ORDINANZA N. 59
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso dal Tribunale per i minorenni di Roma sull’istanza proposta dal Pubblico ministero presso il Tribunale per i minorenni con ordinanza del 30 ottobre 2009, iscritta al n. 171 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.
Ritenuto che il Tribunale per i minorenni di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 10, secondo comma, 30, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui «non prevede che, prima di eseguire l’espulsione, l’autorità procedente debba chiedere il nulla osta al Tribunale per i minorenni quando destinatario del provvedimento espulsivo sia il genitore di un minore nei confronti del quale il Tribunale ha emesso provvedimento incidente sulla potestà ai sensi degli artt. 330 e 333 del codice civile»;
che, in punto di fatto, il giudice a quo è investito di un’istanza del Pubblico ministero volta ad ottenere l’apertura di un procedimento di verifica della potestà genitoriale, ai sensi degli artt. 330 e 333 cod. civ., nei confronti di Q.M.S.C., cittadina filippina e madre del minore V.B.S.;
che il medesimo Tribunale in data 22 maggio 2007 aveva emesso un decreto con il quale veniva disposta, ai sensi del citato art. 333 cod. civ., la limitazione della potestà genitoriale di Q.M.S.C. e il conseguente inserimento del figlio minore in una casa famiglia con il contestuale incarico ai servizi sociali di favorire la relazione tra quest’ultimo e la madre;
che, successivamente, a causa di una condanna per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), Q.M.S.C. è stata dapprima detenuta presso la Casa Circondariale di Rebibbia e poi trasferita al locale Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE), ove ha ricevuto la notifica del decreto di espulsione ai sensi dell’art. 13, commi 2, 4 e 5, del citato d.lgs. n. 286 del 1998 «con contestuale ordine di trattenimento nel CIE, per indisponibilità al momento del vettore aereo e per necessità di procedere ad accertamenti supplementari sull’identità e la nazionalità»;
che, a seguito di ciò, la Questura di Roma informava il Tribunale della condizione di detenzione amministrativa della donna e, dopo aver accertato, attraverso i servizi sociali, la presenza del minore, chiedeva il nulla osta all’espulsione della straniera;
che il Pubblico ministero, nell’atto introduttivo del giudizio principale, ha dunque domandato che venisse valutata la possibilità di ricongiungimento con la madre, pervenendo successivamente la notizia dell’esecuzione del provvedimento di espulsione, mentre il figlio minore è rimasto in Italia;
che, in punto di diritto, il rimettente premette che, alla luce dell’attuale quadro normativo, il Tribunale minorile non ha «alcun potere in ordine all’esecuzione del provvedimento espulsivo», essendo richiesto il nulla osta all’autorità giudiziaria, ai sensi del citato art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 solo «quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trovi in stato di custodia cautelare in carcere»;
che, ad avviso del giudice a quo, in «tutti i casi in cui, come quello attuale» si procede all’esecuzione dell’espulsione nei confronti di un cittadino non comunitario, la cui potestà «sia stata in precedenza incisa da un provvedimento giudiziale di limitazione o ablazione», il Tribunale per i minorenni si troverebbe dinanzi «ad un’alternativa che in ogni caso» sembrerebbe risultare in contrasto con i richiamati principi costituzionali;
che, in particolare, se il Tribunale dovesse consentire il ricongiungimento del minore al genitore, in applicazione dell’art. 19, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 286 del 1998, a norma del quale è sancito il diritto del minore a seguire il genitore o l’affidatario espulsi, «inevitabilmente» si esporrebbe «il figlio al rischio del ripetersi proprio di quelle condizioni di pregiudizio che sono all’origine della pronuncia limitativa della potestà» che, come nel caso di specie, «non sono effettivamente cessate»;
che ciò comporterebbe, a parere del giudice a quo, una violazione dei «diritti inviolabili dell’uomo, in particolare della persona in formazione del minore», previsti dall’art. 2 della Costituzione, di cui lo Stato ha il dovere di assicurare la tutela se i genitori si trovano in situazione di perdurante incapacità, ex art. 30, secondo comma, della Costituzione;
che, al riguardo, il Tribunale rimettente richiama gli artt. 8 e 37-bis della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), dai quali discende «il dovere dell’autorità giudiziaria nazionale di accertare la condizione di abbandono del minore presente sul territorio nazionale non diversamente da quanto stabilito nel caso di minore cittadino italiano»; dovere previsto anche dalla relativa normativa europea (in particolare, si cita l’art. 15 del Regolamento CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale);
che, a parere del giudice a quo, «diversi ed inevitabili motivi di conflitto con i precetti costituzionali» si potrebbero configurare anche qualora il Tribunale dovesse decidere di trattenere il minore sul territorio nazionale con conseguente separazione dal genitore espulso, risultando tale decisione in contrasto con gli artt. 10, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione;
che, al riguardo, il rimettente premette che «nel caso di espulsione la cesura del rapporto tra genitore e figlio, trattenuto sul territorio nazionale», si configurerebbe come «sostanzialmente irreversibile», considerato che l’art. 13, comma 14, del d.lgs. n. 286 del 1998 imporrebbe il divieto di reingresso per la madre per dieci anni; periodo quest’ultimo che costituisce, nella specie, «quasi l’intero arco della minore età del figlio»;
che, ad avviso del giudice a quo, una «conseguenza tanto radicale» risulterebbe pertanto in contrasto con l’art. 10, secondo comma, della Costituzione, «in quanto confliggente con gli obblighi derivanti all’Italia dall’adesione» alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino, adottata a New York il 20 novembre 1989 (ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176), e, in particolare, con l’art. 9, a norma del quale gli Stati sono tenuti a fare in modo che il bambino non sia separato dai suoi genitori contro la sua volontà, a meno che le autorità non decidano che questa separazione risulti necessaria nell’interesse superiore del minore;
che, sempre secondo il rimettente, la disposizione impugnata risulterebbe, altresì, in contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), come interpretato dalla Corte di Strasburgo;
che, in particolare, richiamata la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di tutela della vita familiare, la norma sarebbe incostituzionale in quanto l’espulsione determinerebbe «la separazione del genitore dal figlio senza che il provvedimento amministrativo di espulsione abbia pertinenza alcuna con la relazione personale che lega il genitore al figlio» ed impedirebbe al genitore, in modo definitivo, di partecipare personalmente al procedimento giudiziale che incide sull’esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui al citato art. 8;
che, ad avviso del rimettente, solo l’accoglimento della sollevata questione potrebbe risolvere il contrasto con gli indicati principi costituzionali, posto che la deroga contenuta nell’art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, che consente al Tribunale di autorizzare, in situazioni particolari e per un periodo di tempo determinato, la permanenza o il reingresso del familiare del minore, non costituirebbe un efficace rimedio;
che, infatti, il suddetto provvedimento è soggetto ad una iniziativa di parte e, anche in presenza di quest’ultima, può non ricorrere, nel caso di istanza del genitore espulso, il presupposto della sussistenza per il minore dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, non escludendo, comunque, l’autorizzazione al reingresso la rottura del rapporto tra genitore e figlio, di fatto già avvenuta con l’espulsione;
che il rimettente ritiene che la sollevata questione di legittimità costituzionale abbia «rilevanza decisiva» nel giudizio principale, «certamente prima che l’espulsione fosse eseguita, risultando, se fondata, idonea a sospenderla, non di meno anche dopo l’esecuzione dell’espulsione stessa», considerato che qualora la Corte ritenesse infondati i dubbi di costituzionalità prospettati «altra soluzione non potrebbe adottare il Tribunale che l’apertura di un procedimento ai sensi dell’art. 8 della legge 4 maggio 1983, n. 184, dovendo a quel punto configurarsi il provvedimento espulsivo come causa di forza maggiore certamente non transitoria tenendo conto appunto della durata decennale del divieto di reingresso»;
che, con atto depositato in data 6 luglio 2010 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità, ovvero per l’infondatezza della questione;
che, in particolare, secondo la difesa dello Stato, la questione sollevata dal Tribunale rimettente sarebbe priva di rilevanza nel giudizio a quo, poiché è stata già data esecuzione al provvedimento di allontanamento della straniera, e che l’eventuale modifica dell’art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 non potrebbe neanche esplicare i suoi effetti «sul diverso piano», prospettato dal rimettente, «di consentire un reingresso della straniera espulsa», poiché la procedura di reingresso non sarebbe regolata dalla citata disposizione;
che, nel merito, secondo la difesa dello Stato, il d.lgs. n. 286 del 1998 contiene «un’adeguata disciplina di tutela dei minori stranieri e della famiglia»;
che, in particolare, secondo l’Avvocatura, il rimettente avrebbe omesso «di valutare correttamente» il disposto dell’art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, il quale stabilisce che «in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età del minore e delle condizioni di salute del minore che si trova sul territorio italiano, il Tribunale per i minori può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico [d.lgs. n. 286 del 1998]»;
che, ad avviso della difesa dello Stato, la predetta norma costituirebbe «già di per sé strumento idoneo e sufficiente»; strumento che avrebbe potuto essere utilizzato dal medesimo Tribunale rimettente per consentire il reingresso del genitore «per un periodo determinato», coincidente con il tempo necessario per la «definizione del procedimento pendente relativo all’esercizio della potestà genitoriale».
Considerato che il Tribunale per i minorenni di Roma dubita, in riferimento agli artt. 2, 10, secondo comma, 30, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui «non prevede che, prima di eseguire l’espulsione, l’autorità procedente debba chiedere il nulla osta al Tribunale per i minorenni quando destinatario del provvedimento espulsivo sia il genitore di un minore nei confronti del quale il Tribunale ha emesso provvedimento incidente sulla potestà ai sensi degli artt. 330 e 333 del codice civile»;
che, ad avviso del rimettente, ogni qualvolta si procede all’esecuzione dell’espulsione nei confronti di un cittadino non europeo, la cui potestà «sia stata in precedenza incisa da un provvedimento giudiziale di limitazione o ablazione», il Tribunale per i minorenni si troverebbe dinanzi ad «un’alternativa» che risulterebbe in contrasto con gli artt. 2, 10, secondo comma, 30, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione;
che, in particolare, se il Tribunale dovesse consentire il ricongiungimento del minore al genitore, in applicazione dell’art. 19, comma 2, lett. a), del citato d.lgs. n. 286 del 1998, «inevitabilmente» si esporrebbe «il figlio al rischio del ripetersi proprio di quelle condizioni di pregiudizio che sono all’origine della pronuncia limitativa della potestà», con la conseguente violazione dei «diritti inviolabili» del minore a tutela del quale, ai sensi dell’art. 30, secondo comma, della Costituzione, è attribuito allo Stato il compito di intervenire affinché «siano […] assolti i compiti dei genitori in tutti i casi di loro perdurante incapacità», anche qualora si trattasse di un minore straniero;
che, a parere del giudice a quo, «diversi ed inevitabili motivi di conflitto con i citati precetti costituzionali» si potrebbero configurare, anche qualora il Tribunale dovesse decidere di trattenere il minore sul territorio nazionale, con la conseguente separazione dal genitore espulso;
che, in particolare, il Tribunale ritiene che la disposizione censurata violerebbe l’art. 10, secondo comma, della Costituzione in quanto risulterebbe «confliggente con gli obblighi derivanti all’Italia dall’adesione» alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino, adottata a New York il 20 novembre 1989 (ratificata a resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176), e, specificamente, con l’art. 9, a norma del quale gli Stati sono tenuti a fare in modo che il bambino non sia separato dai suoi genitori contro la sua volontà, a meno che le autorità non decidano che questa separazione risulti necessaria nell’interesse superiore del minore;
che essa, inoltre, violerebbe l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), perché, nella medesima ipotesi di trattenimento del minore nel territorio nazionale, l’espulsione del genitore determinerebbe la separazione «dal figlio senza che il provvedimento amministrativo di espulsione abbia pertinenza alcuna con la relazione personale che lega il genitore al figlio» ed impedirebbe al genitore, in modo definitivo, di partecipare personalmente al procedimento giudiziale finalizzato alla ricomposizione del rapporto genitoriale;
che il rimettente chiede una pronuncia additiva con la quale si attribuisca al Tribunale per i minorenni la competenza a rilasciare il nulla osta all’espulsione ogniqualvolta il destinatario del provvedimento di allontanamento sia il genitore di un minore, nei confronti del quale il Tribunale abbia emesso un provvedimento limitativo della potestà genitoriale ai sensi degli artt. 330 e 333 del codice civile;
che il giudizio a quo ha per oggetto l’apertura di un procedimento civile di verifica della potestà genitoriale nei confronti di una cittadina filippina, madre di un minore;
che la questione sollevata dal Tribunale è priva di rilevanza nel giudizio principale, in quanto, a prescindere dalla circostanza, affermata dal medesimo rimettente, che il provvedimento di espulsione nei confronti della straniera è stato già eseguito, di talché anche l’eventuale accoglimento della questione di legittimità costituzionale sarebbe privo di effetti, il Tribunale, chiamato a verificare l’esercizio della potestà genitoriale, non deve fare applicazione della disposizione censurata ai fini della definizione del procedimento a quo;
che, pertanto, la questione deve ritenersi manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 10, secondo comma, 30, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione dal Tribunale per i minorenni di Roma con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 9 febbraio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 2011.