SENTENZA N. 33
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 208, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), promosso con ordinanza del 28 marzo 2008 dal Tribunale di Siena nel procedimento civile vertente tra Costantino Alberto e l’INAIL, iscritta al n. 222 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visti gli atti di costituzione di Costantino Alberto e dell’INAIL, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 gennaio 2009 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi l’avvocato Maurizio Cinelli per Alberto Costantino, gli avvocati Michel Martone e Mattia Persiani per l’INAIL e l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio promosso dall’avv. Alberto Costantino nei confronti dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), per il riconoscimento di differenze retributive, il Tribunale di Siena, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 28 marzo 2008, ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione – dell’art. 1, comma 208, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), secondo cui «Le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell’avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro».
Secondo il rimettente, detta disposizione, prevedendo che i compensi comunque corrisposti al personale dell’avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche debbano considerarsi “al lordo” degli oneri contributivi a carico del datore di lavoro, violerebbe il principio di solidarietà di cui agli articoli 2 e 3 Cost., in quanto l’intervento di contenimento della spesa pubblica operato dalla norma censurata colpirebbe, irragionevolmente, soltanto una ristretta cerchia di pubblici dipendenti, come gli avvocati interni delle amministrazioni pubbliche, e non il restante personale della medesima amministrazione. La norma censurata, oltre a sottoporre irragionevolmente alla medesima imposizione voci del tutto diverse della retribuzione (contemplate dal regolamento INAIL del 25 settembre 2003), comprime la sfera riservata alla contrattazione collettiva cui appartiene la disciplina del trattamento economico dei dipendenti pubblici privatizzati, in coerenza con l’art. 69 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), in tal modo determinando una violazione dell’articolo 39 Cost.
In concreto – osserva il giudice a quo - l’Istituto convenuto sin dal primo quadrimestre dell’anno 2006, avrebbe illegittimamente operato una trattenuta, commisurata all’aliquota del 31,113% (composta per il 22,020% da contributi INPS, per lo 0,093% da contributi ENPDEP, per lo 0,5% da contributi INAIL, e per l’8,5% dall’IRAP), con conseguente decurtazione del complessivo “trattamento retributivo” già goduto dal ricorrente (composto dallo stipendio tabellare e da onorari legali e compensi professionali degli avvocati).
Premessa la “pacifica” natura retributiva di tali quote, e l’entità del prelievo retributivo contestato dal ricorrente, rileva il giudice a quo che la norma censurata, per una conclamata esigenza di contenimento della spesa pubblica, ha introdotto una deroga all’art. 2115 del codice civile, che prevede, in via di principio, per l’imprenditore ed il prestatore di lavoro l’obbligo di contribuzione, in parti uguali, alle istituzioni di previdenza ed assistenza, salvo diverse disposizioni di legge.
2. – Si è costituito in giudizio il ricorrente il quale ha invocato l’accoglimento della questione sollevata dal Tribunale di Siena.
3. – Si è pure costituito l’INAIL il quale ha concluso per la manifesta inammissibilità o infondatezza della questione.
Secondo l’Istituto la norma censurata incide sul complesso meccanismo retributivo operante all’interno dell’Avvocatura delle amministrazioni pubbliche, e, in particolare, sulla componente variabile della retribuzione aggiuntiva rispetto alla retribuzione “tabellare” corrisposta in ragione dei procedimenti conclusisi favorevolmente per l’amministrazione.
Nel caso di specie tali compensi (professionali, o “propine”), distribuiti quadrimestralmente tra gli avvocati dell’ente secondo quote distinte in ragione dell’anzianità di servizio, vengono attinti da un fondo alimentato sia dal 100% delle competenze effettivamente riscosse dall’INAIL e già poste a carico delle controparti per effetto di sentenza, ordinanza, decreto, rinuncia o transazione, sia dal 50% delle competenze professionali che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente in caso di transazioni dopo sentenza favorevole, o di pronunciata compensazione delle spese, per i giudizi nei quali l’amministrazione non sia rimasta soccombente e che si siano conclusi con sentenze passate in giudicato.
Prima dell’entrata in vigore della norma censurata, l’INAIL sosteneva gli oneri “riflessi” previdenziali (quota di contributi a carico del datore di lavoro) e fiscali in relazione a tutte le componenti della retribuzione degli avvocati, ivi comprese le “propine”.
Su queste ultime, pertanto, gli avvocati dell’Istituto sostenevano soltanto gli oneri contributivi diretti, corrispondenti alla quota di contribuzione a carico del lavoratore.
Osserva l’Istituto che per effetto di questo sistema, si è assistito, per anni, ad un “deragliamento” di una quota del bilancio dell’ente previdenziale dai suoi fini istituzionali, dal momento che tale quota andava, in parte ad alimentare la posizione previdenziale di alcuni suoi dipendenti, in parte a fronteggiare i gravosi riflessi fiscali dell’erogazione di consistenti compensi aggiuntivi.
A fronte di questa situazione, la norma in esame ha introdotto, nell’ottica di un contenimento della spesa pubblica, una traslazione del peso previdenziale dal datore di lavoro al lavoratore, con il risultato che l’Istituto, una volta entrata in vigore la norma impugnata, ha iniziato a trattenere, oltre agli oneri previdenziali posti a carico del lavoratore (oneri diretti), anche quelli posti a carico del datore di lavoro (oneri “riflessi”).
Premesso quanto sopra, l’INAIL eccepisce anzitutto la manifesta inammissibilità della questione non avendo il rimettente cercato di fornire una interpretazione costituzionalmente coerente della disposizione censurata.
Quanto al preteso contrasto con l’art. 2 Cost., l’INAIL osserva che il giudice a quo ha voluto ad ogni costo porre a fondamento dell’art. 2115 cod. civ. un presidio di costituzionalità, configurando l’integrale accollo dell’onere contributivo a carico del dipendente quale violazione del principio di solidarietà.
4. – Intervenuto in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri – rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato – contesta l’ammissibilità della questione difettando nell’ordinanza una compiuta esposizione dei motivi di rilevanza della questione: in particolare, improprio è il riferimento all’art. 2 Cost. in quanto non viene indicato, da parte del rimettente, alcun altro diritto fondamentale che non sia già ricompreso negli artt. 3 e 39 Cost.
Secondo la difesa erariale la questione è anche infondata nel merito: la norma censurata si inserisce in un quadro di interventi tutti tesi al contenimento della spesa pubblica anche in adempimento degli obblighi comunitari che impongono vincoli di bilancio.
5. - In prossimità dell’udienza sono state depositate memorie illustrative da parte del ricorrente, dell’Avvocatura dello Stato e dell’INAIL.
Secondo il primo, la norma censurata non legittimerebbe l’INAIL a “scaricare” sul lavoratore l’intero peso contributivo afferente i compensi professionali, avendo essa la funzione di dettare regole di trasparenza e di omogeneità nella predisposizione del bilancio, imponendo all’ente pubblico un malinteso “obbligo di prevedere, dandone evidenza in bilancio, tutti gli oneri riflessi destinati ad accedere alle erogazioni previste”. Con la conseguenza che gli oneri riflessi relativi ai compensi professionali continuerebbero a gravare sull’amministrazione pubblica.
Da parte sua, l’Avvocatura dello Stato rileva che il principio espresso dalla norma in questione non è stato introdotto soltanto per le avvocature interne, ma anche per i profili tecnici interni all’amministrazione nel caso di attività di progettazione: infatti, il comma 207 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, introducendo una disposizione di interpretazione autentica dell’art. 18 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici) disponeva che l’art. 18, comma 1, di quest’ultima legge che prevedeva «la possibilità di ripartire una quota percentuale dell’importo posto a base di gara tra il responsabile unico del progetto e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori, si interpreta nel senso che tale quota percentuale è comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione»; norma il cui contenuto è ripreso sostanzialmente dall’art. 92, comma 5, del d.lgs. 12 aprile 2006, n 163 (Codice dei lavori pubblici), tuttora vigente.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale di Siena dubita, con l’ordinanza in epigrafe, della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 208, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), secondo cui «Le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell’avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro».
Secondo il giudice a quo la norma censurata comporta che i compensi professionali corrisposti al personale dell’avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche debbano considerarsi “al lordo” di tutti gli oneri contributivi, anche di quelli posti a carico del datore di lavoro. In tal modo, la norma censurata non si limita a derogare al principio di ripartizione paritaria contributiva enunciato dall’art. 2115 cod. civ. (principio modulabile “salvo diverse disposizioni di legge”), ma annulla del tutto il principio del riparto, attraverso una imposizione soggettivamente rovesciata, tra datore di lavoro e lavoratore, con violazione del principio di solidarietà enunciato dall’art. 2 della Costituzione cui si ispira la citata disposizione del codice.
Il rimettente ravvisa anche una violazione dell’art. 3 Cost., sia perché l’intervento di contenimento della spesa pubblica operato dalla norma censurata colpisce, irragionevolmente, soltanto una ristretta cerchia di pubblici dipendenti, come gli avvocati interni delle amministrazioni pubbliche, e non anche il restante personale della medesima amministrazione, sia perché sottopone irragionevolmente alla medesima imposizione compensi aventi diversa struttura e funzione, quali i compensi professionali posti a carico delle controparti e riscossi dall’Ente (si veda l’art. 3 del regolamento INAIL del 25 settembre 2003) ed i compensi professionali a carico dell’Ente in caso di transazione dopo sentenza favorevole e/o compensazione delle spese in caso di soccombenza (art. 4 del regolamento).
Secondo il giudice a quo, la disposizione censurata si pone, altresì, in contrasto con l’art. 39 Cost., comprimendo la sfera riservata alla contrattazione collettiva in materia di retribuzione. Infatti, mentre il regolamento procede a mezzo di vari contratti collettivi che si succedono nel tempo, la norma censurata si pone in contrasto con “specifiche previsioni contrattuali”, e quindi con l’art. 39 Cost. nel quale trova fondamento la generale autonomia collettiva.
Deve premettersi che la disciplina del trattamento retributivo degli avvocati dipendenti da enti pubblici non economici prevede che tutti i legali dipendenti di enti pubblici non economici fruiscono, in aggiunta allo stipendio tabellare, di una quota di retribuzione quantificata sulla base della legge e delle tariffe professionali forensi.
Per quanto riguarda, in particolare, gli avvocati dipendenti dagli enti “parastatali” (e quindi anche dall’INAIL), l’art. 26, comma 4, della legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente) stabilisce che «Gli accordi sindacali prevederanno la misura percentuale della partecipazione degli appartenenti al ruolo professionale, per l’attività da essi svolta, alle competenze e agli onorari giudizialmente liquidati a favore dell’ente».
Con delibera del Commissario straordinario dell’INAIL del 25 settembre 2003, n. 788, è stato approvato il regolamento attuativo del verbale d’intesa con le organizzazioni sindacali del 30 luglio 2003, ai sensi del quale l’importo delle competenze professionali deve essere ripartito, ogni quattro mesi, tra i singoli aventi diritto, secondo i medesimi criteri già previsti dall’art. 30 del d.P.R. 29 maggio 1976, n. 411 (Disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70), che fanno riferimento all’anzianità di servizio ed alla eventuale abilitazione al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori.
Gli importi individuali risultanti dalla ripartizione «sono soggetti alle contribuzioni previdenziali ed assistenziali, nonché alle ritenute erariali previste dalle vigenti disposizioni di legge» (art. 5).
2. – Ciò premesso, la questione non è fondata.
3. – L’affermazione contenuta nell’ordinanza del collegamento dell’art. 2 della Costituzione con il principio della parità degli oneri contributivi di cui all’art. 2115 cod. civ. non è suffragata da idonea argomentazione. E ciò a prescindere dal fatto che, nel caso di specie, l’accollo contributivo posto ad integrale carico del lavoratore riguarda soltanto la parte relativa ai compensi professionali e non l’intera retribuzione complessiva.
Non ricorre alcuna violazione neppure dell’art. 3 Cost. sotto entrambi i profili enunciati. Con riferimento alla parità di trattamento, il personale dell’avvocatura interna delle pubbliche amministrazioni è il solo che percepisce i suddetti compensi, sicché manca un tertium comparationis su cui operare il raffronto con il trattamento economico riservato agli altri dipendenti dell’amministrazione. Né sussiste la manifesta irragionevolezza che si assume desunta dalla sottoposizione alla medesima imposizione di compensi di diversa natura e funzione, perché – nell’ottica della traslazione degli oneri previdenziali – è del tutto irrilevante la derivazione di quei compensi dalla condanna di controparte alle spese del giudizio, piuttosto che dalla loro compensazione tra le parti (secondo quanto precisato dagli artt. 2, 3 e 4 del citato regolamento INAIL n. 788 del 25 settembre 2003).
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 39 Cost., si rileva che la norma censurata non mira ad una riduzione del trattamento retributivo complessivo dell’avvocato dipendente previsto dalla contrattazione collettiva, ma disciplina piuttosto la distribuzione del carico contributivo tra ente pubblico-datore di lavoro e dipendente. E tale materia è estranea all’ambito dell’autonomia negoziale collettiva.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 208, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), sollevata – in riferimento agli artt. 2, 3 e 39 della Costituzione – dal Tribunale di Siena con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2009.