ORDINANZA N. 371
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 4 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, promosso dal Tribunale ordinario di Napoli nel procedimento vertente tra il Consorzio unico di bacino delle Province di Napoli e Caserta – Articolazione territoriale Ce/2 (già Consorzio GEDECO s.p.a.) e la Di Gennaro s.p.a., con ordinanza del 1° dicembre 2009, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Napoli in composizione monocratica, con ordinanza del 1° dicembre 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, per violazione dell’articolo 103, primo comma, della Costituzione;
che il giudice remittente premette che il ricorrente Consorzio unico di bacino delle Province di Napoli e Caserta «Articolazione Territoriale Ce/2 (già Consorzio GEOECO s.p.a»), aveva convenuto in giudizio la Di Gennaro s.p.a. proponendo opposizione a decreto ingiuntivo;
che, in particolare, a sostegno dell’opposizione si eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice adito;
che il decreto ingiuntivo era stato chiesto e concesso in relazione al servizio di conferimento dei rifiuti ingombranti, rifiuti tessili e plastica;
che, secondo il Tribunale, la norma impugnata – attribuendo tutte le controversie, comunque attinenti alla complessiva gestione dei rifiuti, ivi comprese quelle nascenti da comportamenti, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – impedirebbe al Tribunale stesso di decidere la controversia;
che, per quanto attiene alla rilevanza della questione sollevata, il giudice a quo sottolinea come l’applicazione della disposizione censurata, ai fini della risoluzione della questione, «debba ritenersi pacifica, essendo la data del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo successiva alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 90 del 2008»; né rileverebbe che il contratto è stato concluso molti anni prima, in ragione del principio, consacrato nell’art. 5 del codice di procedura civile, per cui il momento determinativo della giurisdizione è fissato con riguardo alla stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda;
che nell’ordinanza di remissione si sottolinea, altresì, come la controversia oggetto del giudizio rientrerebbe nell’ambito applicativo della norma censurata, e dunque nella giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che la pretesa di pagamento trarrebbe origine da crediti insoluti conseguenti all’espletamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti sanitari;
che, dopo avere ritenuto applicabile la disposizione suddetta, il remittente osserva che, nel caso in esame, non sarebbe possibile optare per una interpretazione della norma conforme a Costituzione, in quanto «la disposizione censurata non consente che una sola interpretazione (costituzionalmente incompatibile)»; altrimenti «il giudice non opererebbe più nei limiti di una legittima interpretazione conforme, bensì si arrogherebbe un potere (quello di disapplicare una disposizione di legge per l’illegittimità costituzionale della stessa) che non gli compete, vanificando così la predisposizione stessa di un sistema accentrato di costituzionalità»;
che, alla luce di tali rilevi, il remittente ritiene che l’art. 4 in questione avrebbe un carattere onnicomprensivo e generale, operando la devoluzione della giurisdizione al giudice amministrativo per “tutte le controversie” concernenti l’azione di gestione dei rifiuti, sulla base dell’esistenza di un «generico collegamento tra la controversia e l’azione amministrativa di gestione dei rifiuti, vincolo la cui sufficienza è ben evidenziato dall’impiego dell’avverbio “comunque”»;
che, più in particolare, si afferma come la norma in esame si riferisca «a tutte le controversie concernenti l’azione di gestione dei rifiuti posta in essere dalla pubblica amministrazione, senza operare alcuna distinzione o precisazione»;
che, ad avviso del giudice a quo, il richiamo alla «globalità dell’attività della pubblica amministrazione in materia di gestione dei rifiuti», nonché la precisazione che tale attività «rileva anche se posta in essere con comportamenti materiali», renderebbe evidente come la giurisdizione del giudice amministrativo sussista anche qualora l’azione di gestione dei rifiuti sia posta in essere dalla pubblica amministrazione con meri comportamenti materiali, cioè «con comportamenti che non siano riconducibili – nemmeno mediatamente – all’esercizio di poteri autoritativi»;
che, in definitiva, conclude il remittente, l’intenzione del legislatore sarebbe stata quella di attribuire alla cognizione del giudice amministrativo la totalità delle controversie attinenti all’attività posta in essere nel campo della gestione di rifiuti;
che il giudice a quo afferma, inoltre, di non ignorare l’esistenza di un indirizzo giurisprudenziale (è richiamata la sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio, Roma, prima sezione, 18 febbraio 2009, n. 1655), che ha fatto propria una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, secondo cui «sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti seppure posta in essere con comportamenti dell’amministrazione pubblica», purché sussista l’esercizio di un potere pubblico;
che, in questa prospettiva, sarebbero escluse dalla giurisdizione amministrativa le questioni aventi ad oggetto il mero accertamento di diritti di carattere patrimoniale, che non abbiano un’incidenza sull’azione amministrativa di gestione dei rifiuti;
che il remittente afferma di non condividere tale interpretazione, in quanto «una volta appurata l’esistenza di una univoca corrispondenza tra il testo di legge ed il significato che ne è ricavabile, risulta evidente come non sia praticabile una diversa opzione ermeneutica, che distingua in particolare tra controversie attinenti a comportamenti riconducibili all’esercizio dei poteri autoritativi dell’amministrazione (devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) e controversie invece totalmente estranee all’esercizio di poteri pubblici (da ritenere quindi attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario, tra le quali quelle relative all’esecuzione di rapporti contrattuali), atteso che l’attività dell’interprete, in presenza di un inequivoco dato testuale, non può spingersi al punto da stravolgere il significato emergente dal testo normativo»;
che, in relazione alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, nell’ordinanza si sostiene il contrasto della norma censurata con l’art. 103, primo comma, Cost.;
che il giudice a quo sottolinea come questa Corte abbia affermato che tale norma costituzionale non ha conferito al legislatore ordinario un’assoluta e incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha solamente conferito il potere di indicare “particolari materie” rispetto alle quali la cognizione di detto giudice investe anche posizioni di diritto soggettivo; ciò implicherebbe che «la mera partecipazione dell’amministrazione al giudizio o il generico coinvolgimento di un interesse pubblico nella controversia non possono considerarsi di per sé sufficienti a radicare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo» (si richiamano le sentenze n. 191 del 2006 e n. 140 del 2007);
che, alla luce di queste premesse, il remittente ritiene che la norma censurata, fondando un’amplissima devoluzione di materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, devoluzione peraltro sganciata da qualsivoglia collegamento con l’esercizio di poteri autoritativi della pubblica amministrazione e radicata piuttosto sulla mera inerenza della controversia alla complessiva attività di gestione amministrativa di rifiuti, contrasti con il sistema di riparto della giurisdizione contemplato a livello costituzionale;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata;
che la difesa statale osserva, infatti, che il riferimento «alla complessiva azione di gestione dei rifiuti non necessariamente comprende tutto ciò che è relativo o soltanto conseguente a tale azione; anzi, le parole utilizzate fanno propendere per una volontà del legislatore di limitare la devoluzione della potestà giurisdizionale all’azione di gestione dei rifiuti, ove il termine gestione sta a significare la scelta amministrativa di definizione, regolamentazione, trattamento e destinazione dei rifiuti»;
che la difesa dello Stato aggiunge che non sembra esatto «il presupposto argomentativo del remittente; nel senso che il termine “gestione dei rifiuti” non può ricomprendere il pagamento del corrispettivo del contratto di servizio afferente la gestione stessa»;
che la stessa difesa osserva come questa Corte, con la sentenza n. 35 del 2010, abbia confermato quanto sopra esposto, rilevando, in relazione alla norma censurata, che il riferimento in essa contenuto ai comportamenti inerenti l’attività di gestione dei rifiuti deve essere inteso nel senso che vengono in rilievo soltanto i comportamenti costituenti espressione di potere amministrativo.
Considerato che, con ordinanza del 1° dicembre 2009, il Tribunale ordinario di Napoli in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, per violazione dell’articolo 103, primo comma, della Costituzione;
che questa Corte, con la sentenza n. 35 del 2010, scrutinando la stessa norma oggetto del presente giudizio – dopo avere sottolineato come l’art. 103 Cost. imponga che la giurisdizione esclusiva verta su particolari materie in relazione alle quali l’amministrazione pubblica agisce come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi – ha ritenuto che la norma impugnata deve essere interpretata nel senso che l’espressione «comportamenti», in essa contenuta, deve essere intesa nel senso che «quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo e non anche quelli meramente materiali posti in essere dall’amministrazione al di fuori dell’esercizio di una attività autoritativa»;
che l’espressione «azione di gestione dei rifiuti» va logicamente intesa «nel senso che l’attività della pubblica amministrazione deve essere preordinata alla organizzazione o alla erogazione del servizio pubblico di raccolta e di smaltimento dei rifiuti»;
che, di conseguenza, nella controversia all’esame del remittente, venendo in rilievo questioni meramente patrimoniali connesse al mancato adempimento da parte dell’amministrazione di una prestazione pecuniaria nascente da un rapporto obbligatorio, «i comportamenti posti in essere dall’amministrazione stessa non sono ricompresi nell’ambito di applicazione della norma impugnata, come sopra interpretata, e rientrano, invece, nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, nella specie correttamente adita»;
che, del resto, lo stesso decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo), abrogando la norma censurata (art. 4 dell’Allegato 4) − con effetti non incidenti sul giudizio a quo − ne ha riprodotto il contenuto specificando, però, che i comportamenti posti in essere dalla pubblica amministrazione devono essere «riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere» (art. 13, comma 1, lettera p);
che, pertanto, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, sollevata, in riferimento all’articolo 103, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2010.