, 3, 4 e 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010, ed iscritto al n. 104 del registro ricorsi 2010.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 novembre 2011 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010 e iscritto al n. 104 registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1, 2-bis, 3, 4 e 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, degli artt. 4, numeri 1, 3 e 8, e 79 e del Titolo VI del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol), e dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento);
che, ad avviso della ricorrente, l’art. 9, commi 1 (il quale stabilisce che per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti delle pubbliche amministrazioni non può superare il trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010), 2-bis (il quale dispone che dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale delle amministrazioni pubbliche non può superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio), 3 (il quale stabilisce che nei confronti dei titolari di incarichi di livello dirigenziale generale delle amministrazioni pubbliche non si applicano le disposizioni normative e contrattuali che autorizzano la corresponsione, a loro favore, di una quota dell’importo derivante dall’espletamento di incarichi aggiuntivi) e 4 (che – con disposizione espressamente applicabile ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge – stabilisce che i rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico per il medesimo biennio non possono determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento), del decreto-legge n. 78 del 2010 costituiscono norme di coordinamento finanziario e si pongono conseguentemente in contrasto con l’art. 79 dello statuto speciale, il quale in più punti precisa che la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è sottratta alle misure di coordinamento finanziario che valgono per le altre Regioni (sarebbero violati, in particolare, il comma 1, che fa riferimento «alle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale», il comma 2, il comma 3, terzo periodo, ed il comma 4, primo periodo del predetto art. 79);
che, in via subordinata, la ricorrente afferma che sarebbero lese le competenze regionali di cui all’art. 4, numeri 1, 3 e 8 (in quanto ogni limitazione di spesa si traduce in una limitazione delle possibili scelte organizzative a disposizione della Regione, degli enti locali e delle camere di commercio) e al Titolo VI dello statuto, poiché i commi 1, 2-bis, 3 e 4 dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 impongono limiti a minute voci di spesa e fissano le specifiche modalità di contenimento di esse;
che, prosegue la difesa regionale, le predette disposizioni contrasterebbero anche con l’art. 117, terzo comma, Cost., eccedendo dai limiti della competenza legislativa statale di principio nella materia del coordinamento della finanza pubblica;
che, inoltre, le norme in questione violerebbero l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, in quanto sarebbero direttamente applicabili in materie di competenza regionale primaria ai sensi dell’art. 4, numero 1 («ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto»), numero 3 («ordinamento degli enti locali») e numero 8 («ordinamento delle camere di commercio»), dello statuto speciale, e in contrasto con il Titolo VI dello stesso statuto speciale che tutela l’autonomia finanziaria della Regione;
che, secondo la ricorrente, ove invece si volesse applicare l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), sussisterebbe lesione dell’art. 117, terzo comma (che prevede la competenza concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica»), e dell’art. 117, quarto comma (che riserva alla competenza residuale regionale la materia dell’«organizzazione regionale»), Cost.;
che la Regione ricorrente censura anche l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce che, a decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici, le università e gli enti pubblici di cui all’art. 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009 e che, per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio di cui all’art. 70, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), non può essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009;
che, al riguardo, la Regione sostiene che il predetto comma 28, a dispetto della clausola di salvaguardia contenuta nel suo terzo periodo (e secondo la quale «Le disposizioni di cui al presente comma costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le Regioni, le province autonome, e gli enti del Servizio sanitario nazionale»), applica anche alla ricorrente le misure di contenimento della spesa da esso dettate, in violazione dell’art. 79 dello statuto speciale;
che, ad avviso della ricorrente, sussisterebbe, in subordine, lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., perché le disposizioni contenute nell’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 non hanno natura di norme di principio, né possono diventarlo per la definizione di cui al terzo periodo sopra riportato, ma sono tali da non lasciare alcun margine di manovra alla Regione;
che la difesa regionale aggiunge che la limitata clausola di salvaguardia di cui al terzo periodo dell’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 non solo non vale a far salva la legittimità costituzionale della disposizione in relazione alla Regione ed in genere al sistema regionale, ma è ulteriormente illegittima in quanto, non comprendendo gli enti locali e le camere di commercio, implica la diretta applicazione a tali enti dei limiti posti dal comma 28 stesso;
che, a detta della Regione, il predetto comma 28 sarebbe illegittimo anche sotto questo profilo, perché, incidendo sull’autonomia organizzativa degli enti locali e delle camere di commercio, detta norme direttamente applicabili in materie di competenza della Regione (art. 4, numeri 3 e 8, del d.P.R. n. 670 del 1972), in violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992;
che nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
che, preliminarmente, la difesa dello Stato eccepisce la tardività del ricorso proposto contro norme già contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010, non modificate in sede di conversione e, quindi, in ipotesi immediatamente lesive;
che, nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che il predetto decreto-legge è stato adottato nel pieno di una grave crisi economica internazionale, al fine di assicurare la stabilità finanziaria del Paese nella sua interezza e le disposizioni in esso contenute, pertanto, devono essere esaminate nel loro complesso, poiché ognuna sorregge le altre al fine di raggiungere le finalità di stabilizzazione e di rilancio economico ed esse trovano fondamento nei principi fondamentali della solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.), dell’uguaglianza economica e sociale (art. 3, secondo comma, Cost.), dell’unitarietà della Repubblica (art. 5 Cost.) e della responsabilità internazionale dello Stato (art. 10 Cost.), nonché in quelli correlati del concorso di tutti alle spese pubbliche (art. 53 Cost.), della pari dignità (art. 114 Cost.), del fondo perequativo (art. 119 Cost.), della tutela dell’unità giuridica ed economica (art. 120 Cost.) e degli altri doveri espressi dagli articoli da 41 a 47, 52 e 54 della Costituzione;
che l’Avvocatura generale dello Stato sostiene che erroneamente la ricorrente ha affermato che, per essa, l’unico modo per concorrere alla tutela del patto di stabilità sarebbe la stipulazione dell’accordo previsto dall’art. 79, comma 3, dello statuto speciale, disposizione che invece si riferisce alle misure amministrative da adottare per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, non a quelle legislative, regolate dal successivo comma 4 dello stesso art. 79;
che la difesa dello Stato aggiunge che la modifica dell’art. 79 del d.P. R. n. 670 del 1972 introdotta dalla legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), afferisce principalmente all’attuazione del federalismo fiscale, sulla base di quanto stabilito dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), concernente il concorso degli enti ad autonomia speciale al perseguimento degli obiettivi di perequazione e solidarietà, mentre le misure di contenimento della spesa pubblica previste dal decreto-legge n. 78 del 2010 sono rivolte a fronteggiare la contingente situazione di crisi economico-finanziaria e l’esclusione della loro applicabilità agli enti ad autonomia speciale pregiudicherebbe il conseguimento degli obiettivi del predetto decreto-legge;
che, inoltre, ad avviso del resistente, in situazioni di straordinaria necessità ed urgenza, potrebbe derogarsi anche alle procedure statutarie in ragione dell’esigenza di salvaguardare la salus rei publicae e in applicazione dei principi costituzionali fondamentali della solidarietà economica e sociale, dell’unità della Repubblica e della responsabilità internazionale dello Stato;
che il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che le disposizioni contenute nell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 concernono la spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni, vale a dire uno degli aggregati di spesa più consistenti e di rilevanza strategica ai fini dell’attuazione del piano di stabilità interno, con conseguente sottrazione di tali disposizioni da ogni censura di interesse regionale, anche perché si tratta di norme non permanenti, ma transitorie;
che, infine l’Avvocatura generale dello Stato ricorda che, con la sentenza n. 151 del 2010, questa Corte ha stabilito che la disciplina del rapporto di pubblico impiego è riconducibile alla materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva statale;
che, in data 9 novembre 2011, la Regione TrentinoAlto-Adige/Südtirol ha depositato atto di rinuncia al ricorso;
che, con atto depositato all’udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha accettato la rinuncia.
Considerato che la rinuncia al ricorso accettata dalla controparte costituita determina, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’estinzione del giudizio.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’estinzione del giudizio.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2012.