ORDINANZA N. 335
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, nel procedimento vertente tra “L’isola dei pesci s.a.s. di Liberti Carmine & c.” e l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Casoria, con ordinanza dell’8 ottobre 2009, iscritta al n. 96 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Napoli, nel corso di un procedimento di impugnazione di un avviso di accertamento IVA, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413);
che il collegio rimettente ha fatto presente che la società ricorrente aveva osservato che nell’accertamento non risultavano indicate le fatture ritenute fittizie dall’Ufficio impositore e che, essendo stata tutta la documentazione fiscale, tecnica e amministrativa della società sottoposta a sequestro, su disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nola, essa non era stata in grado di esibire neppure le fotocopie dei documenti occorrenti per l’esercizio del diritto di difesa;
che la ricorrente aveva, pertanto, richiesto la sospensione del giudizio in attesa della definizione del procedimento;
che, secondo il giudice a quo, l’art. 39 del citato d.lgs. n. 546 del 1992 vieta, in generale, la sospensione del processo tributario in caso di contemporanea pendenza di un processo penale il cui esito potrebbe influire sulla decisione, restandone compresso il diritto di difesa, per essere preclusi al giudice tributario gli strumenti processuali consentiti al giudice penale per la verifica dei fatti;
che in forza di tale diversità si sarebbe verificata una disparità di trattamento processuale fra cittadini, dovendosi distinguere fra imputato e contribuente, dal momento che solo quest’ultimo sarebbe sostanzialmente privato del diritto ad accertamenti precisi ed univoci dei fatti portati a conoscenza del giudice tributario, a differenza di quanto accade all’imputato dinanzi ad un giudice fornito di poteri istruttori di accertamento dei fatti, cui si riconoscono precise facoltà processuali di disporre la sospensione del giudizio;
che, inoltre, risulterebbe compresso, in violazione dell’art. 24 Cost., il diritto del contribuente a non essere condannato per un fatto non accertato, non essendo i documenti che potrebbero scagionarlo, o che comunque sarebbero necessari ai fini del giudizio, nella disponibilità del giudice tributario, ma agli atti del processo penale;
che sarebbe ragionevole obbligare la commissione tributaria davanti alla quale pende il ricorso a – o almeno consentirle di – sospendere il processo sino all’esito del giudizio penale anche al di là dei casi tassativamente previsti dalla legge, nella ipotesi in cui si verifichino situazioni processuali analoghe a quella di cui al giudizio a quo;
che nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, per l’infondatezza della questione;
che, sotto il primo profilo, l’autorità intervenuta rileva che una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale della norma censurata non sarebbe idonea a rimuovere l’ostacolo alla sospensione del giudizio costituito dall’articolo 20 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), con conseguente difetto di rilevanza della questione nel giudizio a quo;
che il collegio rimettente non avrebbe valutato la possibilità di esercitare i poteri istruttori previsti dall’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, al fine di ottenere la prova dei fatti mancanti, con conseguente inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza;
che, infine, la norma applicabile nella specie non sarebbe l’art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma l’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000.
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Napoli dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui vieta in generale la sospensione del processo tributario in caso di contemporanea pendenza di un processo penale il cui esito potrebbe influire sulla decisione;
che la norma impugnata si porrebbe in contrasto con l’articolo 3 Cost., per la irragionevole disparità di trattamento processuale che determinerebbe tra l’imputato ed il contribuente, per essere solo quest’ultimo sostanzialmente privato del diritto di poter disporre di accertamenti precisi ed univoci dei fatti portati a conoscenza del giudice tributario; nonché con l’articolo 24 Cost., per la compressione del diritto del contribuente a non essere condannato per un fatto non accertato, non essendo i documenti che potrebbero scagionarlo, o che comunque sarebbero necessari ai fini del giudizio, nella disponibilità del giudice tributario, ma agli atti del processo penale;
che la questione proposta è manifestamente inammissibile per genericità del petitum, non risultando esplicitato in modo inequivocabile né nel dispositivo, né nella parte motivazionale, quale sia il risultato cui tende il collegio rimettente;
che, infatti, mentre in un passaggio dell’ordinanza si fa riferimento alle ipotesi in cui la parte non sia in grado di produrre la documentazione a propria difesa, in quanto nella esclusiva disponibilità del giudice penale che proceda per i medesimi fatti, come nei casi in cui dovrebbe applicarsi la sospensione del processo tributario, in altra parte del percorso argomentativo sembra auspicarsi un ripristino della pregiudiziale tributaria, rilevandosi che la eliminazione della stessa dall’ordinamento priverebbe il cittadino di un elemento certo per la tutela dei suoi diritti nella materia fiscale (sull’inammissibilità della questione per genericità del petitum v., ex plurimis, ordinanze n. 91 del 2010; nn. 269, 243, 187 e 155 del 2009);
che ulteriore ragione di manifesta inammissibilità va ravvisata nella aberratio ictus all’evidenza rilevabile, posto che la norma da censurare va individuata non già in quella denunciata – la cui espunzione dall’ordinamento non farebbe venir meno il divieto ritenuto in contrasto con la Costituzione – ma nell’articolo 20 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’art. 9 della legge 25 giungo 1999, n. 205), il quale fa espresso divieto di sospendere il processo tributario per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento dipende la relativa definizione;
che, inoltre, non è configurabile una soluzione costituzionalmente obbligata della questione sollevata, attesa la molteplicità delle soluzioni adottabili per porre un rimedio al divieto di sospensione (sentenze n. 58 del 2010; n. 266 del 2009);
che, infine, altro profilo di manifesta inammissibilità della questione è riscontrabile nel non avere il giudice a quo motivato sulla rilevanza della stessa, alla stregua della previsione di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, che attribuisce alla commissione tributaria, a fini istruttori, facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 novembre 2010.