ORDINANZA N. 36
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), e 1 del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10 (Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 6 aprile 2007, n. 46, promosso con ordinanza del 17 dicembre 2007 dalla Commissione tributaria provinciale di Firenze, nei giudizi riuniti vertenti tra s.p.a. Publiservizi e l’Agenzia delle entrate, ufficio di Firenze 1, iscritta al n. 226 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 2009 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di quattro giudizi riuniti aventi ad oggetto l’impugnazione, da parte di una società per azioni, delle comunicazioni-ingiunzioni di pagamento dell’IRPEG emesse dal competente ufficio dell’Agenzia delle entrate (con correlative iscrizioni a ruolo) per gli anni dal 1995 al 1998, la Commissione tributaria provinciale di Firenze, con ordinanza pronunciata e depositata il 17 dicembre 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 53 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), e 1 del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10 (Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 6 aprile 2007, n. 46, i quali dispongono la restituzione, da parte dei contribuenti, degli importi corrispondenti alle agevolazioni fiscali da essi godute e qualificate come aiuti di Stato incompatibili con l’ordinamento comunitario dalla decisione della Commissione CE n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002 e dalla sentenza della Corte di giustizia CE del 1° giugno 2006 in causa C-207/05;
che, secondo quanto premette il giudice rimettente: a) la ricorrente nei giudizi principali, anteriormente agli anni d’imposta oggetto di controversia, aveva la veste giuridica di consorzio tra Comuni e, in data 2 giugno 1995, si era costituita – ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142 – in società per azioni, partecipata in via maggioritaria da enti pubblici locali, esercitando quale propria attività prevalente la gestione in àmbito locale dei servizi pubblici degli enti azionisti; b) il combinato disposto dell’art. 66, comma 14, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 (Armonizzazione delle disposizioni in materia di imposte sugli oli minerali, sull’alcole, sulle bevande alcoliche, sui tabacchi lavorati e in materia di IVA con quelle recate da direttive CEE e modificazioni conseguenti a detta armonizzazione, nonché disposizioni concernenti la disciplina dei centri autorizzati di assistenza fiscale, le procedure dei rimborsi di imposta, l’esclusione dall’ILOR dei redditi di impresa fino all’ammontare corrispondente al contributo diretto lavorativo, l’istituzione per il 1993 di un’imposta erariale straordinaria su taluni beni ed altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e dell’art. 3, comma 70, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), aveva previsto, a favore dei soggetti aventi le caratteristiche della predetta società, l’esenzione dalle imposte sui redditi; c) la società, per effetto di tale esenzione, non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi ai fini dell’IRPEG per gli anni dal 1995 al 1998; d) la Commissione CE, con decisione n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, aveva però qualificato tale esenzione come aiuto di Stato incompatibile con l’ordinamento comunitario, ai sensi dell’art. 87, paragrafo 1, del Trattato CEE; d) il legislatore italiano, in attuazione della suddetta decisione ed al fine di recuperare le imposte oggetto della illegittima esenzione fiscale, aveva emanato la legge n. 62 del 2005, che prevede la presentazione – da parte dei soggetti agevolati ed in riferimento agli anni d’imposta per i quali era stata goduta l’esenzione – di apposite dichiarazioni dei redditi, in relazione alle quali l’amministrazione finanziaria avrebbe emesso, in séguito, atti di accertamento dell’imposta; e) la citata legge n. 62 del 2005 era stata modificata dall’art. 1, comma 132, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), il quale si era limitato ad introdurre «mutamenti nominalistici» (da «imposte» a «aiuti equivalenti alle imposte») ed a sostituire il Ministero dell’interno all’Agenzia delle entrate in ordine ad alcune competenze nella procedura di recupero dei suddetti aiuti di Stato; f) i contribuenti interessati (come la ricorrente nei giudizi principali riuniti) avevano presentato, sia pure «con riserva», le dichiarazioni dei redditi relative alle annualità per le quali avevano goduto degli aiuti di Stato, ma lo Stato italiano non aveva, poi, provveduto all’escussione dei debitori; g) in considerazione di tale inerzia statale, la Corte di giustizia CE, con sentenza 1° giugno 2006 in causa C-207/05, aveva condannato lo Stato italiano per non aver adottato i provvedimenti necessari per il recupero degli aiuti illegittimi; h) in attuazione delle citate decisioni dei suddetti organi comunitari, il decreto-legge n. 10 del 2007, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 46 del 2007, prevede l’emissione di ordinanze-ingiunzioni per il recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte; i) nel corso dei giudizi riuniti, con ordinanza n. 42/19/07 del 2 luglio 2007, era stata disposta la sospensione cautelare dell’efficacia delle impugnate ordinanze-ingiunzioni;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza delle sollevate questioni, il giudice a quo afferma che le disposizioni denunciate – nell’assoggettare retroattivamente la ricorrente all’IRPEG relativa agli anni dal 1995 al 1998 e nel consentire pertanto, nella specie, l’emanazione di atti impositivi dopo oltre dieci anni dall’epoca di formazione del reddito imponibile – violano entrambe gli evocati parametri costituzionali e, in particolare: a) l’art. 53 Cost., perché escludono quella contiguità temporale tra il momento in cui si realizza il reddito ed il momento in cui è possibile determinare l’ammontare delle imposte dovute che è necessaria al fine di programmare le proprie scelte di investimenti o mobilizzazioni in modo adeguato alla situazione contabile e finanziaria e che consente di mantenere un rapporto tra le imposte richieste e la capacità contributiva; b) l’art. 97 Cost., perché, disponendo per il passato, sottopongono ad imposta un reddito che all’epoca in cui è stato realizzato non era imponibile e, pertanto, compromettono «il principio costituzionale di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione»;
che, in ordine alla rilevanza delle questioni, il giudice a quo afferma che dalle disposizioni denunciate «discende» l’iscrizione a ruolo conseguente alle comunicazioni-ingiunzioni impugnate e, quindi, «l’obbligo di corrispondere le imposte, di entità tutt’altro che modeste, riferite ad esercizi vecchi di dieci anni»;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate;
che, ad avviso della difesa erariale, il rimettente muove dall’erroneo presupposto che le norme denunciate costituiscano ordinarie norme tributarie retroattive ed omette, pertanto, di considerare che esse si limitano a dare attuazione a decisioni di recupero di aiuti di Stato illegittimi emesse da organi comunitari;
che, sempre per l’Avvocatura generale dello Stato, tale erroneo presupposto dell’ordinanza di rimessione impedisce al giudice a quo di tener conto che: a) nella specie, non si è in presenza di una imposizione fiscale, ma del recupero di una somma corrispondente all’agevolazione fiscale a suo tempo illegittimamente goduta dalla società per azioni ricorrente nei giudizi principali, con conseguente non operatività dell’evocato principio di capacità contributiva; b) il credito relativo a tale somma ha perso la sua natura tributaria e si è trasformato in un ordinario credito civilistico in ordine alla cui esazione, imperativamente imposta dall’ordinamento comunitario, lo Stato italiano non ha alcuna discrezionalità, con conseguente non operatività degli evocati princípi costituzionali di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione; c) per costante giurisprudenza della Corte di giustizia CE, le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento su di esso solo qualora sia stato concesso nel rispetto della procedura di cui all’art. 93 del Trattato CE ed abbiano adempiuto con diligenza l’onere che loro incombe di accertare il rispetto di tale procedura (sentenze 20 settembre 1990, in causa C-5/89; 14 gennaio 1997, in causa C-169/95; 20 marzo 1997, in causa C-24/95; 11 novembre 2004, in cause C-183/02P e C-187/02P; nello stesso senso, la sentenza della Corte di cassazione civile n. 4353 del 2003); d) l’avviso dell’inizio della procedura di infrazione, con invito agli interessati a presentare osservazioni, era stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale CE n. C 220 del 31 luglio 1999; d) una questione di compatibilità delle decisioni comunitarie con norme della Costituzione non è prospettata dal rimettente e, comunque, non vengono in rilievo, nella fattispecie, quei princípi fondamentali dell’ordinamento costituzionale o quei diritti inalienabili della persona umana che soli legittimerebbero tale prospettazione.
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Firenze – nel corso di quattro giudizi riuniti aventi ad oggetto l’impugnazione, da parte di una società per azioni, delle comunicazioni-ingiunzioni di pagamento dell’IRPEG emesse dall’Agenzia delle entrate (con correlative iscrizioni a ruolo) per gli anni dal 1995 al 1998 – dubita, in riferimento agli artt. 53 e 97 della Costituzione, della legittimità degli artt. 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), e 1 del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10 (Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 6 aprile 2007, n. 46;
che, ad avviso del medesimo rimettente, le disposizioni censurate – le quali assoggettano retroattivamente all’imposta sui redditi alcuni contribuenti beneficiari di esenzioni fiscali costituenti aiuti di Stato incompatibili con l’ordinamento comunitario e quindi, nella specie, consentono all’amministrazione finanziaria di emettere atti impositivi relativi all’IRPEG degli anni dal 1995 al 1998, cioè dopo oltre dieci anni dalla formazione del reddito imponibile – víolano: a) l’art. 53 Cost., perché escludono quella contiguità temporale tra il momento in cui si realizza il reddito ed il momento in cui è possibile determinare l’ammontare delle imposte dovute che è necessaria al contribuente al fine di programmare le proprie scelte di investimenti o mobilizzazioni in modo adeguato alla situazione contabile e finanziaria e che consente di mantenere un rapporto tra le imposte richieste e la capacità contributiva; b) l’art. 97 Cost., perché, disponendo per il passato, sottopongono ad imposta un reddito che all’epoca in cui è stato realizzato non era imponibile e, pertanto, compromettono «il principio costituzionale di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione»;
che le questioni sono manifestamente infondate;
che infatti il rimettente, nel ritenere violati gli evocati parametri costituzionali perché le norme denunciate consentono il prelievo fiscale con riferimento a redditi imponibili formatisi molti anni prima, trascura di considerare che dette norme perseguono l’obiettivo di porre rimedio all’illecito comunitario commesso dal legislatore italiano mediante l’illegittima attribuzione ad alcuni contribuenti (mediante il combinato disposto degli artt. 66, comma 14, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e dell’art. 3, comma 70, della legge 28 dicembre 1995, n. 549) di esenzioni fiscali integranti aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune;
che, al riguardo, la Commissione CE, con la decisione n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, e la Corte di giustizia CE, con la sentenza del 1° giugno 2006 in causa C-207/05, hanno accertato che le suddette esenzioni fiscali sono incompatibili con l’ordinamento comunitario e che, conseguentemente, lo Stato italiano ha l’obbligo di procedere al recupero delle somme corrispondenti agli aiuti illegali concessi;
che, per effetto della accertata incompatibilità con la normativa comunitaria, le indicate agevolazioni non potevano trovare applicazione nell’ordinamento nazionale;
che l’inapplicabilità delle esenzioni fiscali doveva essere rilevata dagli stessi beneficiari delle agevolazioni, i quali – come sottolineato dalla costante giurisprudenza comunitaria – hanno l’onere di diligenza di accertare il rispetto della procedura comunitaria prevista per la concessione degli aiuti di Stato e, in caso di inottemperanza a tale onere, non possono vantare, di regola, alcun legittimo affidamento sugli aiuti incompatibili con l’ordinamento comunitario (ex plurimis: sentenze della Corte di giustizia CE del 22 giugno 2006, in cause riunite C-182/03 e C-217/03; del 15 dicembre 2005, in causa C-148/04; del 1° aprile 2004, in causa C-99/02P del 7 marzo 2002, in causa C- 310/99; del 20 marzo 1997, in causa C-24/95; nello stesso senso, la sentenza della Corte di cassazione civile n. 4353 del 2003);
che, pertanto, la denunciata efficacia retroattiva delle norme censurate trova giustificazione sia nell’art. 117, primo comma, Cost., in conseguenza dell’obbligo imposto dall’ordinamento comunitario al legislatore italiano di procedere al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni fiscali non compatibili con la normativa comunitaria; sia nell’art. 3 Cost., data l’esigenza di ricondurre ad uguaglianza la posizione dei contribuenti, eliminando sin dall’origine gli effetti economici illegittimamente accordati ad alcuni di essi, i quali, come si è visto, non possono invocare, di regola, alcun legittimo affidamento nel godere di aiuti di Stato non compatibili con l’ordinamento comunitario;
che, in particolare, non sussiste la denunciata violazione: a) dell’art. 53 Cost., perché il prelievo fiscale denunciato dal giudice a quo non vìola il principio di capacità contributiva, in quanto costituisce un recupero dell’ammontare dell’esenzione fiscale indebitamente concessa e non è effetto di un’ulteriore imposta ad efficacia retroattiva; b) dell’art. 97 Cost., perché – data l’inapplicabilità nell’ordinamento interno delle esenzioni fiscali incompatibili con l’ordinamento comunitario – il recupero delle somme corrispondenti ai benefici fiscali indebitamente concessi comporta la sottoposizione ad imposta di redditi che (contrariamente a quanto affermato dal rimettente) all’epoca della loro formazione erano già imponibili, con la conseguenza che tale recupero non lede, ma – al contrario – attua gli evocati princípi costituzionali di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), e 1 del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10 (Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 6 aprile 2007, n. 46, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Firenze, in riferimento agli artt. 53 e 97 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2009.