Sentenza n. 37 del 2009

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SENTENZA N. 37

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-                Giovanni Maria                FLICK                           Presidente

-                Francesco                       AMIRANTE                    Giudice

-                Ugo                               DE SIERVO                         "

-                Paolo                             MADDALENA                     "

-                Alfio                               FINOCCHIARO                   "

-                Alfonso                           QUARANTA                        "

-                Franco                            GALLO                               "

-                Luigi                               MAZZELLA                         "

-                Gaetano                          SILVESTRI                          "

-                Sabino                            CASSESE                            "

-                Maria Rita                       SAULLE                              "

-                Giuseppe                        TESAURO                           "

-                Paolo Maria                    NAPOLITANO                    "

-                Giuseppe                        FRIGO                                "

-                Alessandro                      CRISCUOLO                       "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, Testo A), promosso con ordinanza del 6 febbraio 2008 dal Tribunale di Roma, sezione fallimentare, sul ricorso proposto dal curatore del fallimento della società Vittoria Franzò, Salvatore Puzzo, Simonetta Puzzo, Ro. Gi. s.a.s., iscritta al n. 234 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Udito nella camera di consiglio del 3 dicembre 2008 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Roma, sezione fallimentare, con ordinanza del 6 febbraio 2008 – a seguito di ricorso proposto da soggetto che ha svolto funzione di curatore in procedimento fallimentare revocato con sentenza non impugnata – ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, Testo A), nella parte in cui non include, tra le spese anticipate dall’Erario – in caso di revoca del fallimento – le spese e gli onorari del curatore.

Riferisce il rimettente che, a seguito di opposizione alla dichiarazione di fallimento, il Tribunale aveva provveduto, in data 22 novembre 2006, ai sensi degli artt. 18, 19 e 21 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), a revocare la dichiarazione di fallimento della società V. F., S. P., S. P., Ro. Gi. S.a.s., respingendo la domanda di risarcimento dei danni proposta dai falliti avverso i creditori ricorrenti.

Il curatore del fallimento della predetta società aveva poi domandato, con ricorso in data 16 luglio 2007, la liquidazione del proprio compenso, chiedendo altresì che il relativo onere economico fosse posto a carico dell’Erario.

Rileva il giudice a quo che la questione afferente all’onere del pagamento del compenso del curatore nell’ipotesi di revoca del fallimento in assenza di colpa del creditore ricorrente ovvero di responsabilità della dichiarazione di fallimento in capo al fallito, pur dopo l’abrogazione dell’art. 21, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, non ha trovato una soluzione puntuale nemmeno per effetto della riforma del diritto fallimentare ad opera del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80) e del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80).

Il rimettente richiama la sentenza di questa Corte n. 174 del 2006, che ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui non prevede che sono spese anticipate dall’Erario “le spese ed onorari” al curatore», risolvendo così il problema del compenso del curatore nelle procedure fallimentari prive di fondi, ritenendo «manifestamente irragionevole che l’esclusione dell’anticipazione da parte dell’Erario delle spese e degli onorari riguardi, ormai, il solo curatore».

Ritiene però il giudice a quo che l’applicabilità dell’art. 146 del t. u. delle spese di giustizia, nella sua formulazione vigente, presuppone la pendenza di una procedura fallimentare, individuata, sotto il profilo temporale, dalla sentenza dichiarativa di fallimento sino al provvedimento di chiusura, mentre detta disposizione nulla prevede in ordine alla fattispecie della intervenuta revoca della stessa sentenza.

Conseguentemente il rimettente ritiene necessario sollevare di ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, in riferimento all’art. 3 Cost., dal momento che gli artt. 21-39 del r. d. n. 267 del 1942 non prevedono l’applicabilità della medesima disciplina dello stesso art. 146, comma 3, anche in caso di revoca del fallimento, per il pagamento dei compensi al curatore ove non venga posto l’onere né a carico del creditore né a carico del soggetto già dichiarato fallito.

Secondo il giudice a quo, la questione sarebbe rilevante in quanto l’eventuale dichiarazione di illegittimità della norma comporterebbe l’accoglimento del ricorso proposto dal curatore fallimentare, il cui compenso sarebbe corrisposto dall’Erario, ai sensi dell’art. 146 del t. u. delle spese di giustizia, non avendo il Tribunale di Roma, nel disporre la revoca del fallimento, pronunciato alcuna condanna a carico dei creditori ovvero degli ex falliti.

Ritiene il rimettente che, in caso di revoca della procedura senza accertamento di alcuna responsabilità nella dichiarazione di fallimento, il compenso del curatore dovrebbe essere posto a carico dell’Erario, risultando assimilabili le due fattispecie della procedura senza fondi e della procedura revocata, atteso che, in caso contrario, la norma sarebbe in contrasto con i principi sanciti dall’art. 3 Cost. in relazione anche agli artt. 21-39 del r. d. n. 267 del 1942, che affermano il principio della remuneratività-onerosità dell’incarico in oggetto e che prescindono dalla revoca o meno della sentenza dichiarativa di fallimento, ponendo il curatore in essere una attività tipica identica sia nel caso di fallimento senza fondi sia nel caso in cui sia revocato.

Secondo il rimettente, non sarebbero praticabili interpretazioni della disciplina in oggetto costituzionalmente orientate e l’unica possibilità sarebbe quella di addivenire ad una pronuncia di incostituzionalità della norma impugnata, come comprovato da una recente pronuncia della Corte di cassazione che ha deciso nel senso che il curatore, per ottenere il pagamento delle spese e degli onorari, debba evocare in giudizio lo Stato ai fini della necessaria integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto sul quale avrebbe dovuto gravare il compenso in via definitiva (Cassazione, 25 maggio 2006, n. 12411).

Osserva peraltro il giudice a quo che la statuizione richiamata da ultimo non appare condivisibile quanto al principio della necessaria instaurazione di un contraddittorio tra lo Stato ed il curatore che ha prestato la propria opera, per l’inapplicabilità dell’art. 146 del t. u. n. 115 del 2002, trattandosi di una spesa definitiva a carico dello Stato stesso e che, anche accedendo all’interpretazione della Corte di cassazione sopra ricordata, la disparità di trattamento tra il curatore di un fallimento revocato e di uno privo di fondi non verrebbe meno per l’aggravio processuale a carico del primo, derivante dalla necessità di promuovere un giudizio di cognizione ordinaria contro lo Stato.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di Roma, sezione fallimentare, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, Testo A), nella parte in cui non include tra le spese anticipate dall’Erario – in caso di revoca del fallimento e in assenza di responsabilità per la precedente dichiarazione di fallimento del creditore ricorrente o del soggetto già dichiarato fallito – le spese e gli onorari del curatore, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento tra il curatore fallimentare di una procedura fallimentare priva di attivo (che verrebbe retribuito in virtù della sentenza n. 174 del 2006, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dello stesso art. 146, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevede che sono spese anticipate dall’Erario «le spese ed onorari» spettanti al curatore) e il curatore di una procedura revocata (che non verrebbe retribuito), nonché tra il curatore e gli altri ausiliari, pur valendo per tutti il principio dell’onerosità dell’attività svolta, per essere l’attività del curatore di una procedura fallimentare poi revocata di pubblico interesse e per dovere egli rendere il conto della stessa attività, con l’eventuale connessa sua responsabilità.

2. – La questione è inammissibile per essere stata sollevata in sede di ricorso, non notificato ad alcuno, proposto da soggetto che ha svolto funzione di curatore in procedimento fallimentare revocato con sentenza non impugnata, con il quale si chiede che le spese e gli onorari spettanti al curatore siano posti a carico dell’Erario.

Qualora la procedura fallimentare non sia più in corso, infatti, la predetta domanda deve essere proposta non con un procedimento camerale non contenzioso, come è avvenuto nella specie, ma attraverso l’instaurazione di un giudizio contenzioso, nel rispetto del principio del contraddittorio (Cassazione, 25 maggio 2006, n. 12411).

L’interpretazione contenuta nella pronuncia della Corte di legittimità è stata implausibilmente disattesa dal giudice remittente quanto al «principio della necessaria instaurazione di un contraddittorio tra lo Stato ed il curatore che ha prestato la propria opera, per l’inapplicabilità dell’art. 146 T.U. n. 115 del 2002, trattandosi di una spesa definitiva a carico dello Stato stesso», senza tenere conto dell’autonomia del giudizio per la liquidazione delle spese e degli onorari a favore del curatore, una volta che la procedura fallimentare è conclusa, e del fatto che la domanda di condanna deve essere necessariamente proposta nei confronti del preteso legittimato passivo.

La questione pertanto è inammissibile, dal momento che l’eventuale pronuncia di accoglimento della stessa sarebbe irrilevante nel giudizio a quo, destinato a concludersi con una declaratoria di improponibilità della domanda.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, Testo A), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, sezione fallimentare, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2009.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2009.