SENTENZA N. 294
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 80 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell’art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1992, n. 395), promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio nel procedimento vertente tra S. M. e il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria con ordinanza del 28 gennaio 2009, iscritta al n. 111 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 2009 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.
Ritenuto in fatto1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 80 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell’art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1992, n. 395), per violazione degli articoli 2, 3, 4 e 35 della Costituzione.
Premette, in punto di fatto, il TAR del Lazio che il ricorso ha ad oggetto l’impugnazione del provvedimento datato 8 agosto 2008 con il quale l’Amministrazione intimata ha rigettato la istanza di riammissione nel Corpo di Polizia penitenziaria avanzata da S. M.
In particolare, nell’ordinanza di rimessione si precisa che il ricorrente «è stato arruolato nel Corpo di Polizia penitenziaria in data 3 luglio 1992, in qualità di “agente semplice”» e che, essendogli stata successivamente diagnosticata una «leucemia non linfoide in attuale quiescenza clinica», è stato ritenuto «non idoneo allo svolgimento del servizio d’istituto, a decorrere dal 16 novembre 1994», nonché trasferito, su sua domanda – ai sensi del combinato disposto degli artt. 75, comma 1, e 76 del d.lgs. n. 443 del 1992 – «al ruolo amministrativo dell’Amministrazione penitenziaria, con la qualifica di “operatore amministrativo - V q.f.”».
Riferisce ancora il collegio rimettente che, ottenuta la completa guarigione dalla suddetta patologia – così come attestato da certificazione medica del 14 febbraio 2006 –, con atto del 16 febbraio 2006, S.M. ha chiesto di essere reintegrato nel Corpo di Polizia penitenziaria, essendo «venuta meno l’unica causa che ne aveva determinato l’inidoneità al servizio di istituto ed il suo trasferimento ai ruoli amministrativi».
Con provvedimento in data 8 giugno 2006, prosegue il giudice a quo, l’Amministrazione competente ha respinto detta istanza sull’assunto che, «ai sensi dell’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 443 del 1992, il personale dispensato dal servizio per infermità non può essere riammesso».
Il collegio rimettente precisa che l’istante ha quindi reiterato la richiesta di riammissione nel ruolo di provenienza – previo annullamento del citato provvedimento di rigetto – richiamando al riguardo la sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 1994, la quale avrebbe sancito «l’inoperatività della richiamata disposizione quando la dispensa dal servizio sia avvenuta per motivi di salute e l’infermità sia successivamente venuta meno». L’Amministrazione penitenziaria, riferisce ancora il TAR del Lazio, con nota dell’8 agosto 2008, ha rigettato tale ulteriore istanza sulla base, questa volta, dell’art. 80 del d.lgs. n. 443 del 1992, in base al quale non potrebbe «essere riammesso nel ruolo di provenienza il personale trasferito, a domanda, nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli dell’Amministrazione penitenziaria o di altre amministrazioni dello Stato, perché giudicato assolutamente inidoneo per motivi di salute […]».
Con il ricorso oggetto del giudizio a quo, precisa il collegio rimettente, è stato chiesto l’annullamento del citato provvedimento di rigetto in data 8 agosto 2008 e, per l’effetto, la «riammissione al servizio, nonché la condanna dell’Amministrazione intimata alla corresponsione, in favore del ricorrente, delle differenze retributive dallo stesso maturate, a far corso dalla proposizione dell’ultima istanza rigettata, in ragione della mancata riammissione in servizio nel Corpo di Polizia penitenziaria e dello speculare mantenimento nel ruolo amministrativo e nella qualifica di “operatore amministrativo B2”».
Nell’ordinanza di rimessione si evidenzia che le censure formulate dal ricorrente – in termini di «eccesso di potere per difetto assoluto e/o contraddittorietà di motivazione» – si fondano sul presupposto secondo cui sarebbe possibile un’interpretazione dell’art. 80 del d.lgs. n. 443 del 1992 che consenta, nel caso di intervenuta guarigione, «la riammissione nel ruolo di provenienza del dipendente, transitato, per motivi di salute, in altri ruoli della medesima Amministrazione» o in altre amministrazioni dello Stato; ciò, in particolare, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 1994 che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 132 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), «laddove non consente la riammissione in servizio quando la dispensa è avvenuta per motivi di salute», nonché di «pronunce dei giudici di merito che avrebbero esaminato disposizioni sostanzialmente identiche».
2. – Ad avviso del collegio rimettente, invece, il tenore letterale dell’art. 80 del d.lgs. n. 443 del 1992, secondo il quale «il personale di cui ai commi 1, 3 e 5 dell’articolo 75» – quello appunto, spiega il TAR del Lazio, «inidoneo al servizio in modo assoluto o comunque affetto da patologia dipendente o meno da causa di servizio» –, «trasferito ad altri ruoli dell’Amministrazione penitenziaria o ad altre amministrazioni dello Stato, non può essere riammesso nel ruolo di provenienza», non consentirebbe di attribuirvi il significato auspicato dal ricorrente.
Inoltre, evidenzia il TAR del Lazio, la sentenza n. 3 del 1994 della Corte costituzionale, invocata dal ricorrente a sostegno del proprio diritto alla riammissione nel ruolo di provenienza, avendo dichiarato «la illegittimità costituzionale dell’art. 132 del d.P.R n. 3 del 1957, nella parte in cui non comprende la dispensa dal servizio per motivi di salute tra le fattispecie di cessazione del rapporto di impiego in ordine alle quali è possibile la riammissione in servizio», riguarderebbe un’ipotesi del tutto differente da quella oggetto del giudizio a quo: infatti, «nel caso investito dalla menzionata pronuncia del giudice delle leggi la riammissione» conseguirebbe «all’avvenuta cessazione del rapporto di impiego», per cui essa sarebbe «funzionale ad assicurare l’esercizio di una qualche attività lavorativa», mentre in quello oggetto del ricorso la reintegrazione si riferirebbe «ad un soggetto che già svolga un lavoro, sebbene diverso da quello iniziale, a causa della patologia che ne ha comportato il transito in altri ruoli della stessa Amministrazione o in altre amministrazioni, e che aspiri a tornare all’attività originaria».
3. – Il TAR del Lazio ritiene, dunque, di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 80 del d.lgs. n. 443 del 1992 – «di cui si lamenta la violazione» nel giudizio a quo –, in quanto la norma, «stante l’impossibilità di attribuirvi un significato ermeneutico diverso», non consentirebbe all’odierno ricorrente «di conseguire la riammissione nei ruoli della Polizia penitenziaria, a seguito di intervenuta completa guarigione della patologia da cui era affetto e che ne aveva determinato il transito, su domanda, nei ruoli civili della medesima Amministrazione».
4. – Ad avviso del collegio rimettente, la questione, oltre che rilevante per la decisione del giudizio a quo, sarebbe altresì non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost.
In particolare, posto che l’art. 4 Cost. riconosce «ai cittadini […] il diritto-dovere al lavoro» e che il successivo art. 35 Cost. stabilisce che lo Stato italiano «tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni», secondo il TAR del Lazio, si dovrebbe ritenere che la tutela garantita dalla Carta costituzionale non andrebbe intesa «solo nel senso di riconoscere il diritto del cittadino a svolgere una qualche attività lavorativa, idonea al sostentamento proprio e della propria famiglia, e, a tal fine, di approntare tutti gli interventi possibili affinché ciò si verifichi», ma avrebbe una portata più ampia come si desumerebbe, in particolare, dal comma 2 del citato art. 4 Cost., secondo cui il dovere del cittadino «di svolgere […] un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» deve avvenire «secondo le proprie possibilità e la propria scelta».
Infatti, prosegue il collegio rimettente, se si considera che «il lavoro deve reputarsi quale strumento di esplicazione e realizzazione della personalità del lavoratore» risulterebbe evidente che «ove invece si limitasse ad un’attività meramente strumentale al sostentamento», ne deriverebbe la violazione dell’art. 2 Cost., «che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, quale può senz’altro considerarsi quello ad un’esistenza dignitosa e soddisfacente, conseguibile anche grazie alla realizzazione delle proprie attitudini ed aspirazioni in campo lavorativo».
5. – Alla luce di tali considerazioni, a giudizio del rimettente, «il tassativo divieto di riammissione in servizio nel ruolo di provenienza di chi sia transitato, per motivi di salute, in altri ruoli della stessa Amministrazione, com’è accaduto per il ricorrente, o in altra amministrazione – ipotesi del tutto speculare – quando sia intervenuta la guarigione», operato dalla disposizione censurata, sembrerebbe porsi in contrasto con detti articoli, essendo venuta meno «l’unica ragione ostativa allo svolgimento della precedente attività lavorativa».
Sotto altro profilo, a parere del Collegio, la riammissione nel ruolo di provenienza, nell’ipotesi in esame, non contrasterebbe «con il principio di buon andamento della Pubblica amministrazione», sancito dall’art. 97 Cost., posto che, una volta intervenuta la guarigione dalla patologia che era stata «l’unica ragione del transito di cui trattasi», il dipendente dell’Amministrazione risulterebbe «perfettamente idoneo a svolgere nuovamente l’attività lavorativa in tale ruolo, per il cui accesso ha dovuto sostenere e vincere un apposito concorso».
Conseguentemente, a giudizio del TAR rimettente, «la mancata riammissione non permette al dipendente, ormai guarito, di svolgere l’attività lavorativa conforme alla propria scelta ed alle proprie attitudini e, perciò, di realizzarsi», in violazione degli artt. 2, 4 e 35 Cost.
6. – Al contempo, osserva sempre il collegio rimettente, atteso che il dipendente, «una volta guarito dalla patologia ostativa allo svolgimento dell’originaria attività lavorativa», riacquisterebbe «una condizione di idoneità, sotto ogni profilo, ivi compreso naturalmente quello fisico, la mancata riammissione» costituirebbe «un’arbitraria discriminazione nei confronti di quanti, a parità di condizioni, possano, invece, svolgere la medesima attività lavorativa».
Considerato in diritto1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 80 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell’art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1992, n. 395), nella parte in cui, in riferimento all’art. 75, comma 1, del d.lgs. n. 443 del 1992, «non consente, a seguito di intervenuta guarigione, la riammissione nel ruolo di provenienza del dipendente, transitato, per motivi di salute, in altri ruoli della medesima Amministrazione o in altra amministrazione» dello Stato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 35 della Costituzione.
1.1. – Ad avviso del collegio rimettente la norma censurata, vietando, nei casi di trasferimento ad altro ruolo della medesima Amministrazione o di altre amministrazioni statali – fondati su assoluta inidoneità per motivi di salute, anche dipendente da causa di servizio, all’assolvimento dei compiti di istituto (art. 75, comma 1, del d.lgs. n. 443 del 1992) – la riammissione nel posto di ruolo originariamente ricoperto, non permetterebbe al dipendente, una volta che sia intervenuta la guarigione dalla patologia ostativa allo svolgimento dei compiti originariamente assegnati, «di svolgere l’attività lavorativa conforme alla propria scelta e alle proprie attitudini» (in violazione degli artt. 2, 4 e 35 Cost.), determinando altresì «un’arbitraria discriminazione nei confronti di quanti, a parità di condizioni possano, invece, svolgere la medesima attività lavorativa» (in contrasto con l’art. 3 Cost.).
2. – La questione, sotto il profilo della violazione dell’art. 3 Cost., è fondata.
2.1. – Questa Corte con la sentenza n. 3 del 1994 si è occupata dell’istituto della riammissione in servizio previsto dall’art. 132, comma 1, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), dichiarandone la illegittimità costituzionale nella parte in cui non comprendeva, tra le fattispecie di cessazione del rapporto di impiego in ordine alle quali era possibile la riammissione in servizio, la dispensa per motivi di salute.
La riammissione nel posto di ruolo originariamente ricoperto a seguito di trasferimento (richiesta dal dipendente ai sensi dell’art. 75, comma 1, del d.lgs. n. 443 del 1992), espressamente vietata dalla disposizione oggi censurata, presuppone, a differenza della riammissione in servizio disciplinata dall’art. 132, comma 1, del d.P.R. n. 3 del 1957, anziché la pregressa cessazione del rapporto di lavoro (per motivi di salute), la prosecuzione dello stesso sia pure in una posizione organica diversa da quella originaria.
Ebbene, tale diversità strutturale fra le ipotesi di riammissione poste a raffronto se – come osservato anche dal giudice a quo – esclude l’implicito travolgimento anche della fattispecie normativa in esame ad opera della citata decisione, non la rende tuttavia immune dai vizi di illegittimità costituzionale prospettati dal rimettente.
Il divieto assoluto di riammissione nel posto di ruolo precedentemente occupato, prescindendo, così come previsto dalla disposizione oggi censurata, da qualsivoglia esame di merito circa le attuali condizioni di salute dell’interessato e le esigenze di organico, non può ragionevolmente giustificarsi in considerazione del fatto che la disciplina organizzativa del personale del Corpo di Polizia penitenziaria esige un rigoroso controllo del possesso e della conservazione dei requisiti di idoneità psico-fisici richiesti per l’assolvimento degli specifici compiti ad esso assegnati.
Al riguardo occorre ribadire che anche il trasferimento ad altro ruolo della Amministrazione penitenziaria o di altra amministrazione dello Stato, seppur attivato da una specifica richiesta dell’interessato, risulta sostanzialmente fondato su una situazione (lo stato di inidoneità all’assolvimento dei compiti di istituto per motivi di salute) la quale, da un lato, «è ovviamente indipendente dalla volontà dell’interessato – per cui certamente esula dal provvedimento una valutazione negativa del comportamento dell’impiegato (e comunque qualsiasi profilo sanzionatorio) –¸ dall’altro, non può considerarsi in assoluto irreversibile, tanto più alla luce delle odierne cognizioni della scienza medica» (così la sentenza n. 3 del 1994).
Pertanto, l’aver precluso inderogabilmente, sulla base di una presunzione assoluta di irreversibilità dello stato di infermità, la possibilità di presentare una istanza di riammissione nel posto di ruolo ricoperto precedentemente al trasferimento richiesto per motivi di salute, determina la violazione del principio di uguaglianza, poiché sottopone detti soggetti ad un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a quello riservato a coloro che, a parità di condizioni, possono, invece, svolgere la medesima attività lavorativa.
Giova ribadire, infine, che, in ogni caso, l’amministrazione, nel decidere sull’istanza di riammissione, dovrà pur sempre «procedere al rigoroso accertamento dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge», restando comunque titolare di un ampio potere discrezionale nella valutazione dell’esistenza dell’interesse pubblico all’adozione del provvedimento, in considerazione delle proprie complessive esigenze, anche di organico, sussistenti al momento della presentazione della domanda medesima.
2.2. – Conseguentemente deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 80 del d.lgs. n. 443 del 1992, nella parte in cui, in riferimento all’ipotesi di cui all’art. 75, comma 1, del d.lgs. n. 443 del 1992 – e cioè del dipendente transitato nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli della Amministrazione penitenziaria o di altre amministrazioni dello Stato, perché giudicato assolutamente inidoneo per motivi di salute, anche conseguenti a causa di servizio, all’assolvimento dei compiti di istituto – non prevede la possibilità, per il dipendente stesso che sia successivamente guarito, di presentare una istanza di riammissione nel ruolo di provenienza.
3. – Restano assorbiti i profili di censura relativi agli artt. 2, 4, e 35 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzione dell’art. 80 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell’art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1992, n. 395), nella parte in cui non consente, allorché sia intervenuta la guarigione, la possibilità di presentare istanza di riammissione nel ruolo di provenienza da parte del dipendente transitato a domanda in altri ruoli della Amministrazione penitenziaria o di altre amministrazioni dello Stato, perché giudicato assolutamente inidoneo per motivi di salute, anche conseguenti a causa di servizio, all’assolvimento dei compiti di istituto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2009.