Sentenza n. 311 del 2010

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 311

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco                             AMIRANTE                          Presidente

- Ugo                                      DE SIERVO                          Giudice

- Paolo                                    MADDALENA                                "

- Alfio                                    FINOCCHIARO                              "

- Alfonso                                QUARANTA                                    "

- Franco                                  GALLO                                             "

- Luigi                                    MAZZELLA                                     "

- Gaetano                               SILVESTRI                                      "

- Giuseppe                              TESAURO                                        "

- Paolo Maria                          NAPOLITANO                                "

- Giuseppe                              FRIGO                                              "

- Alessandro                           CRISCUOLO                                   "

- Paolo                                    GROSSI                                            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, penultimo comma, della legge 9 dicembre 1985, n. 705 (Interpretazione, modificazioni ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sul riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nel procedimento vertente tra A. T. e l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, con ordinanza del 23 dicembre 2008, iscritta al n. 237 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti l’atto di costituzione di A. T. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 settembre 2010 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi l’avvocato Angelo Clarizia per A. T., l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. — Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (d’ora in avanti T. A. R.), con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 5, penultimo comma, della legge 9 dicembre 1985, n. 705 (Interpretazione, modificazioni ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sul riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), che stabilisce: «I professori collocati in aspettativa, fermo restando quanto previsto dall’articolo 13, quarto comma, mantengono il regime di impegno per il quale hanno optato in precedenza agli effetti della determinazione del trattamento di quiescenza e delle relative incompatibilità; una nuova opzione può essere esercitata al termine del periodo di aspettativa ed ha effetto dall’anno accademico successivo; tuttavia i professori collocati in aspettativa in regime di impegno a tempo pieno possono, allo scadere del biennio di cui al secondo comma dell’art. 11, optare per il regime di impegno a tempo definito».

2. — Il rimettente riferisce che il ricorrente nel giudizio principale, professore ordinario a tempo definito presso la facoltà di economia e commercio dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, è stato collocato in aspettativa, ai sensi dell’art. 13, primo comma, n. 3, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), dal 7 ottobre 2000 al 3 maggio 2006, perché nominato Avvocato generale della Corte di giustizia della CEE (oggi dell’Unione europea), e poi fino al 6 ottobre 2012, in quanto nominato giudice della stessa Corte di giustizia. Aggiunge che il docente ha impugnato la determinazione adottata dall’Università, con la quale gli è stato negato il richiesto passaggio dal regime d’impiego a tempo definito a quello a tempo pieno. A sostegno del provvedimento di diniego l’ente ha richiamato il disposto dell’art. 5 della legge n. 705 del 1985.

Il ricorrente, a sua volta, ha dedotto il proprio interesse all’impugnativa, adducendo i negativi risvolti patrimoniali concernenti la determinazione della base pensionabile e derivanti dalla citata disposizione, in quanto, ai sensi dell’art. 40, primo comma, del d.P.R. n. 382 del 1980, la base pensionabile è correlata al numero degli anni in cui un professore universitario ha esercitato in regime a tempo pieno. Inoltre, ha posto in rilievo che, in pendenza del periodo di aspettativa, sarà collocato fuori ruolo per il compimento del settantesimo anno di età a decorrere dall’anno accademico 2010-2011 e pertanto, ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. n. 312 del 1980, non potrà più esercitare l’opzione a favore del tempo pieno.

Il T. A. R. prosegue osservando che, con l’unico e articolato motivo di doglianza, il docente ha prospettato l’illegittimità costituzionale del citato art. 5 della legge n. 705 del 1985, in forza del quale la determinazione di rigetto è stata adottata, per violazione dell’art. 3 Cost.

A tal fine ha sottolineato che il divieto normativo «viene a concretizzare un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei professori universitari che alla data di collocamento in aspettativa si trovavano in regime di impegno a tempo definito rispetto a quelli che si trovavano, sempre al momento del collocamento in aspettativa, in regime di tempo pieno, atteso che solo a questi ultimi il menzionato art. 5 consente, anche durante il periodo di aspettativa, alla scadenza del biennio di cui al secondo comma dell’art. 11, di optare per il regime di impegno a tempo definito. Ha evidenziato, inoltre, la palese illogicità del ripetuto divieto normativo, il quale rende irreversibile durante il periodo di aspettativa – e nel particolare caso del ricorrente in via definitiva – una determinata scelta di impegno universitario che era stata compiuta precedentemente al collocamento in aspettativa, in un momento in cui non potevano essere valutate compiutamente le conseguenze di tale scelta».

Il rimettente ritiene che i dubbi di costituzionalità espressi dal ricorrente non siano manifestamente infondati e che, quindi, le relative questioni meritino di essere sottoposte alle valutazioni di questa Corte.

La fondatezza di tale conclusione risulterebbe avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dell’art. 13, sesto comma, del d.P.R. n. 382 del 1980, durante il periodo di aspettativa non cessa qualsiasi rapporto di impegno con l’Università di appartenenza, considerato che, in base al testuale disposto della norma, i professori collocati in aspettativa conservano il titolo a partecipare agli organi universitari cui appartengono, con le modalità previste dalla legge, mantengono l’elettorato attivo per la formazione delle commissioni di concorso e per l’elezione delle cariche accademiche ed hanno la possibilità di svolgere cicli di conferenze e di lezioni ed attività seminariali. E’garantita loro, altresì, la possibilità di svolgere attività di ricerca, previa intesa con il consiglio di facoltà e sentito il consiglio d’istituto o di dipartimento, ove istituito, e di accedere ai fondi per la ricerca scientifica.

In tale contesto il Tribunale rimettente osserva che il denunziato divieto, «comportante una illegittima compressione della facoltà di scelta per l’odierno istante, risulta essere in contrasto, per le argomentazioni di cui sopra, con il primo ed il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione».

3. — La parte privata ha depositato, in data 4 settembre 2009, atto di costituzione, concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 5, penultimo comma, della legge n. 705 del 1985, nei termini di cui all’ordinanza del T. A. R. del Lazio.

In prossimità dell’udienza di discussione, poi, ha depositato una memoria illustrativa, insistendo per l’illegittimità costituzionale della norma censurata, nella parte in cui non consente ai professori collocati in aspettativa, in regime di impegno a tempo definito, di optare comunque per il regime di impegno a tempo pieno, alla scadenza del biennio di cui all’art. 11 del d.P.R. n. 382 del 1980. Dopo aver riassunto il giudizio a quo, la parte sintetizza i passi salienti dell’ordinanza di rimessione, la quale ha posto in evidenza come la norma impugnata contrasti con l’art. 3 Cost. sotto un duplice profilo: per ingiustificata disparità di trattamento e per irragionevolezza.

Quanto al primo aspetto, sarebbe evidente che la disposizione dettata dall’art. 5 della legge n. 705 del 1982, consentendo ai professori, collocati in aspettativa obbligatoria in regime di tempo pieno, di optare per il regime a tempo definito, crea un ingiustificato regime di maggior favore per i professori a tempo pieno e comporta una irragionevole discriminazione per i professori a tempo definito, così ingiustamente penalizzati. Quanto al secondo profilo, la disposizione impugnata irragionevolmente consentirebbe ai professori in regime di tempo definito al momento del collocamento in aspettativa di esercitare l’opzione soltanto al termine dell’aspettativa stessa. Di fatto il professore collocato in aspettativa obbligatoria finirebbe per subire il regime nel quale si trovava al momento iniziale di essa, senza aver potuto valutare le conseguenze di tale scelta. Tali profili di illegittimità costituzionale non sarebbero superabili per via interpretativa, onde sarebbe indispensabile una pronuncia di questa Corte che preveda, anche per i professori in regime di tempo definito al momento del collocamento in aspettativa, la possibilità di esercitare l’opzione per il regime di impegno a tempo pieno, allo scadere del biennio di cui all’art. 11 del d.P.R. n. 382 del 1980.

4. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha spiegato intervento nel giudizio di legittimità costituzionale con atto depositato il 20 ottobre 2009, sostenendo che la questione, per come proposta, sarebbe inammissibile o infondata.

Ad avviso della difesa dello Stato, sarebbe lecito dubitare che l’ordinanza di rimessione contenga una valutazione effettiva della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, in quanto il T. A. R. si limiterebbe ad accogliere in modo acritico le eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate dal ricorrente (costituenti l’unico motivo d’impugnazione del provvedimento del rettore), rinviando in forma generica, per la valutazione della loro fondatezza, alla sola circostanza che, in forza dell’art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980, durante il periodo di aspettativa non cesserebbe ogni tipo di rapporto tra il professore e l’Università di appartenenza.

Non sarebbe spiegato, però, perché i momenti di partecipazione del cattedratico in aspettativa all’attività istituzionale della propria Università renderebbero irragionevole e illogico rinviare alla fine del periodo di aspettativa la nuova scelta sul regime di impegno effettivo di quello stesso docente, che aveva inizialmente optato per il regime a tempo definito. Inoltre, l’ordinanza di rimessione non illustrerebbe i profili di non manifesta infondatezza con riguardo all’asserita disparità di trattamento rispetto a chi in origine aveva optato per il regime a tempo indeterminato.

Di qui l’addotta inammissibilità della questione.

Essa, comunque, sarebbe infondata nel merito, non sussistendo le lamentate violazioni dell’art. 3 Cost.

In primo luogo, i due regimi di impegno dei professori, di cui si tratta, sarebbero molto diversi, derivanti da una libera scelta iniziale del docente e tali da giustificare un trattamento differenziato. Invero, alla forma d’impiego a tempo definito sarebbero collegati caratteri di eccezionalità e peculiarità rispetto a quella a tempo pieno, in guisa da determinare una serie di limitazioni e incompatibilità differenti rispetto a quelle previste per l’altra opzione, sicché le due categorie non sarebbero sovrapponibili.

Richiamato il disposto dell’art. 5, penultimo comma, della legge n. 785 del 1985, la difesa dello Stato osserva che la detta norma, dopo aver previsto una disciplina generale applicabile a tutti i professori ordinari collocati in aspettativa (primi due periodi della norma medesima), prevede un’ipotesi eccezionale per il caso in cui il docente in aspettativa sia a tempo pieno. A quest’ultimo è concesso di optare per il tempo definito allo scadere del biennio “minimo”, senza dover attendere la scadenza dell’aspettativa (terzo periodo).

La ratio di tale disposizione derogatoria, ad avviso dell’interveniente, sarebbe quella di realizzare, da un lato, l’interesse del docente a tempo pieno ad ottenere la modifica del regime di impegno e, dall’altro, l’interesse pubblico ad incentivare scelte dei docenti che assicurino risparmi di spesa, considerato che, ai sensi dell’art. 40, primo comma, del d.P.R. n. 382 del 1980, la base pensionabile è commisurata al numero di anni prestati dal professore in regime di tempo pieno.

La differenza di posizione del docente, collocato in aspettativa in regime di tempo definito, sarebbe palese. Per tale ipotesi il legislatore avrebbe ragionevolmente ritenuto, anche nell’ottica del contenimento della spesa pubblica, di non consentire al docente a tempo definito di optare per il tempo pieno, perché durante il periodo di aspettativa la sua prestazione professionale nei confronti dell’Università di appartenenza non potrebbe certo avere un incremento, ma anzi dovrebbe essere contenuta nei limiti previsti dall’art. 13, penultimo comma, del d.P.R. n. 382 del 1980. In sostanza, nessun interesse pubblico degno di tutela sarebbe ravvisabile nella opzione del docente che volesse, in costanza di aspettativa obbligatoria, modificare il proprio regime di impegno da tempo definito a tempo pieno.

In prossimità dell’udienza di discussione l’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria in cui ribadisce e sviluppa gli argomenti addotti nell’atto di intervento.

Considerato in diritto

1. — Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (d’ora in avanti, T. A. R.) dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 5, penultimo comma, della legge 9 dicembre 1985, n. 705 (Interpretazione, modificazioni ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sul riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), in riferimento all’art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione. La norma de qua stabilisce che «I professori collocati in aspettativa, fermo restando quanto previsto dall’art. 13, quarto comma, mantengono il regime di impegno per il quale hanno optato in precedenza agli effetti della determinazione del trattamento di quiescenza e delle relative incompatibilità; una nuova opzione può essere esercitata al termine del periodo di aspettativa ed ha effetto dall’anno accademico successivo; tuttavia i professori collocati in aspettativa in regime di impegno a tempo pieno possono, allo scadere del biennio di cui al secondo comma dell’articolo 11, optare per il regime di impegno a tempo definito».

Il giudice a quo, nel condividere le censure mosse dal ricorrente A. T. (professore universitario ordinario a tempo definito, collocato in aspettativa dal 7 ottobre 2000 fino al 6 ottobre 2012 per le ragioni di cui in narrativa, che si è visto respingere dall’Università la domanda diretta ad ottenere il passaggio al regime a tempo pieno, in base a quanto prescrive la disposizione censurata), ritiene che la normativa in questione realizzi un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei professori universitari che, alla data del collocamento in aspettativa, si trovavano in regime a tempo definito rispetto a quelli che erano in regime a tempo pieno, in quanto soltanto a questi ultimi il menzionato art. 5 consentirebbe di optare per il regime d’impegno a tempo definito. Inoltre, il divieto normativo imposto ai docenti a tempo definito sarebbe palesemente illogico, perché renderebbe irreversibile durante il periodo di aspettativa (e, nel particolare caso del ricorrente, in via definitiva) una scelta d’impegno universitario compiuta prima del collocamento in aspettativa, in un momento in cui le conseguenze di tale scelta non potevano essere valutate compiutamente.

I dubbi sulla legittimità costituzionale della norma sarebbero avvalorati dal rilievo che, durante il periodo di aspettativa, non cessa qualsiasi rapporto di impegno tra il docente e l’Università di appartenenza, come risulta dall’art. 13, sesto comma, del d.P.R. n. 382 del 1980.

Pertanto, il contestato divieto, «comportante un’illegittima compressione della facoltà di scelta per l’odierno istante, risulta essere in contrasto, per le argomentazioni di cui sopra, con il primo ed il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione».

2. — La difesa dello Stato deduce in via preliminare che la questione sarebbe inammissibile, perché il rimettente si limiterebbe «ad accogliere acriticamente le eccezioni di incostituzionalità sollevate dalla difesa del ricorrente (costituenti l’unico motivo di impugnazione del provvedimento rettorale), rinviando genericamente, per la valutazione della loro fondatezza, alla sola circostanza che, sulla base dell’art. 13 del DPR 382/80, durante il periodo di aspettativa non cesserebbe ogni tipo di rapporto tra il professore e l’Università di appartenenza». Non sarebbe spiegato, però, perché questi momenti di partecipazione del docente all’attività istituzionale della propria Università renderebbero irragionevole ed illogico rinviare alla fine del periodo di aspettativa la nuova scelta sul regime di impegno effettivo di quel medesimo docente, che aveva inizialmente optato per il regime a tempo definito. Né sarebbero chiariti i profili di non manifesta infondatezza circa l’asserita disparità di trattamento rispetto al professore che inizialmente aveva optato per il regime a tempo pieno.

L’eccezione non è fondata.

L’ordinanza di rimessione, sia pure ad un livello minimo di sufficienza, dà conto dei motivi che hanno indotto il T. A. R. a sollevare la questione di legittimità costituzionale. Infatti, essa riporta in sintesi gli argomenti addotti dal ricorrente nel giudizio principale a sostegno della denunziata disparità di trattamento, argomenti individuati nel rilievo che soltanto ai docenti in regime di tempo pieno al momento del collocamento in aspettativa è consentito, anche durante tale periodo, di optare per il regime d’impegno a tempo definito, mentre analoga facoltà non è data ai professori che, essendo al momento iniziale dell’aspettativa in regime d’impegno a tempo definito, intendano passare, sempre durante l’aspettativa medesima, all’impegno a tempo pieno. A tale rilievo il rimettente presta adesione, ravvisando in detta disciplina «un’illegittima compressione della facoltà di scelta per l’odierno istante».

Inoltre, il Tribunale amministrativo condivide il presunto carattere illogico del menzionato divieto normativo, perché questo «rende irreversibile durante il periodo di aspettativa – e nel particolare caso del ricorrente in via definitiva – una determinata scelta di impegno universitario che era stata compiuta precedentemente al collocamento in aspettativa, in un momento in cui non potevano essere valutate compiutamente le conseguenze di tale scelta».

Infine, il rimettente ravvisa un ulteriore argomento, a sostegno dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale, nel richiamo all’art. 13, sesto comma, del d.P.R. n. 382 del 1980.

Pertanto, un apparato argomentativo nell’ordinanza di rimessione sussiste, ancorché esposto in forma molto concisa.

3. — La questione, tuttavia, non è fondata.

La norma censurata si articola in tre proposizioni. La prima riguarda tutti i professori collocati in aspettativa, per i quali è previsto il mantenimento del regime d’impegno (a tempo pieno o a tempo definito) da loro in precedenza scelto agli effetti della determinazione del trattamento economico e delle relative incompatibilità. La seconda stabilisce che una nuova opzione può essere esercitata al termine del periodo di aspettativa ed ha effetto dall’anno accademico successivo. La terza introduce un’eccezione a tale principio, dettando la regola che «i professori collocati in aspettativa in regime d’impegno a tempo pieno possono, allo scadere del biennio di cui al secondo comma dell’art. 11, optare per il regime d’impegno a tempo definito».

Pertanto, solo a quest’ultima categoria di docenti è data facoltà, in corso di aspettativa, di modificare il regime d’impegno (da tempo pieno a tempo definito), mentre non è consentita l’opzione inversa (da tempo definito a tempo pieno).

Si tratta di accertare, dunque, se la possibilità offerta dalla normativa censurata ai professori collocati in aspettativa in regime d’impegno a tempo pieno sia conforme al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., oppure se essa realizzi un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei professori universitari che, alla data di collocamento in aspettativa, si trovavano in regime d’impegno a tempo definito.

Al riguardo, si deve osservare che i due regimi sono notevolmente diversi, come emerge dall’art. 11 del d.P.R. n. 382 del 1980 e successive modificazioni. Per cogliere le principali differenze (ignorate dall’ordinanza di rimessione) è sufficiente rilevare che il regime d’impegno a tempo definito è incompatibile con le funzioni di rettore, preside, membro elettivo del consiglio di amministrazione, direttore di dipartimento e direttore dei corsi di dottorato di ricerca, mentre è compatibile con lo svolgimento di attività professionali e di attività di consulenza anche continuativa esterne e con l’assunzione di incarichi retribuiti (escluso l’esercizio del commercio e dell’industria). Per contro, il regime a tempo pieno è incompatibile con lo svolgimento di attività professionale e di consulenza esterna e con l’assunzione di qualsiasi incarico retribuito (oltre che con l’esercizio del commercio e dell’industria), con esclusione delle perizie giudiziarie e dei particolari incarichi provenienti da amministrazioni dello Stato, enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale, di cui al citato art. 11.

In sostanza, come questa Corte già pose in rilievo (sentenza n. 145 del 1985, punto 2 del Considerato in diritto), il legislatore, dapprima con la legge 21 febbraio 1980, n. 28 (Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica), poi con la disciplina attuativa dettata dal d.P.R. n. 382 del 1980 (e successive modificazioni), ha operato una differenziazione tra i docenti di ruolo a seconda che essi intendano, sulla base di una scelta soggettiva e personale, dedicare la loro attività esclusivamente all’insegnamento universitario o, invece, svolgere anche attività professionali, cioè attività esulanti da quella didattica e scientifica, che è caratteristica fondamentale del docente universitario.

Si è in presenza, quindi, di una significativa diversità di stato giuridico che rende non omogenee le posizioni dei docenti in regime d’impegno a tempo pieno e quelle dei docenti in regime d’impegno a tempo definito e, dunque, giustifica una diversità di trattamento in presenza di situazioni specifiche.

Con riguardo alla questione in esame, l’art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980 ha previsto il collocamento in aspettativa obbligatoria per i professori ordinari (a tempo pieno o a tempo definito) in caso di elezione o nomina ad importanti incarichi istituzionali (nella specie, a componente delle istituzioni dell’Unione europea). La norma qui censurata, poi, disciplina nei sensi sopra indicati, per entrambe le categorie di professori collocati in aspettativa, il mantenimento del regime d’impegno per il quale hanno optato in precedenza, recependo le scelte effettuate dai docenti. Essa aggiunge, sempre per entrambe le categorie, che una nuova opzione può essere esercitata al termine del periodo di aspettativa, con effetto dall’anno accademico successivo. Introduce, tuttavia, un’eccezione per i professori collocati in aspettativa in regime di impegno a tempo pieno, ai quali è consentito, nell’arco di tempo indicato dalla norma, di optare per il regime d’impegno a tempo definito.

Tale disposizione derogatoria non soltanto non crea alcuna ingiustificata disparità di trattamento, avuto riguardo al carattere non omogeneo dello stato giuridico degli appartenenti all’una o all’altra categoria, ma non si rivela neppure irragionevole. Essa, infatti, è coerente con la posizione del docente in regime d’impegno a tempo definito che, avendo minori obblighi verso l’Università di appartenenza, ha maggiori possibilità di conciliare, almeno in parte, gli impegni connessi alla carica ricoperta (che, in linea di principio, creano comunque una situazione d’incompatibilità) con le attività in ambito universitario consentite dall’art. 13, sesto comma, del d.P.R. n. 382 del 1980, sicché ben si spiega che il legislatore abbia inteso favorire il passaggio dal regime a tempo pieno a quello a tempo definito. Lo stesso non può dirsi per il percorso inverso, perché il tempo pieno postula l’obbligo per il docente di dedicarsi in via principale ed assorbente ai compiti istituzionali dell’Università di appartenenza, con la conseguenza che tale regime appare incompatibile con le cariche e gli uffici previsti dall’art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980 in modo molto più marcato del regime a tempo definito.

Ben si spiega, dunque, che il legislatore non abbia ritenuto di prevedere, in costanza della posizione di aspettativa, la possibilità di passare da quest’ultimo regime a quello a tempo pieno.

Né vale addurre che la norma renderebbe irreversibile, durante il periodo di aspettativa, una scelta d’impegno universitario compiuta in precedenza, in un momento in cui non potevano essere valutate compiutamente le conseguenze di tale scelta. Si deve replicare che, quando il ricorrente nel giudizio principale fu collocato in aspettativa (ottobre 2000, come emerge dall’ordinanza di rimessione), il quadro normativo rilevante era già definito, sicché il docente ben poteva compiere ogni valutazione riguardo alle conseguenze derivanti dall’accettazione dell’incarico.

Sulla base delle considerazioni che precedono la questione di legittimità costituzionale, sollevata dall’ordinanza di rimessione, deve essere dichiarata non fondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 5, penultimo comma, della legge 9 dicembre 1985, n. 705 (Interpretazione, modificazioni e integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sul riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 novembre 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 novembre 2010.