ORDINANZA N. 237
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Oristano nel procedimento penale a carico di B. A. con ordinanza del 20 dicembre 2010, iscritta al n. 29 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visti l’atto di costituzione di B. A. nonchè l’atto di intervento della Regione Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 2011 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
uditi gli avvocati Luigi Marcialis per B. A., Paolo Stella Richter e Massimo Luciani per la Regione Sardegna.
Ritenuto che, con ordinanza depositata il 20 dicembre 2010, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Oristano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, 117 e 118 della Costituzione e all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo);
che il giudice a quo premette di essere investito di una richiesta di sequestro preventivo, proposta dal pubblico ministero nei confronti di una persona sottoposta ad indagini, in qualità di committente, per il reato previsto dall’art. 44, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia);
che all’indagata si addebita, in particolare, di avere iniziato opere di ristrutturazione edilizia, finalizzate a ricavare tre appartamenti in luogo dei due esistenti al piano attico di uno stabile condominiale sito nel Comune di Oristano, con incremento di volume e di superficie coperta – ottenuto mediante l’abbattimento di parte della muratura perimetrale e la sua ricostruzione in modo da inglobare la superficie occupata dalle terrazze – in violazione degli indici di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici comunali;
che, ad avviso del rimettente, il fumus commissi delicti si desumerebbe dalla comunicazione della notizia di reato del 23 novembre 2010 e dal verbale del sequestro dell’opera, eseguito dalla polizia municipale il 3 novembre 2010 (sequestro i cui effetti erano decaduti, donde la nuova richiesta del pubblico ministero);
che, in relazione ai lavori edili in questione, la persona sottoposta alle indagini aveva presentato una dichiarazione di inizio attività (nel prosieguo, «DIA»), ai sensi degli artt. 2 e 10 della legge reg. Sardegna n. 4 del 2009, senza peraltro attendere lo spirare del termine di trenta giorni, previsto dall’art. 23 del d.P.R. n. 380 del 2001, prima di iniziare le opere;
che l’art. 2 della citata legge regionale consente, «anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali, l’adeguamento e l’incremento volumetrico dei fabbricati ad uso residenziale, di quelli destinati a servizi connessi alla residenza e di quelli relativi ad attività produttive, nella misura massima, per ciascuna unità immobiliare, del 20 per cento della volumetria esistente, nel rispetto delle previsioni di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia) e successive modifiche ed integrazioni»;
che l’art. 10 della medesima legge regionale stabilisce, a sua volta, al comma 3, che gli interventi in questione «sono assoggettati alla procedura di denuncia di inizio attività (DIA), ad eccezione di quelli ricadenti nella zona omogenea A, nelle zone omogenee E ed F localizzate nella fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori, per i quali deve essere ottenuta la concessione edilizia»;
che, peraltro, il comma 4-bis dell’art. 49 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha sostituito la dichiarazione di inizio attività – disciplinata dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) – con la segnalazione certificata di inizio attività (di seguito, «SCIA»), introducendo un modulo procedimentale che non prevede l’osservanza di alcun termine prima dell’inizio dell’attività oggetto di segnalazione;
che, a fronte di ciò, la circostanza che, nella specie, i lavori fossero iniziati prima della scadenza del termine previsto dall’art. 23 del d.P.R n. 380 del 2001 resterebbe – secondo il giudice a quo – ormai priva di rilievo, in quanto il committente sarebbe legittimato ad eseguire i lavori già con la presentazione della DIA, ora sostituita dalla SCIA: il che impedirebbe di ravvisare nella condotta dell’indagata il reato di cui alla lettera b) dell’art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, «sub specie di esecuzione di interventi in mancanza di concessione/D.I.A.»;
che nell’informativa della polizia municipale si evidenzia, tuttavia, la difformità del progetto dalle previsioni degli strumenti urbanistici e, in particolare, dall’indice di fabbricabilità dell’area, perché con i lavori si aumenterebbe la cubatura di un lotto che ha già esaurito la propria capacità edificatoria;
che ciò implicherebbe la configurabilità del reato contemplato dalla lettera a) del citato art. 44, se non fosse per la possibilità di deroga agli strumenti urbanistici prevista dalla norma regionale censurata;
che il rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale di tale disposizione sotto plurimi profili;
che la disposizione stessa violerebbe, anzitutto, l’art. 117 Cost. e l’art. 3, primo comma, dello Statuto speciale della Regione Sardegna, in quanto, autorizzando in modo diretto e immediato ampliamenti volumetrici dei fabbricati esistenti, si porrebbe in contrasto con il «sistema della pianificazione», qualificabile come «normativa di principio dell’ordinamento giuridico della Repubblica» e come espressione degli «interessi nazionali»: «sistema» che assegna in modo preminente ai comuni, quali enti locali più prossimi al territorio, la valutazione complessiva degli interessi coinvolti nell’attività urbanistica ed edilizia;
che la norma denunciata lederebbe, altresì, l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto consentirebbe deroghe generalizzate alle previsioni dei piani urbanistici comunali in assenza della valutazione ambientale strategica, imposta dalla direttiva 2001/42/CE del 27 giugno 2001, recepita con decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale);
che risulterebbero violati, ancora, gli artt. 117, sesto comma, ultimo periodo, e 118 Cost., giacché, per effetto della norma sottoposta a scrutinio, i Comuni verrebbero completamente esautorati delle loro competenze in tema di pianificazione urbanistica: materia qualificabile come «funzione fondamentale dei Comuni» e, in quanto tale, oggetto di legislazione esclusiva dello Stato;
che l’art. 2 della legge reg. Sardegna n. 4 del 2009 violerebbe, poi, il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), sotto un triplice profilo: in primo luogo, perché assoggetterebbe alla medesima disciplina situazioni diverse, consentendo aumenti volumetrici tanto nelle zone in cui le esigenze poste a base del cosiddetto «piano casa» sono già state valutate nell’ambito degli ordinari poteri pianificatori dei Comuni, quanto nelle zone in cui detti aumenti rispondono effettivamente a un bisogno collettivo; in secondo luogo, perché creerebbe nel territorio della Regione Sardegna una «zona bianca» sottratta al regime della pianificazione, a differenza del territorio delle altre Regioni che abbiano disciplinato il «piano casa» nel rispetto delle prerogative comunali; in terzo luogo, perché renderebbe lecita in Sardegna una attività edilizia contrastante con gli strumenti urbanistici che, nelle restanti Regioni, è, per contro, penalmente repressa;
che la norma censurata si porrebbe, da ultimo, in contrasto con gli artt. 25 e 117 Cost., per lesione della competenza esclusiva dello Stato in materia penale, in quanto determinerebbe una restrizione dell’ambito applicativo della norma incriminatrice di cui all’art. 44, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001, depenalizzando tanto gli interventi edilizi non conformi alla pianificazione che il superamento della volumetria massima;
che la questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo, sia perché l’esaurimento della potenzialità edificatoria dell’immobile di cui si discute dipende dalla valutazione della legittimità costituzionale della norma censurata; sia perché – alla luce di quanto dianzi evidenziato, circa gli effetti della sostituzione della DIA con la SCIA – il «rilievo penale della vicenda» non potrebbe ritenersi «assorbito […] nella configurabilità» dell’ipotesi criminosa di cui alla lettera b) dell’art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001;
che, d’altro canto, la giurisprudenza costituzionale ha reiteratamente affermato la rilevanza e l’ammissibilità delle questioni di costituzionalità delle cosiddette «norme penali di favore», in base alla considerazione che il loro accoglimento verrebbe a incidere sulle formule di proscioglimento, sul dispositivo o sul percorso argomentativo che sorregge la decisione adottata nel giudizio principale, o produrrebbe comunque un «effetto di sistema»;
che sussisterebbero, infine, nel caso di specie, le esigenze cautelari, che imporrebbero il sequestro al fine di evitare la prosecuzione di un’attività edificatoria contraria all’ordinamento, in quanto espressione di una norma ritenuta incostituzionale;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuta la Regione Sardegna, in persona del Presidente della Giunta regionale, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità della questione per carente descrizione della vicenda concreta, nonché per insufficiente e incoerente motivazione sulla rilevanza, e chiedendo, altresì, nel merito, che la questione sia dichiarata infondata;
che si è costituita, inoltre, B. A., persona sottoposta alle indagini nel procedimento a quo, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza e per omessa sperimentazione di una interpretazione costituzionalmente orientata e, comunque, respinta nel merito.
Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Oristano dubita, sotto plurimi profili, della legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo): legge attuativa dell’intesa tra Stato, Regioni ed enti locali sul cosiddetto «piano casa», raggiunta il 31 marzo 2009 in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e sancita con deliberazione della medesima Conferenza del 1° aprile 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 aprile 2009;
che, per la parte che qui interessa, la norma censurata consente, «anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali, l’adeguamento e l’incremento volumetrico dei fabbricati ad uso residenziale, di quelli destinati a servizi connessi alla residenza e di quelli relativi ad attività produttive, nella misura massima, per ciascuna unità immobiliare, del 20 per cento della volumetria esistente»;
che, in base all’art. 10, comma 3, della medesima legge regionale n. 4 del 2009, i predetti interventi edilizi – salve alcune eccezioni che qui non vengono in rilievo – possono essere eseguiti sulla base di semplice denuncia di inizio attività (DIA);
che, nella specie, il giudice a quo è chiamato a pronunciarsi su una richiesta di sequestro preventivo proposta nei confronti di una persona che, sulla base delle ricordate disposizioni regionali, aveva iniziato opere di ristrutturazione di due appartamenti, tali da comportare un aumento del numero delle unità immobiliari (da due a tre) e un incremento del volume e della superficie coperta, con superamento degli indici massimi di edificabilità stabiliti dagli strumenti urbanistici comunali;
che dette opere – secondo quanto riferisce il rimettente – erano state, peraltro, iniziate prima del decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della DIA, previsto dall’art. 23 del d.P.R. n. 380 del 2001;
che, ciò premesso, il giudice a quo basa la valutazione di rilevanza della questione sull’assunto che la condotta della persona sottoposta alle indagini non possa reputarsi integrativa della contravvenzione di cui alla lettera b) dell’art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, quale ipotesi di esecuzione di opere edili in assenza del prescritto titolo abilitativo: e ciò in quanto – a seguito della novellazione dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, operata dall’art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 – l’istituto della DIA sarebbe stato sostituito (già prima dei fatti oggetto del procedimento a quo) con quello della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), che non richiede l’osservanza di alcun termine dilatorio prima di dare corso alle opere segnalate;
che solo in conseguenza di ciò verrebbe, quindi, in rilievo – sempre secondo il rimettente – il problema della configurabilità della contravvenzione, meno grave e a carattere residuale, di cui alla lettera a) del citato art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 (che punisce, tra l’altro, le trasformazioni del territorio operate in violazione degli strumenti urbanistici): problema sulla cui soluzione inciderebbe la questione di legittimità costituzionale proposta;
che l’iter argomentativo ora ricordato poggia sul presupposto – implicito e indimostrato – che la neointrodotta disciplina della SCIA trovi generale applicazione – in luogo di quella della DIA – anche nella materia edilizia;
che tale conclusione, già alla data dell’ordinanza di rimessione, era lungi, tuttavia, dal potersi ritenere pacifica;
che, infatti – nonostante la lata previsione del comma 4-ter dell’art. 49 del decreto-legge n. 78 del 2010, in ordine all’ambito di sostituzione del precedente regime col nuovo – si è da più parti sostenuto, sulla scorta di un complesso di argomenti, che la speciale ed autonoma disciplina della DIA, recata dagli artt. 22 e 23 del d.P.R. n. 380 del 2001, non sarebbe stata incisa dalla modifica del generale istituto contemplato dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990;
che, successivamente all’ordinanza di rimessione, è peraltro intervenuto il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, il quale, all’art. 5, comma 2, lettera c), reca una norma di interpretazione autentica, i cui contenuti riflettono, nella sostanza – per la parte che qui interessa – la soluzione ermeneutica già prospettata, in sede di chiarimenti, dal Ministero per la semplificazione normativa (Ufficio legislativo, nota MSN 0001340 del 16 settembre 2010);
che, in forza di detta norma di interpretazione autentica, le nuove disposizioni in tema di SCIA debbono ritenersi applicabili, bensì, anche alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal d.P.R. n. 380 del 2001, ma «con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire»; le medesime disposizioni, inoltre, debbono interpretarsi nel senso che esse «non sostituiscono la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell’articolo 22, comma 4, del citato decreto, abbiano ampliato l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del medesimo decreto e nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale»;
che, nella specie, è lo stesso rimettente che – col presupporre che la DIA richiesta per l’esecuzione degli interventi edilizi in discussione resti astrattamente soggetta alla disciplina penalistica di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001 – mostra di ritenere che essa rientri fra le ipotesi di DIA alternativa o sostitutiva del permesso di costruire (si veda, al riguardo, il comma 2-bis del citato art. 44, in riferimento agli artt. 22, comma 3, lettera a, e 10, comma 1, lettera c);
che, in tale prospettiva – alla stregua della sopravvenuta norma di interpretazione autentica (dotata, in quanto tale, di efficacia retroattiva) – dovrebbe, peraltro, escludersi che la DIA in parola sia stata, in realtà, sostituita dalla SCIA;
che, in ogni caso, compete al rimettente verificare se la motivazione in ordine alla rilevanza della questione, prospettata nell’ordinanza di rimessione, resti o meno valida alla luce del novum normativo;
che va, dunque, disposta la restituzione degli atti al giudice a quo, per una nuova valutazione riguardo alla rilevanza della questione alla luce del mutato quadro normativo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Oristano.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 luglio 2011.
F.to:
Paolo Maria NAPOLITANO, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2011.