ordinanza N. 88
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- - Ugo DE SIERVO Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 131 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), promosso dalla Corte d’appello di Catania, sezione minori, sull’istanza proposta da G. C. con ordinanza del 15 dicembre 2008, iscritta al n. 213 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.
Ritenuto che la Corte d’appello di Catania, sezione minori, con ordinanza del 15 dicembre 2008, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 131 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui consente la liquidazione dell’onorario al difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche quando viene proposta una impugnazione inammissibile;
che la rimettente riferisce di aver dichiarato il reclamo avanzato dall’avv. G. C., in qualità di difensore di M. M., ammesso al patrocinio a spese dello Stato, avverso un decreto emesso dal Tribunale dei minori di Catania, inammissibile e che, nonostante ciò, deve provvedere al pagamento degli onorari spettanti al difensore anche in tale fase (nella misura prevista dagli artt. 82, comma 1 e 83, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002), in quanto essi rientrano, ai sensi dell’art. 131 citato, tra le spese anticipate dall’erario indipendentemente dall’esito del giudizio di gravame;
che il giudice a quo rileva che, a differenza di quanto previsto nel giudizio civile per effetto della norma censurata, l’art. 106 del d.P.R. n. 115 del 2002, nel disciplinare il patrocinio a spese dello Stato nell’ambito del processo penale, dispone che non sia liquidato alcun compenso nel caso di impugnazioni dichiarate inammissibili, comportando ciò una disparità di trattamento per i difensori in ragione del diverso procedimento in cui prestano la loro opera;
che, in particolare, la Corte rimettente ritiene tale diversa disciplina irragionevole, tenuto conto, da un lato, della identità di ragioni che nel processo penale e in quello civile possono condurre alla dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione, quali la tardività dell’atto di gravame (art. 585 cod. proc. pen. e artt. 325 e 326 cod. proc. civ.); dall’altro, delle similitudini del giudizio di secondo grado, limitato, salvi casi eccezionali, dalle acquisizioni probatorie assunte in primo grado;
che, a parere della rimettente, la norma censurata violerebbe anche il principio della ragionevole durata del processo, poiché, nel prevedere sempre la liquidazione di un compenso a spese dello Stato, costituisce un incentivo ad impugnare le sentenze civili anche quando non ricorrano i presupposti di legge, con conseguente inutile aggravio delle Corti d’appello e inevitabile allungamento dei tempi di trattazione delle cause;
che, in punto di rilevanza, la Corte d’appello si limita ad osservare di essere chiamata a liquidare l’onorario all’avv. G. C. e, quindi, di dover applicare l’art. 131 del d.P.R. n. 115 del 2002;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che, in via preliminare, la difesa erariale osserva che la rimettente ha omesso di esplorare la possibilità di pervenire ad un’interpretazione conforme a Costituzione della norma censurata e, comunque, ha richiesto alla Corte un intervento manipolativo al di fuori di qualsiasi vincolo costituzionale;
che l’ordinanza di rimessione sarebbe, poi, non sufficientemente motivata in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della questione, non indicando tra l’altro la Corte d’appello se l’impugnazione proposta sia stata effettivamente dichiarata inammissibile;
che, comunque, sarebbe errato il presupposto interpretativo da cui muove il giudice a quo, secondo il quale la liquidazione degli onorari del difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato sarebbe sempre dovuta, anche in caso in cui venga proposta una impugnazione inammissibile, atteso che l’art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002 assegna un margine di discrezionalità al giudice chiamato a liquidare i suddetti onorari, essendo egli tenuto a valutare in concreto l’impegno professionale e gli atti compiuti dall’avvocato, fino al punto di poter negare la liquidazione richiesta;
che, quanto alla presunta violazione dell’art. 3 della Costituzione, la difesa erariale si limita ad osservare che non vi è alcun vincolo costituzionale che impone al legislatore l’adozione di un modello unico di procedimento di liquidazione degli onorari del difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato, rilevando nel caso di specie la diversa disciplina che contraddistingue il processo penale da quello civile;
che, quanto alla presunta violazione dell’art. 111 della Costituzione, l’Avvocatura ritiene il richiamo a tale parametro inconferente, in quanto la norma denunciata attiene ad un sub procedimento (quello di liquidazione degli onorari del difensore) non idoneo ad incidere sui tempi di celebrazione del processo cui accede.
Considerato che la Corte d’appello di Catania, sezione minori, censura l’art. 131 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), «nella parte in cui consente la liquidazione dell’onorario al difensore» di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato, anche quando egli propone una impugnazione dichiarata inammissibile, ritenendolo, in parte de qua, in contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione;
che la Corte rimettente rileva che la norma censurata, nell’imporre l’indicata liquidazione, da un lato, favorisce in modo irragionevole il difensore nei procedimenti civili, in quanto in sede penale l’art. 106 del d.P.R. n. 115 del 2002 prevede che non si debba pervenire alla suddetta liquidazione in caso di impugnazione dichiarata inammissibile; dall’altro, nel prevedere sempre la liquidazione di un compenso a spese dello Stato, costituisce un incentivo ad impugnare le sentenze civili anche quando non ricorrano i presupposti di legge, con conseguente inutile aggravio delle Corti d’appello e inevitabile allungamento dei tempi di trattazione delle cause;
che la questione è manifestamente infondata;
che la rimettente nel prospettare il dubbio di costituzionalità ha trascurato di considerare gli artt. 120 e 136 del d.P.R. n. 115 del 2002;
che, in particolare, tali norme, inserite nel Titolo IV del citato decreto che disciplina il patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario, prevedono che «La parte ammessa rimasta soccombente non può giovarsi dell’ammissione per proporre impugnazione, salvo che per l’azione di risarcimento del danno nel processo penale» (art. 120) e che «Con decreto il magistrato revoca l’ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati, se risulta l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione ovvero se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave» (art. 136);
che delle indicate disposizioni, in quanto riferite al patrocinio a spese dello Stato in ambito civile, la ricorrente avrebbe dovuto tener conto al fine di valutarne l’eventuale applicazione nella fattispecie concreta e, in tal modo, la loro idoneità a superare il dubbio di costituzionalità sollevato;
che, dunque, le doglianze della Corte d’appello rimettente si fondano su una ricostruzione parziale del quadro normativo, sicché la pretesa compromissione dei canoni di ragionevolezza e di ragionevole durata del processo finisce per risultare palesemente destituita di fondamento.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 131 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Catania, sezione minori, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2010.