ORDINANZA N. 130
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ''
- Alfio FINOCCHIARO ''
- Alfonso QUARANTA ''
- Franco GALLO ''
- Luigi MAZZELLA ''
- Gaetano SILVESTRI ''
- Sabino CASSESE ''
- Maria Rita SAULLE ''
- Giuseppe TESAURO ''
- Paolo Maria NAPOLITANO ''
- Giuseppe FRIGO ''
- Alessandro CRISCUOLO ''
- Paolo GROSSI ''
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 22 luglio 2009 (Doc. IV-ter, n. 11), relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Francesco Storace nei confronti del dott. Henry John Woodcock, promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma con ricorso depositato in cancelleria il 24 novembre 2009 ed iscritto al n. 12 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2009, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2010 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 24 novembre 2009, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma ha proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica per sentir dichiarare, da questa Corte, che non spetta al Senato medesimo affermare che i fatti per cui è in corso procedimento penale dinanzi ad esso G.U.P., a carico del senatore Francesco Storace, concernono opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione; e, conseguentemente, per vedere annullata la relativa deliberazione adottata nella seduta del 22 luglio 2009 (Doc. IV-ter, n. 11);
che il ricorrente espone che il procedimento penale ha avuto origine dalla querela sporta dal magistrato Henry John Woodcock, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza, per il reato di diffamazione a mezzo stampa, in riferimento ad una intervista rilasciata da Francesco Storace, senatore all’epoca dei fatti, e pubblicata sul quotidiano “La Repubblica” in data 19 giugno 2006, dal titolo «Gossip e vendetta contro di noi»;
che tale intervista – si soggiunge nel ricorso – «si inseriva nel contesto del grande clamore suscitato dalla divulgazione delle risultanze di una indagine penale», condotta dall’anzidetto magistrato, «che aveva coinvolto Vittorio Emanuele di Savoia e che aveva poi determinato la trasmissione degli atti alla Procura di Roma per competenza in relazione alle indagini che interessavano a vario titolo alcuni esponenti del partito di Alleanza Nazionale»;
che l’imputazione nei confronti dell’allora senatore Storace era, dunque, del delitto di diffamazione aggravata commessa con il mezzo della stampa per aver offeso, con attribuzione di fatti determinati, la reputazione dell’anzidetto magistrato, «mettendo in dubbio […] la correttezza, l’imparzialità e la serenità di giudizio del medesimo»;
che il giudice confliggente evidenzia, ancora, che, a seguito di eccezione avanzata dalla difesa dell’imputato ex art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), non ravvisando l’esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni oggetto di imputazione e l’esercizio del mandato parlamentare, trasmetteva gli atti del procedimento penale, previa sospensione dello stesso, al Senato della Repubblica;
che, nella seduta del 22 luglio 2009, l’Assemblea del Senato, approvando la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, deliberava l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., delle dichiarazioni rese da Francesco Storace, senatore all’epoca dei fatti, nel corso della anzidetta intervista;
che il ricorrente pone in rilievo che la Giunta, nella sua relazione, auspica un mutamento della giurisprudenza costituzionale in materia di insindacabilità parlamentare, tale da valorizzare il c.d. “contesto politico-parlamentare” in cui il fatto oggetto di incriminazione si colloca e, nella specie, la circostanza che la «inchiesta cosiddetta gossip investì pesantemente l’intero panorama politico italiano»; di qui, secondo la medesima Giunta, la sussistenza del nesso funzionale tra le dichiarazioni extra moenia rese dal senatore Storace «sul fatto politico del giorno» e la sua funzione di parlamentare;
che, ad avviso del ricorrente, non risulterebbe, invece, «che alcun dibattito in sede parlamentare si sia svolto in relazione alla indagine in questione e né che siano state discusse mozioni o altre iniziative parlamentari sempre con riferimento a tale vicenda», non essendo sufficiente «il clamore suscitato dalla inchiesta giudiziaria» a far assimilare le opinioni espresse da un parlamentare sul c.d. “fatto politico del giorno” alle opinioni espresse «nell’esercizio delle sue funzioni istituzionali»;
che, pertanto, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma sostiene che «le opinioni espresse dall’allora senatore Storace attengano unicamente alla sua veste di uomo politico e non anche all’esercizio delle sue funzioni di senatore, inquadrandosi perfettamente nella linea di difesa del partito politico di appartenenza, che si assume nello specifico ingiustamente aggredito da una inchiesta giudiziaria asseritamente mossa da finalità ed obiettivi politici, ma senza che rispetto a tali opinioni esista la benché minima correlazione con l’esercizio delle funzioni parlamentari»;
che, dunque, in assenza di atti tipici del parlamentare su cui poter fondare, nella specie, l’esistenza di un collegamento tra le dichiarazioni extra moenia e la funzione parlamentare, il ricorrente denuncia «la menomazione della propria sfera di attribuzione, costituzionalmente garantita, in conseguenza dell’adozione, da parte del Senato della indicata deliberazione».
Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto vi sia la «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», sussistendone i requisiti soggettivo ed oggettivo e restando impregiudicata ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità;
che, sotto il profilo del requisito soggettivo, va riconosciuta la legittimazione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma a sollevare conflitto, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene nell’esercizio delle funzioni attribuitegli;
che, parimenti, deve essere riconosciuta la legittimazione del Senato della Repubblica ad essere parte del presente conflitto, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la propria volontà in ordine all’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che, per quanto attiene al profilo oggettivo, il giudice ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzione, costituzionalmente garantita, in conseguenza di un esercizio ritenuto illegittimo, per inesistenza dei relativi presupposti, del potere spettante al Senato della Repubblica di dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse dai membri di quel ramo del Parlamento ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che, dunque, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma nei confronti del Senato della Repubblica con il ricorso indicato in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte costituzionale dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma;
b) che il ricorso e la presente ordinanza siano, a cura del ricorrente, notificati al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, presso la cancelleria della Corte entro il termine di trenta giorni previsto dall’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 aprile 2010.