ORDINANZA N. 157
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), promosso dal Giudice di pace di Torino nel procedimento vertente tra C. D. e la compagnia assicuratrice U. P. con ordinanza del 30 novembre 2009, iscritta al n. 224 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti gli atti di costituzione di C. D. e della U. P. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi gli avvocati Angelo Massimo Perrini e Fabrizio Cassella per C. D., Alessandro Pace e Giulio Ponzanelli per la compagnia di assicurazioni U. P. e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con ordinanza del 30 novembre 2010, il Giudice di pace di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private) nella parte in cui, prevedendo un risarcimento del danno biologico basato su rigidi parametri fissati da tabelle ministeriali, non consentirebbe di giungere ad un’adeguata personalizzazione del danno, per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 76 della Costituzione;
che il rimettente riferisce che C. D., con atto di citazione notificato il 26 marzo 2009, ha convenuto in giudizio la compagnia di assicurazioni U. P., chiedendo il risarcimento dei danni patiti, quale terzo trasportato, a seguito di incidente stradale verificatosi il 31 gennaio 2008;
che, secondo il giudice a quo, la norma impugnata sembrerebbe difficilmente compatibile con il combinato disposto degli artt. 3 e 32 Cost., perché se la salute è un bene dell’individuo e tutti gli individui sono uguali, non si comprenderebbe la ragione per cui una stessa lesione debba essere risarcita in modo diverso a seconda che derivi da una caduta da un motorino piuttosto che da un cavallo;
che, inoltre, se l’intento del legislatore era stato quello di impedire le disparità di trattamento derivanti da diversi orientamenti giurisprudenziali, le stesse non sarebbero state eliminate, permanendo in tutti quei casi in cui il danno alla salute sia derivato da un fattore estraneo alla circolazione dei veicoli;
che vi sarebbe, altresì, una violazione dell’art. 2 Cost. per la fissazione di un limite al risarcimento del danno alla persona senza un adeguato contemperamento degli interessi in gioco, dal momento che il legislatore non potrebbe stabilire che la vittima di un illecito aquiliano non possa pretendere più di una somma predeterminata a titolo di risarcimento, indipendentemente dall’effettiva consistenza del pregiudizio subito;
che, a fronte della rigida limitazione risarcitoria imposta al danneggiato, questi non ottiene alcun vantaggio nei confronti del responsabile o del suo assicuratore;
che non pare, poi, ragionevole sostenere che l’interesse all’esercizio dell’attività assicurativa possa essere ritenuto preminente su quello all’integrale risarcimento del danno alla persona;
che la norma impugnata sarebbe in contrasto altresì con l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto ad identici danni corrisponderebbero risarcimenti diseguali, dato che i valori risarciti in base alle tabelle ministeriali sarebbero inferiori rispetto a quelli delle tabelle adottate dai tribunali agli stessi fini;
che, inoltre, nell’ambito dei giudizi per il risarcimento di danni alla persona da circolazione stradale, si potrà avere una situazione anche più complessa in quanto la procedura di risarcimento prevista dall’art. 149 del d.lgs. n. 209 del 2005 si affianca, senza sostituirla obbligatoriamente, a quella ordinaria, nel senso che al danneggiato è consentito agire sia contro la propria compagnia assicuratrice che contro il responsabile del danno, il che comporta risultati economici diversi, visto che, nel primo caso, la liquidazione del danno sarebbe vincolata ai parametri della tabella ministeriale e nel secondo caso si avrebbe invece una liquidazione con i più favorevoli valori tabellari in uso presso i vari tribunali, con evidenti e irragionevoli disparità di trattamento a seconda del soggetto che venga evocato in giudizio;
che, peraltro, la possibilità – prevista dal comma 3 della norma impugnata – per il giudice di aumentare di un quinto l’ammontare del danno biologico non è, comunque, sufficiente a coprire la reale entità del danno;
che vi sarebbe, pertanto, anche una irragionevole compressione del diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale, con conseguente violazione dell’art. 24 Cost.;
che, infine, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 76 Cost., per la previsione di un limite al risarcimento non previsto dalla legge delega 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. – Legge di semplificazione 2001);
che, quanto alla rilevanza della questione, osserva il rimettente che, nel caso di specie, l’assicuratore ha precisato di aver valutato il danno alla persona patito dall’attore nella misura di un danno biologico dell’1,5%, una invalidità temporanea massima di 10 giorni, una invalidità temporanea minima di 15 giorni, e che a queste conclusioni l’attore ha aderito;
che si tratta di vertenza nella quale non si sono poste discussioni sulla responsabilità, non contestata dall’assicuratrice, ma si discute essenzialmente sull’entità del danno risarcibile, che la società assicuratrice ha valutato secondo i parametri dell’art. 139 senza tenere conto del danno morale transeunte né delle condizioni soggettive dell’infortunato, le quali, ove considerate, avrebbero consentito un’offerta di maggior importo in forza dell’aumento del quinto previsto dalla norma;
che l’attuale domanda non potrebbe essere esaminata nella sua completezza ove si dovessero applicare i criteri previsti dall’art. 139, che impedirebbero di procedere ad una adeguata valutazione del danno o, meglio, ad una sua personalizzazione ai sensi dell’art. 2059 cod. civ.;
che è evidente, secondo il giudice a quo, l’interesse della parte ad una pronuncia sulla legittimità costituzionale di detta norma, che, ove confermata, impedirebbe una valutazione adeguata della sua domanda, negando, comunque, una personalizzazione del suo danno quale da essa richiesta, che potrebbe quindi non venire integralmente risarcito;
che si è costituito il danneggiato C.D. chiedendo l’accoglimento della questione, precisando di aver rifiutato – perché ritenuta non pienamente satisfattoria – l’offerta risarcitoria da parte dell’assicuratore e di aver conseguentemente proseguito il giudizio, per ottenere l’integrale risarcimento dei danni alla persona patiti, non conseguibile sulla base della normativa vigente;
che si è costituita la società assicuratrice U. P. chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata;
che, secondo la società, l’ordinanza sarebbe inammissibile poiché in essa si afferma in termini apodittici la rilevanza della questione, senza però darne effettivamente conto;
che non è esplicitato quale sia il credito risarcitorio astrattamente ritenuto corretto dal giudice a quo e quale sia l’importo che egli potrebbe accordare applicando le tabelle ministeriali;
che, inoltre, il giudice remittente articola le proprie osservazioni in punto di rilevanza sulla scorta delle tabelle ministeriali in vigore al 30 novembre 2009, senza tenere conto del decreto del Ministro delle attività produttive del 27 maggio 2010 (Aggiornamento annuale degli importi per il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) che ha innalzato gli importi dovuti dall’assicuratore, con la conseguenza che, allo stato, non è chiaro se l’importo risultante dall’applicazione delle tabelle ministeriali aggiornate sia ancora difforme da quello che il giudice di pace avrebbe ritenuto giusto per il caso di specie;
che non esiste un diritto costituzionale all’integrale risarcimento del danno, come sarebbe dimostrato dalla sentenza n. 132 del 1985 che non ha ritenuto illegittima la limitazione del risarcimento del danno in caso di incidente aereo prevista dall’art. 1 della legge 19 maggio 1932, n. 841 (Approvazione della Convenzione per l’unificazione di alcune regole relative al trasporto aereo internazionale stipulata a Varsavia il 12 ottobre 1929) e dall’art. 2 della legge 3 dicembre 1962, n. 1832 (Ratifica ed esecuzione del Protocollo che apporta modifiche alla Convenzione del 12 ottobre 1929 per l’unificazione di alcune regole relative al trasporto aereo internazionale, firmato all’Aja il 28 settembre 1955), nella parte in cui danno esecuzione all’art. 22/1 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, come sostituito dall’art. XI del Protocollo dell’Aja del 28 settembre 1955;
che un aspetto essenziale, del tutto pretermesso dal giudice remittente, concernerebbe, poi, proprio la stessa ragion d’essere delle tabelle ministeriali, le quali furono espressamente congegnate dal legislatore per impedire che ciascun giudice adottasse un proprio criterio puramente discrezionale;
che il giudice remittente incorrerebbe, altresì, nell’errore di comparare fra loro sistemi risarcitori (le tabelle ministeriali e quelle dei tribunali) destinati a regolare situazioni diverse, una delle quali, la circolazione stradale, è appunto trattata diversamente già dallo stesso legislatore per le peculiarità di tollerata pericolosità che la connotano;
che, inoltre, il giudice a quo pretenderebbe di ravvisare un contrasto non fra due norme, ma tra l’art. 139 del d.lgs. n. 209 del 2005 e una giurisprudenza di volta in volta oscillante;
che è di tutta evidenza, infine, come non possa ravvisarsi alcuna violazione dell’art. 24 Cost., in quanto la norma impugnata non precluderebbe l’accesso alla giustizia;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata;
che l’inammissibilità deriverebbe dal difetto di rilevanza della questione sollevata, dal momento che la parte attrice ha chiesto il risarcimento del danno alla persona quale terzo trasportato, con la conseguenza che la procedura di risarcimento applicabile alla fattispecie è quella definita dall’art. 148 del d.lgs. n. 209 del 2005, secondo quanto espressamente previsto all’art. 141 del medesimo decreto;
che, infatti, l’azione diretta descritta al successivo art. 149 non si applica al risarcimento del danno subito dal terzo trasportato, secondo quanto è stabilito al comma 2 della medesima norma, con la conseguente inammissibilità delle argomentazioni che si leggono nell’ordinanza e che, a detta del remittente, confermerebbero la presunta «irragionevolezza della scelta legislativa», non essendo stato esaminato il complessivo sistema normativo e, quindi, verificato se il meccanismo previsto dal citato art. 141, applicabile nella vicenda in esame, assicuri una liquidazione commisurata all’effettiva entità del danno subito da parte attrice;
che non è utilmente richiamata la previsione di cui all’art. 2 Cost., che ha riguardo ai diritti inviolabili dell’individuo, dal momento che un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco potrebbe tutt’al più venire in considerazione in relazione all’art. 3 Cost.; ma che detto parametro non risulta violato se si considera che l’intervento legislativo ha la chiara finalità di regolare un ambito soggettivo che, specie nel caso di liquidazione per lesioni fisiche di piccola entità, sarebbe altrimenti soggetto a una discrezionalità eccessiva;
che, analogamente, il fatto che l’intervento legislativo sia limitato al campo dell’infortunistica da veicoli e natanti trova evidente giustificazione nella frequenza delle lesioni micropermanenti in quel perimetro di casistica;
che l’art. 3 Cost. non potrebbe dirsi violato neppure con riferimento al principio di personalizzazione del danno, atteso che altro è la personalizzazione in assenza di ogni criterio legale di liquidazione, altro è un sistema normativo che consente, in via generale, un’omogeneità di valutazione del pregiudizio;
che, con memoria depositata il 1° marzo 2011, C.D. afferma che la mancanza nell’ordinanza di rimessione di un esplicito conteggio matematico non pare inficiare l’autosufficienza della stessa e insiste per l’accoglimento della questione;
che, con memoria depositata il 1° marzo 2011, la compagnia di assicurazioni U. P. afferma che l’ISVAP (Istituto per la vigilanza per le assicurazioni private e di interesse collettivo) ha segnalato l’opportunità di interventi normativi volti ad estendere il sistema di liquidazione del danno non patrimoniale per via di tabelle predefinite al fine di eliminare l’attuale incertezza giurisprudenziale e insiste per la dichiarazione di inammissibilità, o in subordine di infondatezza, della questione;
che, con memoria depositata il 1° marzo 2011, l’Avvocatura generale dello Stato afferma che il principio di doverosa ed equa tutela del danneggiato e della sua salute va conciliato con il carattere peculiare dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per la circolazione stradale, che, in funzione della socializzazione del rischio e del danno, trasferisce sulla comunità degli assicurati il conseguente onere, e insiste per la dichiarazione di inammissibilità, o, in subordine, di infondatezza della questione.
Considerato che il Giudice di pace di Torino dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private) nella parte in cui prevede un risarcimento del danno biologico per lesioni di lievi entità, basato su rigidi parametri fissati da tabelle ministeriali, per violazione: a) dell’art. 3 della Costituzione, perché, da un lato, non consentirebbe di giungere ad un’adeguata personalizzazione del risarcimento che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto e, dall’altro, perché ad identici danni corrisponderebbero risarcimenti diseguali, dato che i valori risarciti in base alle tabelle ministeriali sarebbero inferiori rispetto a quelli delle tabelle adottate dai tribunali agli stessi fini; b) dell’art. 2 Cost., per la fissazione di un limite al risarcimento del danno alla persona senza un adeguato contemperamento degli interessi in gioco, non essendo ragionevole che l’interesse all’esercizio dell’attività assicurativa possa essere ritenuto preminente su quello all’integrale risarcimento del danno alla persona; c) dell’art. 24 Cost., per l’irragionevole compressione del diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale derivante dalla rigida predeterminazione dei criteri di calcolo per il risarcimento del danno; d) dell’art. 76 Cost., per la previsione di un limite al risarcimento non previsto dalla legge delega 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. – Legge di semplificazione 2001);
che nell’ordinanza di rimessione è da rilevare una insufficiente descrizione della fattispecie concreta che non consente un’adeguata valutazione dell’effettiva rilevanza della questione, dal momento che il remittente, nel lamentarsi del fatto che la norma impugnata non consente l’integrale risarcimento del danno non patrimoniale subito dal danneggiato, non indica l’età di quest’ultimo (art. 139, comma 1, lettera a), non spiega quale danno ha subito, non indica quale decreto ministeriale intenda applicare (art. 139, comma 5), non enuncia l’entità del risarcimento del danno che sarebbe liquidato facendo applicazione del d.m. rilevante, non chiarisce se tale importo sia aumentabile di un quinto (art. 139, comma 3), non enuncia le ragioni per cui tale somma non sarebbe sufficiente malgrado tale aumento, non esplicita, infine, quale somma sarebbe corretta per risarcire completamente il danno alla persona;
che siffatte omissioni, impedendo, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, di verificare la rilevanza della questione proposta, in relazione alla peculiarità della fattispecie, rendono la questione stessa manifestamente inammissibile.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 139 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 24 e 76 della Costituzione, dal Giudice di pace di Torino, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2011.