Ordinanza n. 62 del 2010

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ORDINANZA N. 62

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Francesco                    AMIRANTE                         Presidente

-           Ugo                             DE SIERVO                           Giudice

-           Paolo                           MADDALENA                                        ''

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                      ''

-           Alfonso                       QUARANTA                                ''

-           Franco                         GALLO                                         ''

-           Luigi                            MAZZELLA                                 ''

-           Gaetano                       SILVESTRI                                   ''

-           Sabino                         CASSESE                                      ''

-           Maria Rita                   SAULLE                                       ''

-           Giuseppe                     TESAURO                                    ''

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                             ''

-           Giuseppe                     FRIGO                                           ''

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                ''

-           Paolo                           GROSSI                                        ''

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 22 febbraio 2000 (doc. IV – quater, n. 111), relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’on. Costantino Belluscio nei confronti del dott. Salvatore Senese, promosso dalla Corte suprema di cassazione – Sezione prima civile, con ricorso depositato in cancelleria il 3 giugno 2009 ed iscritto al n. 10 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2009, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2010 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto che la Corte suprema di cassazione, con ordinanza del 17 marzo 2009, depositata il 3 giugno 2009, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in riferimento alla delibera adottata il 22 febbraio 2000 (doc. IV – quater, n. 111), con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali l’onorevole Costantino Belluscio, deputato all’epoca dei fatti medesimi, è stato convenuto in giudizio da parte del dott. Salvatore Senese, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

che la Corte ricorrente premette che il dott. Salvatore Senese, magistrato all’epoca dei fatti componente del Consiglio superiore della magistratura, aveva a suo tempo proposto querela nei confronti dell’allora deputato Costantino Belluscio, per aver egli pubblicato, tra l’agosto ed il novembre 1982, tre articoli sul periodico Ordine Pubblico, rispettivamente dal titolo “Prima compagni e poi giudici”, “Polizia ? No, grazie” e “Ma quale giustizia...”, e successivamente sui quotidiani L’Umanità e Ragionamenti, nei quali, riportando in modo alterato le affermazioni contenute in uno scritto dello stesso Senese pubblicato sul volume “Crisi istituzionale e rinnovamento della giustizia”, aveva lasciato trasparire una posizione del medesimo querelante di favore e sostegno a gruppi eversivi e terroristici, con grave lesione della sua immagine di magistrato;

 che, in particolare, il Belluscio aveva riportato una frase del Senese «Il (nostro) disprezzo per le istituzioni è ormai entrato in molte coscienze democratiche», inserendovi l’aggettivo nostro non esistente nel testo originale, in tal modo attribuendo al querelante un atteggiamento di disprezzo verso le istituzioni; aveva inoltre trasformato la sua attenzione verso le lotte sociali «non eversive, non violente e nemmeno illegali,» nella esaltazione di «forme di violenza che si erano espresse in scioperi selvaggi, in occupazione di case, nella spesa proletaria, nell’autoriduzione di tariffe, cioè in pratica i primi fuochi di guerriglia»; aveva, ancora, commentato, in uno degli articoli, «Che cosa significa tutto ciò, se non una copertura, ammantata da motivazioni sociologiche, del fenomeno terroristico? Le Brigate Rosse hanno forse una filosofia diversa alla base delle loro gesta?», omettendo di riportare la netta e non rituale condanna del terrorismo e della violenza politica che il Senese aveva, invece, ribadito nel suo scritto;

            che, negata nel 1987 l’autorizzazione a procedere – all’epoca prevista – da parte della Camera dei deputati, il procedimento, prima sospeso, veniva ripreso una volta esaurito il mandato parlamentare del Belluscio e veniva definito con sentenza della Corte suprema di cassazione del 3 giugno 1993, la quale dichiarava estinto per intervenuta prescrizione il reato di diffamazione;

che il Senese proponeva, quindi, domanda di risarcimento del danno in sede civile e il Tribunale di Roma, con sentenza del 4 aprile 2000, respingeva la domanda stessa; proposto appello, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 29 settembre 2003, in parziale riforma della decisione impugnata, respingeva la domanda di risarcimento, ma in forza di una diversa motivazione, giacché assumeva a base di essa la circostanza che la Camera dei deputati, con delibera del 22 febbraio 2000 – prodotta dal Belluscio – aveva dichiarato la insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare negli scritti oggetto di causa;

che la Corte territoriale aveva peraltro disatteso la richiesta dell’appellante di sollevare conflitto di attribuzione, reputando condivisibili i motivi indicati nella delibera e priva di rilievo la circostanza che nella interrogazione parlamentare del Belluscio, menzionata nella delibera stessa, non fosse riportato il nome del Senese o di altri esponenti della corrente associativa della magistratura cui il medesimo apparteneva e sulla quale il parlamentare aveva espresso una opinione fortemente critica;

che, avverso la sentenza di appello, il Senese aveva proposto ricorso per cassazione, contestando la sussistenza del nesso funzionale tra attività parlamentare e contenuto degli articoli contestati, e denunciando, quindi, violazione degli artt. 68, primo comma, 24, 111, sesto comma, e 134 Cost., nonché violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e omessa motivazione;

            che, investita su tali punti, la Corte suprema di cassazione, reputa, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, di dover sollevare conflitto di attribuzione in riferimento alla delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati il 22 febbraio 2000, nella quale è stata approvata la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere del 9 febbraio 2000, non ritenendo configurabile, nella specie, il nesso funzionale tra attività illecita extra moenia e funzioni parlamentari, che costituisce, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’unico saldo criterio desumibile dal primo comma dell’art. 68 Cost.»;

che tale requisito, sottolinea infatti la Corte ricorrente, presuppone, da un lato, che l’atto esterno debba seguire di poco tempo il compimento degli atti parlamentari, così da svolgere rispetto ad essi funzione divulgativa; dall’altro, la necessaria corrispondenza di contenuto tra le opinioni espresse dal parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni e le dichiarazioni esterne, non essendo sufficiente né una comunanza di argomenti, né il mero contesto politico cui possono riferirsi le esternazioni;

che, per ciò che attiene al nesso temporale, lo stesso non ricorrerebbe nella specie, in quanto gli articoli diffamatori furono pubblicati tra l’agosto ed il novembre 1982, mentre gli atti parlamentari di riferimento risalgono al 30 giugno ed al 6 luglio 1982, così come neppure sarebbe ravvisabile una sostanziale connessione fra articoli e attività parlamentare, dal momento che nella interrogazione del Belluscio non vi sarebbe alcun riferimento alla persona del Senese, che all’epoca era componente del Consiglio superiore della magistratura;

che pure il più ampio riferimento alle idee e convinzioni politiche di magistrati, contenute nella replica al Ministro dell’interno, sono rivolte ai magistrati padovani autori delle iniziative contro gli agenti del N.O.C.S., così come il richiamo alla adesione ideologica alla corrente di Magistratura democratica non sarebbe automaticamente ricollegabile alla persona del Senese, anche se di quel gruppo era autorevole esponente;

che, pertanto, gli scritti coperti dalla insindacabilità, non sarebbero né riproduttivi, né divulgativi, né ripetitivi delle opinioni espresse dal Belluscio in sede parlamentare, secondo la rassegna di atti operata dalla legge 30 giugno 2003, n. 140, inapplicabile ratione temporis, ma utilizzabile sul piano esegetico, né sono ad essi riconducibili «le manifestazioni di protesta dinnanzi al carcere di Peschiera e l’inchiesta giornalistica delle quali è pure menzione nella delibera della Giunta approvata dalla Camera dei deputati»;

che, d’altra parte – soggiunge, ancora, la Corte ricorrente – il richiamo contenuto nella delibera allo scontro politico ed alle sue conseguenze, mutuato dall’atto con il quale nel 1987 l’Assemblea aveva rifiutato la autorizzazione a procedere, può consentire di estendere l’area della garanzia costituzionale, al punto da fungere da «generica liberatoria» per ogni atto del parlamentare, «purché connesso allo scontro meramente politico», generando, quindi, «una erronea valutazione dei presupposti richiesti per il giudizio di insindacabilità»;

che, pertanto, la ricorrente chiede che la Corte costituzionale voglia dichiarare che non spettava alla Camera dei deputati affermare la insindacabilità delle opinioni espresse dall’allora deputato Costantino Belluscio negli articoli pubblicati tra l’agosto e il novembre 1982, posti a base della domanda risarcitoria per cui è processo.

Considerato che, in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, in ordine all’esistenza o meno della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità;

che, nella fattispecie, sussistono tanto il requisito soggettivo quanto quello oggettivo del conflitto;

            che, infatti, quanto al requisito soggettivo, devono ritenersi legittimati ad essere parte del presente conflitto sia la Corte suprema di cassazione, in quanto organo giurisdizionale in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente, per il procedimento di cui è investita, la volontà del potere cui appartiene; sia la Camera dei deputati, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la propria volontà in ordine all’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

            che, quanto al profilo oggettivo, sussiste la materia del conflitto, dal momento che la Corte ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, da parte della impugnata deliberazione della Camera dei deputati;

            che, pertanto, esiste la materia di un conflitto, la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

            dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dalla Corte suprema di cassazione, nei confronti della Camera dei deputati, con l’atto introduttivo indicato in epigrafe;

            dispone:

a)      che la Cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla Corte suprema di cassazione;

b)      che, a cura della ricorrente, l’atto introduttivo e la presente ordinanza siano notificati alla Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, presso la Cancelleria di questa Corte entro il termine di trenta giorni previsto dall’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2010.